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1/7/2010- Come eravamo: e come le anguille che mostrano nella loro vita, anche loro cresceranno e diventeranno bravi pescatori.

Tradizioni


LA MAZZACCHERA


Pioveva.
Dopo la prima annusata alla strada polverosa, che mandava dopo i primi goccioloni ed anche per un po' oltre quel caratteristico odore che risvegliava chiocciole rane rospi e vermi, si annusava ancora per cercare di capire quanto durasse il temporale e già si pensava alla "torba".
Se la pioggia persisteva per un paio di giorni, oppure se il temporale veniva dalla Garfagnana, allora c'era la possibilità che il fango dei torrenti e la terra dei campi prospicienti il fiume, scaricati in Serchio, facessero intorbidire l'acqua tanto, a volte, da farla divenire rosso mattone.
Era quello il momento che le anguille aspettavano per cacciare non viste dalla preda e guidate dal loro straordinario olfatto.
Noi facevamo la spola fra casa e Serchio per vedere il cambiamento del colore dell'acqua, subito dopo la fine della pioggia e, al primo indizio di canne, frasche, erba trascinata dalla corrente, segno che l'acqua cresceva e arrivava quella nuova dei monti, partivamo alla ricerca dei "beci" per la mazzacchera.
I pesci che vivevano nel Serchio erano di varia forma, di varie specie, con varie abitudini e vari appetiti e gusti che andavano dai bachi ai vermi fino alle more di rovo. Veniva scavato il fondo dai muggini, veniva atteso l'insetto dal cielo dalle lasche, veniva rincorso il più piccolo dai ragni e non c'era niente che strisciasse, nuotasse o saltasse, che non fosse buono per il pranzo di qualche altro.
Un giorno sul mare, avendo finito i vermi, provai a mettere all'amo un pezzetto di carnesecca che avevo nel panino e ci presi una trentina di crognoli.
Vi erano giornate nelle quali però c'era nei pesci disappetenza e disinteresse per qualsiasi esca venisse usata, si trattasse anche di robettine elaborate come vongole o vermi di importazione che stavano diventando di moda anche fra i pescatori di paese.
Ma niente poteva reggere il confronto con la “mazzacchera”.
La mazzacchera era la pesca più bella, più a contatto con l'acqua, col pesce, più amorosamente curata e studiata, più lunga, più serotina, più calma e più battagliosamente sofferta dall'uomo e dal pesce.
L'anguilla è furba, tenace e dura, peggio delle capre, testarda e potente, dolce e lasciva, guardinga e audace, ma la fame la tradisce.
Darebbe la vita per un piatto di beci.
Da parte di chi pesca ci deve essere attaccamento allo sport praticato, rinuncia al timore che la terra ti possa insudiciare e infettare, che i vermi siano così schifosi, passione al freddo e al remo, resistenza di braccia e di chiappe.
Si cominciava già la mattina a preparare il rito della mazzacchera.
I posti più battuti per la ricerca di vermi erano gli scoli delle cucine dietro le case, gli "acquai", dove la continua emissione d'acqua, fosse pure sporca di rigovernature che a quei tempi non erano cariche di detersivi, rendeva il terreno atto alla crescita della nostra migliore esca e sempre morbido da vangare. Ogni casa aveva la sua fossa di scolo che andava a perdersi in altre fosse e poi in canali poderali. Il problema era la più o meno disponibilità della massaia a farsi buttare all'aria il suo acquaio, poi dovevamo cercare una casa dove non vi abitasse un mazzaccheraio, perché altrimenti avremmo invaso la sua riserva di beci; poi dovevamo ancora scartare quelle case che avevano uno scolo sulla strada, perché non conveniva vangare sul ciglio dove passava continuamente gente che domandava, curiosava e poteva essere un segno che c'era la torba per i mazzaccherai più pigri, perché meno eravamo….. e meglio era.
Avendo dato l'assicurazione alla padrona di casa che dopo si sarebbe rimesso tutto a posto, perché altrimenti l'acqua ristagnante nelle vangate non pareggiate avrebbe dato cattivo odore, si cercava di rimediare un mezzo barattolo di beci.
Un altro luogo adatto alla ricerca erano le "pagliaia" intorno alle aie delle case dei contadini. Anche lì però nessuno era ben visto a far buche, ma con una conoscenza paterna o una vangata nascosta nell'ora del riposo pomeridiano, si potevano avere i nostri beci.
Questi, arrivati a casa, erano messi in una cassetta con la segatura perché nel barattolo, stando tutti insieme ammassati, avrebbero emesso un umore che li rendeva scivolosi e sarebbe stato difficile dar loro quella misera e poco onorevole morte.
Si cercava un filo robusto e fine fine come quello dei rocchetti di legno della Cantoni, uno stecco di scopa di saggina da usare come ago, incidendo con la punta di un coltellino l'estremità più grossa e facendo passare da questa cruna il filo lungo due o tre bracciate e poi, seduti su una seggiolina o una cassetta bassa rovesciata, si dava inizio alla seconda fase della mazzacchera.
La tecnica era di riempire il primo pezzo di filo fin dove arrivava il braccio allungato e usare per primo un becio grosso per inumidire bene il cammino. Arrivati al riempimento della metà del filo, si toglieva l'ago e si ricominciava con l'altro pezzo, facendo casomai scorrere i primi infilzati se uno aveva le braccia corte.
La scelta dei vermi doveva essere ben curata, prendendone uno grosso e uno piccolo, ma non troppo grosso perché non si rompesse sotto i denti dell'anguilla e neanche troppo piccolo perché non si sciupasse con l'attraversamento testa-coda (o il contrario) del filo.
Attenzione poi a non lasciare troppo spazio tra i vermi, ma neanche stringerli troppo. Si univano infine i due capi del filo, ormai diventato un bel cordone di beci, e si avvolgeva in anelli prendendo l'indice e il mignolo della mano aperta come misura e supporto. Dopo aver fatto passare nel centro del mazzetto un pezzo di spago di circa 40 centimetri, si praticava un bel nodo Savoia, stringendo bene, e si aveva così la mazzacchera pronta.

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