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LIBRI Libri in fuga
11/6/2010-
"Libri in fuga. Un itinerario politico fra Parigi e New York" di André Schiffrin
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Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
Al centro sono sempre i libri: i diversi percorsi, a volte fortuiti, a volte fortemente motivati, che portano a incontrarli, leggerli, amarli, condividerli.
Questa volta l’interesse si sposta su chi si fa produttore di libri, su chi prende l’iniziativa di dare voce agli scrittori.
È il caso di André Schiffrin (Libri in fuga. Un itinerario politico fra Parigi e New York, Roma Voland , 2009) che decide di raccontare la sua straordinaria esperienza di vita.
Con un suggestivo traslato si condensa nel titolo il percorso esilico della famiglia Schiffrin e la scomparsa dei libri dalla cultura di oggi.
Fondamentalmente il libro è una sorta di autobiografia intellettuale ed è diviso in tre parti.
Nella prima si descrivono le vicende della famiglia a partire dal nonno che a Baku, sul Mar Caspio, costruisce la sua fortuna con gli scarti del petrolio dell’Azerbaijan grazie anche al fortunato incontro con il chimico Alfred Nobel dal quale apprese le basi della chimica.
Dunque mio padre è cresciuto nel benessere. Le poche foto di famiglia dell’epoca mostrano persone facoltose che conducono una vita da ricchi. Ogni estate andavano in treno in Svizzera per le vacanze. I domestici riempivano i loro scompartimenti dei cuscini e della biancheria necessari ai tre giorni di viaggio. Per vacanze più brevi andavano nella dacia di famiglia, la casa di campagna, nella Finlandia russa.
Più tardi la famiglia si sposta a San Pietroburgo e Jacques, padre di André decide di andare a studiare legge a Ginevra, forse per sfuggire alla leva zarista che l’avvicinarsi della guerra rendeva assai probabile.
Gli anni svizzeri sembrano essere stati molto felici. Mio padre aveva abbastanza denaro per vivere più che agiatamente e aveva stretto numerose amicizie, ad esempio con lo psicologo svizzero Jean Piaget e, presumo, con un buon numero di signore. Di aspetto gradevole, era un esperto pattinatore e conduceva una vita da studente spensierato.
La fine della Prima guerra mondiale e l’instaurarsi di un governo rivoluzionario costringono la famiglia Schiffrin a lasciare la Russia e tutti i beni. Jacques rimane senza un soldo, ma la fortuna sembra ancora sorridergli:
Mio padre partì da Ginevra per Montecarlo e decise di tentare la sorte al casinò. Come un personaggio di Dostoevskij (che più tardi tradurrà), puntò gran parte dei suoi limitati avere su un numero della roulette e, incredibilmente, vinse .Invece di tornarsene contento a casa , decise di puntare ancora una volta sullo stesso numero, mossa temeraria di cui io non sarei mai stato capace, ma contrariamente a tutte le aspettative, il numero uscì di nuovo, e mio padre si trovò con denaro sufficiente a sopravvivere almeno per un paio d’anni.
Jacques continua così il suo fortunato peregrinare aiutato dalla sorte e dalla sua formazione culturale. A Firenze diviene segretario dello storico critico d’arte Berenson e per un breve periodo è anche insegnante di russo della miliardaria collezionista d’arte Peggy Guggenheim. Grazie alle sue doti di violoncellista entra in un gruppo di musica da camera e qui incontra e sposa una pianista russa dalla quale divorzia dopo pochi anni. Parigi, dove si trasferisce nei primi anni Venti, vede l’inizio di avventure fortunate e più durature. Nel 1922 dopo un breve apprendistato presso un editore d’arte, crea la sua casa editrice chiamata Editions de la Pléiade, ancora oggi celeberrima per il lusso della sua veste editoriale e l’accuratezza filologica delle sue edizioni di testi classici. Grazie all’intervento di André Gide, suo amico per sempre, riesce ad ancorare la sua piccola casa editrice alla Gallimard, la più prestigiosa casa editrice di Parigi, garantendone così il definitivo successo. Nel 1929 Jacques si sposa con una donna bellissima e nel 1935 nasce André.
