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IL LIBRO La fortuna non esiste
19/1/2010-
"La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi" di Mario Calabresi
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Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
La curiosità per questo libro La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi (Milano Mondadori, 2009), di Mario Calabresi mi è venuta in seguito alla lettura della sua prima opera , “Spingendo la notte più in là” (Milano Mondadori 2008).
Questo libro è la radiografia di un mondo individuale e collettivo che è crollato ma che trova percorsi inaspettati tra le rovine. Sul piano collettivo si descrive la realtà americana drammaticamente segnata dai più recenti avvenimenti economici e finanziari. La bolla immobiliare che con il suo devastante scoppio ha privato in un solo anno due milioni di americani delle loro case e segnato drammaticamente il paesaggio:
“Il viaggio in macchina tra il Michigan e l’Ohio, dove Obama e la Clinton si sono battuti per convincere la classe media in rovina che ognuno di loro era “La Soluzione”, è l’esperienza più angosciante che si possa fare oggi in America. Guidi e accanto vedi scorrere centinaia di case abbandonate, interi quartieri senza vita”.
Un paesaggio ulteriormente ferito dalla deindustrializzazione, che è causa di
“quartieri che muoiono, di intere periferie che diventano terra di nessuno. A Buffalo, a nord dello Stato di New York, il sindaco Byron Brown ha stanziato 100 milioni di dollari per abbattere cinquemila case abbandonate, nel tentativo di frenare gli incendi e togliere rifugi alle bande e alla criminalità.”
La chiusura della più antica fabbrica della General Motors nel Wisconsin ha portato con sé la rovina della città di Janesville:
“Mi allontano, ai quattro angoli del primo incrocio tutti i negozi hanno chiuso. È rimasta aperta solo la pompa di benzina della Bp, ma non passa più nessuno. Tra Center Avenue e Rockport Road è fallita l’azienda che produceva mangimi e cibo per animali, sull’ingresso sventola la plastica appiccicata per coprire i vetri rotti; all’angolo di fronte, dei teloni azzurri impediscono di capire che negozio ci fosse; poi ci sono un bar e una sala da biliardo. Niente è più in attività, l’unico sopravvissuto è il barbiere, che ancora si produce in un taglio per soli dieci dollari. Le assi inchiodate sulle porte delle case e sulle vetrine dei negozi stanno diventando l’immagine ricorrente di questa America, una sorta di marchio della crisi.”
Ma, se è possibile, c’è ancora di peggio: Braddock, centro della collassata industria dell’acciaio,
“una città a cui è stata tolta l’anima, a cui hanno portato via tutto quello che serve a definire l’esistenza di una comunità: il lavoro, le scuole, i bar, i ristoranti, gli alberghi, i cinema, la piscina e gli abitanti. Perché le città possono anche morire, spegnersi lentamente, vedere scorrere via la vita, crollare isolato dopo isolato fino a trasformarsi in fantasmi.”
Alle immagini piene di rovine delle città corrispondono quelle di camerieri, autisti, operai, carpentieri, segretarie che hanno perso il lavoro o dei manager che hanno visto la fine di carriere spesso prestigiose e inutili. I lavoratori si ritrovano a vivere nelle loro macchine,
“Chi perde la casa cerca di salvare l’auto, ultima possibilità per muoversi e avere un rifugio, e il cellulare, perché il numero di telefono è il solo indirizzo che rimane, il filo con il resto del mondo.”
Diverso, ma non meno penoso, il destino dei manager. Essi raccolgono nelle loro tristi scatole i ricordi dell’ufficio e di alcune di queste Calabresi segue il percorso
“Da quel giorno mi è rimasta la fissazione per le scatole dei licenziati, per la fine che hanno fatto e per il destino dei loro proprietari.”
Ma Calabresi lascia un messaggio di speranza: molti di questi uomini animati dal coraggio e dall’inventiva troveranno soluzioni per dare una svolta alla propria vita e, tutti insieme, alla città cui appartengono. Spesso la rinascita viene da una crescita culturale:
“Tra la fabbrica di Janesville e di Black Hawk Technical College ci sono esattamente nove chilometri in linea retta, un percorso che prevede una sola curva e si può fare in meno di dieci minuti di macchina, ma che costa tantissimo in termini di orgoglio, coraggio e forza di volontà. Lo hanno affrontato in settecentotrentotto: Settecentotrentotto operai licenziati dalla General Motors e dalle aziende che la rifornivano sono tornati a studiare, si sono iscritti al college per seguire corsi che dureranno due anni, per cambiare vita e carriera, per ripartire da un’altra parte. Per rialzarsi da soli con l’orgoglio di essersi reinventati.”
Altrettanta importanza rivestono istituzioni legate alla formazione e all’istruzione:
“Quattordici anni dopo aver aperto la fabbrica e dopo aver represso nel sangue il primo sciopero, Carnegie, uno degli uomini più ricchi della storia, iniziò a preoccuparsi anche dei suoi operai e cominciò l’attività filantropica per cui è passato alla storia. Il 30 marzo 1889 inaugura a Braddock la prima Carnegie Free Library, una biblioteca aperta a tutti dove è possibile leggere giornali, libri e seguire corsi serali.
Per più di settant’anni la Braddock Carnegie Library rappresentò il centro della vita della città, poi divenne il simbolo della sua decadenza. Oggi, mentre la nuova recessione americana si somma alla crisi storica di Braddock, la biblioteca è tornata a essere il luogo della speranza.”
