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ACQUA e LUNA
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17/6/2010-
Come eravamo: le donne di casa portavano la "biancheria" al lavatoio pubblico come le case di Pisa han portano stanotte la loro per il pubblico tributo di luce e devozione al Santo Patrono.
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17 giugno, festa di San Ranieri
Questo che segue è parte di un manifesto sacro affisso nella Diocesi pisana nel 1888 stampato dalla Tipografia P. Orsolini-Prosperi di Pisa.
Sul manifesto compariva al centro un disegno del Santo incorniciato e dedicato, e una preghiera scritta ad uso indulgenze.
“Nacque S. Ranieri in Pisa nell’anno 1118 da Gandulfo della nobilissima stirpe degli Scacceri, e da Mingarda della famiglia egualmente illustre dei Buzzaccherini. Educato elle lettere vi fece notabil profitto; ma datosi in appresso ai sollazzi terreni ne fu preso per guisa, che deviò dal retto sentiero.
Nell’età di anni 19 chiamato da Dio a resipiscenza per mezzo di un tale Alberto, uomo santissimo, corrispose alla grazia senza indugio, confessò i suoi peccati, e gli pianse sino a perder la vista, che poi ricuperò per prodigio.
Deposto così l’uomo vecchio, e il vestito l’uomo nuovo, Ranieri si rivolse con fervore all’esercizio delle virtù. Infatti frequentava le chiese, passava molte ore del giorno e della notte nell’orazione, mortificava il suo corpo con rigorosi digiuni, e colle limosine e colle esortazioni soccorreva ai bisogni temporali e spirituali del prossimo.
Dopo quattro anni di vita così pia andò in Oriente a visitare quei luoghi, che furono santificati dall’incarnazione, nascita, e passione del Redentore, e vi stette anni tredici praticando penitenze le più austere, e ricevendo da Dio in ricambio consolazioni, e visioni ineffabili.
Ritornato in patria fu accolto dal clero e dal popolo con la massima letizia per la fama già precorsa della sua santità.
Ridottosi allora al monastero di San Vito, nei sette anni che gli restarono di vita, si fece tutto a tutti per tutti guadagnare a Gesù Cristo; e realmente con l’efficacia delle sue parole e del suo esempio convertì molti peccatori, consolò molti afflitti, e molti titubanti animò alla perseveranza. Arricchito poi da Dio anche del dono dei miracoli illuminò ciechi, raddrizzò storpi, sanò ulcerosi e febbricitanti, servendosi a tale uopo dell’acqua da lui benedetta; donde gli venne il nome di RANIERI DELL’ACQUA.
Finalmente consumato dagli assidui digiuni e dall’aspro trattamento del suo corpo, avendo già predetto il giorno della sua morte, nella stessa chiesa di San Vito volò al Cielo nell’anno 1161, che fu il quadragesimo terzo della sua età. In quel punto medesimo suonarono da per loro tutte le campane della città; e nel compianto generale la sua salma venerabile dal clero e dal popolo fu trasferita alla Chiesa Primaziale, ov’ebbe sepoltura onorata. Iddio allora e nei tempi successivi coi molti miracoli operati presso quella tomba attestò al mondo la santità e la gloria del suo Servo.
Nell’anno 1632, l’Arcivescovo, il Clero e il Magistrato con l’annuenza della Sacra Congregazione dei Riti elessero San Ranieri in Patrono principale della Città e della Diocesi.”
(dal Diario Sacro Pisano)
Il giorno della morte di San Ranieri, non riportato dal Diario, era il 17 giugno, giorno che ogni anno viene ricordato con una caratteristica luminara, secondo una tradizione che per alcuni avrebbe origine nell'anno stesso della morte del santo, ma notizie certe si hanno solo dal 25 marzo 1688, quando, nella cappella del Duomo di Pisa, intitolata all’Incoronata, venne solennemente collocata l’urna che contiene il corpo di Ranieri degli Scaccieri, Patrono della città.
Cosimo III de' Medici aveva infatti voluto che l’antica urna contenente la reliquia fosse sostituita con una più moderna e fastosa. La traslazione dell’urna fu l’occasione per una memorabile festa cittadina, dalla quale, secondo la tradizione, ebbe inizio la triennale illuminazione di Pisa che dapprima si chiamò illuminazione e poi, nell’Ottocento, Luminara.
Numerosi sono gli scritti sulla vita di San Ranieri come numerose sono le poesie che lo spirito scanzonato pisano ha trasposto nel vernacolo.
Le più famose, non per il tono e l’arguzia, ma per la firma dell’autore, sono quelle di Neri Tanfucio, pseudonimo ed anagramma di Renato Fucini.
Ecco la sua:
SAN RANIERI MIRAOLOSO
Levato quer vizziaccio di rubbare,
San Ranieri è un gran santo di ‘vé boni.
Quando dianzi l’ho visto ‘n sull’artare,
Lo ‘redi? M’è venuto e’ luccìoni.