È attraverso un vecchio album di foto scattate da Alfred Otto Wolfgang Schulze, fotografo e pittore tedesco rifugiato in Francia negli anni Trenta, in cui domina bellissima e affascinante la madre di André ,che viene ricostruito il filo della memoria di questi anni. Il quadro che ne emerge è una vita armoniosa e serena sin quando non arriva la guerra con le sue lacerazioni. In un rapido crescendo si avvicendano drammatici avvenimenti: il padre arruolato nell’esercito nonostante avesse ormai cinquant’anni e soffrisse di un enfisema polmonare, l’entrata dei tedeschi a Parigi, l’appartamento requisito, il licenziamento del padre dalla sua casa editrice che doveva essere “arianizzata”. E con la persecuzione viene anche l’acquisizione di una identità sino ad allora ignorata, come dice André:
La mia era una famiglia di tipici ebrei laici, contrari a ogni religione, estranei ai riti e ai costumi dell’ebraismo. In Russia molti intellettuali ebrei consideravano i rabbini propagatori di superstizioni e di irrazionalità. Naturalmente, entrambi i miei genitori conoscevano bene le loro origini, ma furono fra quelli, numerosi in Europa, che sono diventati ebrei a causa di Hitler.
Per fortuna non viene meno però la solidarietà degli amici: ed è il senso dell’amicizia il prezioso filo conduttore di tutte queste pagine.
È grazie agli amici che la famiglia Schiffrin riesce a sopravvivere nella penosa fuga attraverso la Francia, nella angosciosa attesa di un imbarco verso l’America e infine nella drammatica traversata verso la salvezza.
Il 20 agosto 1941 con l’arrivo a New York la vita rientra felicemente nei suoi binari. Si ritrova la dispersa comunità dei parenti, si riannodano i fili di vecchie amicizie e si creano nuovi legami:
All’arrivo i miei genitori erano stati accolti calorosamente da alcuni scrittori francesi, come il filosofo cattolico Jacques Maritain e da altri, felici di vedere finalmente uno degli illustri editori del loro mondo entrare nella nuova comunità.
Il padre continua la sua attività editoriale associandosi con Kurt Wolff , un emigrante tedesco che nel 1941 aveva fondato la Pantheon Books. Continua la sua collaborazione con gli amici e i suoi interlocutori dai nomi prestigiosi, da Saint Exupéry ad Hannah Arent e Sartre, solo per citare alcuni nomi, ma con il dolore costante dell’esilio e la nostalgia di Parigi.
Non così per André. Arroccato dapprima nella sua cultura francese, fortemente indirizzato dal padre, si sentirà sempre più americanizzato nella sua crescita adolescenziale, tanto che il padre lo manderà da solo a Parigi in una sorta di viaggio di formazione , di recupero delle radici. Un viaggio che aveva in realtà più obiettivi, così ricostruiti da André:
I miei genitori avevano molti motivi per mandarmi in Francia, ma io non ne avevo intuito nessuno. Volevano che riscoprissi la Francia, e soprattutto mi mandavano in avanscoperta, per sondare il terreno e vedere come sarebbe stato per noi tutti. Più tardi ho capito che ero più o meno la colomba mandata dall’arca di Noè per vedere cosa era rimasto in vita dopo il diluvio.