Sul piano individuale Calabresi parla delle storie drammatiche di sempre, non legate a un preciso contesto storico né geografico. Inizia con il caso di una bambina di Torino frettolosamente considerata nata morta e che deve la sua seconda chance allo sguardo caritatevole di un coscienzioso medico di famiglia . La protagonista stessa riassume la sua storia e mette in evidenza il messaggio morale che è alla base anche delle altre storie:
“Ero un piccolo pollo che non aveva neppure la forza di piangere, ma sono arrivata fino a qui perché ho incontrato un uomo che aveva voglia di scommettere sulla vita, che ebbe il coraggio di assumersi il rischio, di pensare con la sua testa e di non arrendersi quando gli altri mi davano per morta ho vissuto 94 anni, ma alla fine l’unica lezione che mi porto dentro è che non bisogna mollare mai. Mai arrendersi:bisogna essere curiosi, ambiziosi e artefici del proprio destino.”
Ancora un bambino, Jawad, questa volta poliomielitico e nato a Kabul è il protagonista di una storia che lo vede protagonista proprio per il suo coraggio e la voglia di vivere una vita diversa da quella avuta in sorte. Jawad che oggi ha 24 anni così parla:
“La gente pensa che il destino sia segnato, che il tuo ruolo nel mondo sia già scritto e che tu debba rassegnarti a vivere la vita che ti è toccata in sorte. Così molti stanno fermi, non si muovono, accettano quello che accade e aspettano. Il giorno in cui sono stato capace di leggere ho avuto la fortuna di incontrare Aspettando Godot di Samuel Beckett e mi è stato chiaro cosa non volevo essere."
Da questa consapevolezza inizia il percorso intellettuale e formativo di Jawad:
“A quel punto, ho pensato che non era più tempo di aspettare Godot, era tempo di agire. Così ho deciso che avrei imparato a leggere e scrivere il persiano.”
Egli elabora un suo personale metodo di studio che applica anche allo studio dell’inglese e che gli consente di studiare sociologia, antropologia , economia : una grande avventura intellettuale per uno straordinario ragazzo.
La sua storia trova un felice sviluppo in America grazie anche alla solidarietà delle diverse comunità, non solo americane, con cui entra in contatto:
“Nelle mie fantasie e nei miei sogni avevo scelto l’America perché qui la gente crede che si possa cambiare il proprio percorso, che una mattina ci si possa alzare e ricominciare con un nuovo piano.”
Americana è invece Tammy Duckworth, protagonista di una terribile storia di guerra. Un razzo della guerriglia irachena colpisce l’elicottero che lei stava pilotando di ritorno da Baghdad e in questo incidente perde le gambe. Ma anche lei non si perde di coraggio e decide di riconquistare la sua esistenza e dopo trenta operazioni e grazie a delle protesi di metallo la ritroviamo a festeggiare il 12 novembre, il giorno dell’incidente e l’inizio della sua nuova vita:
“Faccio un party perché sono ancora viva. Il destino di un pilota di elicotteri che viene colpito è morire bruciato: quelle era la mia paura, quello era il mio incubo peggiore. Invece sono viva: le gambe sono importanti, ma non sono tutto. Io vado al cinema, ordino la pizza, lavoro, faccio politica, bevo una birra, leggo libri, mangio cinese, continuo a volare, vado sott’acqua, mi rimpinzo di cibo al curry, dormo con mio marito, rido, discuto, voto e scelgo i vestiti che mi piacciono di più.”
Tra le altre storie emblematiche una val la pena infine di ricordare. Quella di John Forbes Nash, il genio della matematica, raccontata prima in un libro dalla giornalista Sylvia Nasar dal titolo “Il genio dei numeri” e poi rivissuta da Russell Crowe nel film di Ron Howard A Beautiful Mind .È questa la storia della rapidissima crescita e carriera di un uomo straordinariamente dotato
“Bruciò tutte le tappe: a tredici anni faceva esperimenti scientifici nella sua stanza e a soli vent’anni gli diedero insieme laurea e master al Carnegie Institute of Technology. Arrivò a Princeton, per il dottorato, con la lettera di raccomandazione più breve della storia:”Quest’uomo è un genio”.”
Ma è anche la storia di una altrettanto rapida discesa nel baratro della malattia mentale. Come da copione, però, anche il professore di Princeton riuscirà a tornare alla sua vita, grazie anche alle persone che non lo hanno dimenticato e che si batteranno perché gli sia attribuito il Nobel che meritava.
“La sua storia è il viaggio incredibile di andata e ritorno dai picchi massimi della genialità a quelli della malattia mentale. Era il più promettente di una generazione ma crollò in modo spaventoso e umiliante. Eppure, senza che nessuno potesse prevederlo, è riuscito a risalire, dopo un tempo infinito passato nell’oblio e nella follia. E mentre si stava rialzando è arrivata una mano miracolosa da Stoccolma che lo ha riportato in cima, lassù dove aveva sempre sognato di arrivare.”
Lo spirito della nazione americana, la sua capacità da sempre di reinventarsi da zero, di darsi una seconda chance, aleggia su tutto il libro:emblematica per tutte la storia di Obama e Michelle, così riassunta dalla First Lady.
“Guardatemi: sulla mia testa non è stata spruzzata una polverina magica, neanche su quella di Barak,e non c’è stato nessun miracolo. Eravamo ragazzi come voi e un giorno ci siamo resi conto che ognuno ha il destino nelle sue mani. Allora ho deciso che avrei ascoltato i miei genitori: ho lavorato sodo e mi sono impegnata ancora di più quando qualcuno metteva in dubbio che ce l’avrei fatta, perché volevo dimostrare a tutti che si sbagliavano.”
Indubbiamente il valore di questo libro sta proprio nell’impianto rigorosamente formativo ed educativo del racconto di casi esemplari, ma non è del tutto convincente, soprattutto nella categorica esclusione della Fortuna dal titolo del libro e dalla vita dei suoi protagonisti.
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