Delle grazie ne fa, lassàmo andare,
Gualda ‘n pò ‘vanti ‘ori ciondoloni
Ci ha ‘n della nicchia! E sai, nun dubitare,
Se gleli dànno c’è le su’ ragioni.
Più della piena d’anno? Che spavento!
Che spicinìo, Madonna! T’arrammenti?
Pareva d’andà sotto unni momento.
Ma San Ranieri ‘un fece ‘omprimenti;
Agguantò per er petto ‘r Sagramento,
E li disse: O la smetti o sputi i denti.
e
La luminara
Viaggi 'n dell' 'Uropa 'un n' ho ma' fatti:
Prima pelchè a quaini sèmo bassi,
E po' pelch' e' Pisani 'un c' enn' adatti
Per anda' per er mondo a strapazzassi.
Ma un mi' amio di Lucca che fa' gatti
(Li fa cor gesso, creda, da sbagliassi),
Lui, vorsi di', ch' è stato fra' Mulatti,
Che ha visitato anch' e' Paesi Bassi,
M' ha detto che neppure 'n der Peino
Luminare di Pisa 'un se ne vede:
Nun n' hann' idea laggiù der lampanino.
Chi nun l' ha vista, 'reda, 'un lo por crede';
Eppoi, 'ni basti di' che ar mi' 'ugino,
Dalla gran carca 'ni stroppionn' un piede.
Il Fucini scrisse questi sonetti (Cento sonetti in vernacolo pisano) nel 1872 e, dopo esattamente 80 anni, un altro grande vernacolista pisano, Domenico Sartori, nel suo impareggiabile “Nèri Scacceri, La ‘onquista delle Baleari” ripropone la storia della piena dell’Arno del “settanta”, dice, in un modo più che simpatico e perfetto nel presentare l’iroso nostro Santo che va a litigare col Principale, che chiama “Casigliano”, affinché faccia calare l’acqua.
Interessante è la similitudine del nome che si era scelto Fucini senza pensare al Santo, e quello che Sartori invece gli aveva dato confidenzialmente.
Quando prima abbiamo letto nel manifesto che Ranieri era chiamato “dell’acqua”, non si può non pensare ad una delle tante leggende che accompagnano la figura di Ranieri e vivono ancora nell'immaginario collettivo della città.Da tempo immemore i pisani si tramandano la tradizione riguardante la burrasca di san Ranieri, secondo la quale ogni anno, nonostante il clima estivo, il santo metterebbe alla prova i propri concittadini scatenando la pioggia sulle loro teste, ma ecco l’inizio del poemetto del Sartori:
Quando viense la piena, ner settanta,
che l’Arno stralipò dalla “Fortezza”,
Nerino, ‘he dormiva della grossa
Dio lo sa da quant’anni drento ‘ Dòmo,
ner sentissi bagnà’ l’ugne de’ piedi,
s’arzò di stianto, messe fòri un dito
e, detto fatto, t’agguantò una cèa!
“Questa -disse- ‘un c’è grinze: gliè acqua d’Arno!”
Allora fu che a forza di ‘azzotti,
senza punta paura di sbucciassi,
-tanto gliera tutt’ossi e ciccia punta-
rompiede tutt’i vetri alla vetrina,
s’infilò le babbucce di broccato,
si messe ‘r berrettone, agguantò ‘r ticcio
-che sarebbe, ‘om’ésse’, ‘r pastorale-
e, colli stinchi secchi drent’alla’acqua,
t’indiede a picchià’ all’uscio ar Casigliano.
“Tun, tun” – “Chi è?” – “Son io, sono Nerino…
Nerino, per capissi, lo Scaccieri!”.
“Cosa volevi?”- ..”’n terra, c’è bagnato!...
‘un so se se n’è accorto, Principale,
che, se sto ‘n artro po’’ co’ piedi a molle,
va a finì’ che ci piglio la freddura.
Poi continua la litigata con il Padreterno finché non vede che l’acqua sta calando e…
una ceina bianca e piccinina scodinzolava a secco, disperata… Neri si vòrtò ‘n su… poi chinò ‘r capo si messe ginocchioni e disse: “Grazie!”. Arraccatò la cea… piano, pianino aprì l’uscio di bronzo, e fu ‘n sur prato… di lì ‘mboccò per Via Santamaria e rivò ‘n su’ lungarni alla spalletta… Ora ‘un pioveva più… c’era le stelle, l’Arno gliera tornato ‘ome prima e, ner grande silenzio, l’acqua ‘hiara pareva schiccolà’ le litanie… Allora ‘r Santo prese la ceina, e, deliatamente, allungò ‘r braccio, aprì le dita secche e disse: “Vai… anco te siei figliola der Signore!” dette un’occhiata ‘ntorno a’ su’ Lungarni… la Cittadella bianca dalla luna… Tirò ‘n gran sospirone e tornò ‘ndreto…
Quando fu ritornato drento ‘r Domo e si messe a giacé’ nella verina, ni parve di sentì’, dar campanile, un gran sòno a distesa di ‘ampane… Sonavano da sé… ma con un sòno che pareva vienì’ dar Paradiso!...
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