È a questo punto che inizia la seconda parte del libro, allo stesso tempo descrizione della formazione culturale di André e memoir politico, con un andamento che ha più del saggio che della biografia. In primo piano il bambino che arriva in America con un bagaglio di esperienze anche drammatiche importanti, un imprinting francese mai approfondito, e che si trova da subito a confrontarsi con un mondo nuovo e in fermento di cui vuole sentirsi protagonista, padrone del proprio destino, non travolto dalle vicende dell’esilio. Si assiste così al crescere della sua coscienza politica , al suo appassionarsi all’ideologia socialista e al suo impegno sin da giovane studente nella diffusione di quella che appare alla lucida analisi dei fatti una utopia sempre più sradicata dalla vita politica americana fortemente segnata dalle buie atmosfere del maccartismo, dell’anticomunismo, della guerra fredda. Ne risente il programma e il grido di battaglia:
Dopo lunghe ricerche nella biblioteca di Yale, trovai una citazione che mi sembrò un possibile grido di battaglia della sinistra e feci un volantino privo di direttive in modo imbarazzante, che diceva agli studenti:”considerate la possibilità che loro abbiano torto” (parole di Oliver Cromwell).
E i suoi sforzi personali di proselitismo si scontrano con defezioni accompagnate da sconcertanti dichiarazioni, come quella di uno di quella manciata di studenti che facevano parte del gruppo originario:
Un giovane dall’aria misteriosa, di Hartford, che l’anno dopo venne a dirmi che si dimetteva, con parole che meritano di essere immortalate: “Non fraintendermi. Credo ancora nella lotta di classe. Ho solo cambiato fronte”.
Ma il processo di crescita e di maturazione del ragazzo procede attraverso gli studi in prestigiose università americane, come Yale e la Columbia e lunghi soggiorni nella università di Cambridge (divertente la descrizione di istituzioni così diverse viste dall’interno e da un protagonista con sguardo ironico), continuamente in bilico tra i due mondi, ma sempre più capace di vivere in entrambi.
La terza parte del libro, forse la più autenticamente sentita, è dedicata alla maturità, al lavoro. Nel 1962 André entra a sua volta alla Pantheon Books e ne farà una delle più prestigiose case editrici americane. In un suo precedente libro (Editoria senza editori,Bollati Boringhieri 2000) A. Schiffrin aveva descritto l’itinerario di un uomo, suo padre, e la storia della sua prestigiosa casa editrice, qui sottolinea invece il momento biografico, personale del passaggio del testimone di una preziosa eredità di cultura, il mestiere di editore, e di amore di padre in figlio.
Avuto l’incarico di andare a cercare i libri all’estero André ritorna con entusiasmo in Europa, in Francia, in Inghilterra, in Italia. E nel suo libro ricorda alcuni incontri importanti, in particolare con Giangiacomo Feltrinelli che si era costruito una prestigiosa reputazione sulla base di grandi successi editoriali come Il dottor Živago e il Gattopardo. Ricorda anche Giulio Einaudi famoso per il suo vastissimo catalogo di scienze umanistiche. Descrive quelli che erano i tempi d’oro dell’editoria e ricorda la lista infinita di autori prestigiosi che ha fatto tradurre e pubblicare. E ricorda con rammarico anche un piccolo errore: non aver capito il valore di un libro come Il formaggio e i vermi, di Carlo Ginzburg un caposaldo sulla cultura popolare.
Ma si sofferma anche sulla disastrosa situazione del mondo editoriale dagli anni Settanta a oggi. Descrive i risultati nefasti legati alla liberalizzazione del mercato e illustra efficacemente il fenomeno della concentrazione editoriale, prima negli Stati Uniti poi in Europa. In questa situazione di stravolgimento il libro non appare più come un veicolo di scambio culturale, ma solo come fonte di profitti. Le case editrici tendono ormai a raggiungere profitti sempre più alti e di conseguenza si tende a restringere la scelta dei libri investendo unicamente su quei titoli che danno garanzie di grandi guadagni, la cosiddetta politica del best seller. Ma Schiffrin fa anche vedere come all’interno di questo fenomeno delle grandi conglomerazioni editoriali e a contrastare il deserto intellettuale che le caratterizza nascano e resistano piccole sigle indipendenti, come la New Press da lui stesso fondata e la Voland che pubblica il suo libro, che riescono ad avere un certo successo e si fanno pertanto eredi della grande tradizione dell’editoria.
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