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IL PROVERBIO
Le belle senza dote...



17/10/2009- PISA-Piazzale della Stazione

Il proverbio di oggi:

Le belle senza dote

trovan più amanti che mariti




Il modo di dire:

Buio pesto

Buio fitto, notte molto scura





Dal libro “le parole di ieri” di G.Pardini




TAMAANO

Lett: nc.

“Vieni, tamaano!” erano le prime parole che il Bobo rivolgeva a chiunque incontrasse.

Nessuno ha idea da dove prendesse origine questa parola, e nemmeno quale sia stato il suo esatto significato. Sicuramente non aveva significato offensivo ma anzi esprimeva un sentimento di simpatia, ma da dove abbia tratto questo termine è un segreto che ha portato con sé.

Secondo Ilio del Luperini, nipote di Armando (1897-1969) il termine potrebbe nascere dalle frequentazioni del Bobo con un tal professor Caterini, di Pisa, ornitologo, che veniva a Migliarino per studiare la fauna che abbondava lungo le rive, allora selvagge, del Serchio.

Il Bobo era solito trasportare col barchetto il professore lungo il fiume per le sue osservazioni e da questa sua frequentazione sarebbe nato il curioso termine, forse una storpiatura del nome scientifico di qualche volatile.

Il Bobo era uno straordinario personaggio ed simboleggiava il legame che gli uomini avevano un tempo con la natura. Straordinario e appassionato cacciatore era capace di rimanere una notte intera rintanato in una fossa fatta in un campo e nascosta con delle frasche per tendere, al mattino, alle cornacchie e agli storni. Produceva da se le proprie cartucce, come quasi tutti i cacciatori del tempo, realizzando addirittura i pallini di piombo in maniera artigianale. Colava il piombo fuso attraverso una rete molto fine facendolo cadere dalla finestra nella conca sottostante: il piombo durante la caduta si arrotondava e nell’acqua della conca si raffreddava in piccole particelle.

Era anche un grande costruttore di richiami per animali, che costruiva magistralmente con vari materiali ed anche con ossa di animali, pecore o capre che si prestavano meglio per la loro dimensione.

Grande cacciatore ma anche appassionato amante della natura come dimostra il grande numero di animali imbalsamati che teneva per casa, soprattutto uccelli, ma anche animali di più grandi dimensioni che egli stesso impagliava, con grande passione e maestria. Tutti gli uccelli erano esposti in una vetrina che venne distrutta da una cannonata durante la guerra.

Da tutto questo, da questa apparente contraddizione, si rende evidente il diverso rapporto che questi uomini avevano con l’ambiente, con la natura. Erano parte di essa, la usavano, la sfruttavano, a volte uccidevano, ma sempre con un grande rispetto, una deferenza ed un amore oggi perduto.

Il Bobo partiva la mattina con la sua barca a remi verso il mare con il nipote Ilio Luperini e gli altri “ragazzi della piazza”, come il cugino Renato scomparso nel ’55 per un incidente motociclistico, Mariso, talvolta anche Piero Della Bartola, portando solo una piccola fiocina, una padella e olio, sale e pepe. Vogava lento per tutto il fiume, selvaggio, rigoglioso, in un silenzio rotto solo dai rumori della natura, ali che sbattevano, tonfi dei muggini che “smollavano”, cinguettii di uccelli, fermandosi solo ai retoni di Sveno e di Arzavolino dove faceva “la scaccia” rimediando un po’ di pesce. Spesso i ragazzi cantavano e le voci echeggiavano fra le rive folte di vegetazione.

Durante il lento viaggio verso il mare altro pesce riuscivano a prenderlo con la fiocina, infilzando le anguille che si nascondevano sotto la melma del fondo (in Serchio l’acqua era trasparente), oppure con un sistema da lui adottato per la cattura dei “muggini a salto”.

Davanti alla sua barca, di colore nero e denominata l’Artiglio, aveva messo una rete da pesca assicurata su una prolunga. Battendo i remi nell’acqua i muggini, spaventati dal rumore, saltavano e alcuni finivano nella rete con grande gioia e schiamazzi dei ragazzi a bordo.

Arrivati al mare pescavano, prendevano anche un po’ di arselle, facevano legna, cannella e poi cucinavano i pesci direttamente sulla spiaggia. La spiaggia era deserta, solo con qualche raro bagnante venuto da chissà dove, magari venuto a fare le “sabbiature”, segnalato in lontananza dall’ombrello nero che lo riparava dal sole.

I ragazzi facevano il bagno per poi riprendevano la via di casa. Il Bobo inalberava allora una rudimentale vela sistemata su un lungo palo infilato in un buco del sedile di mezzo della barca, e con l’aiuto della brezza della sera vogava nuovamente verso casa.

Ilio rammenta con grande nostalgia quelle giornate definendole come le più belle della sua vita.

Sappiamo che con il tempo i ricordi di gioventù tendono a migliorare, ad apparire sempre più belli quanto più ce ne allontaniamo. Sicuramente però quelle sue gite scanzonate, divertenti, così profondamente immerse nella natura, erano capace di trasferire sensazioni forti e permanenti, ricordi indelebili di una gioventù spensierata e profondamente diversa.

La nera barca del Bobo aveva il nome di Artiglio, probabilmente derivata dal nome della nave che nel 1936 tentò di riportare alla luce i resti della nave “Polluce” naufragata, o meglio affondata, nelle acque di Portolongone.

Si narra che nella prima metà dell’800, una nave carica di materiale prezioso, vasellame, argenteria, opere d’arte e oro , fra cui un’intera carrozza, proveniente dall’allora Regno di Napoli, facesse rotta verso l’isola d’Elba. Era il tesoro del Re Ferdinando IV° che doveva essere messo al sicuro dato che il suo regno era messo in pericolo dalle truppe anglo-russe (1806). Inseguito dalle navi francesi nelle acque dell’Elba pare che il comandante del Polluce preferisse affondare la nave piuttosto che farla depredare. I marinai, che non perirono nell’affondamento, riferirono la presenza dei preziosi sul relitto che fu oggetto di un primo tentativo di recupero nel 1860. Il tentativo non ebbe successo a causa dei mezzi rudimentali del tempo: il relitto fu localizzato ed imbracato ma le catene cedettero e l’operazione fu abbandonata.

Nacque comunque la leggenda di questa nave dalla carrozza d’oro che sortì un secondo tentativo di recupero appunto con la nave Artiglio, che però non riuscì neppure a localizzare il relitto.

Anche in seguito ci furono molte altre spedizioni, più o meno ufficiali, ma pare che tutt’oggi il relitto sia ancora nascosto in fondo al mare con le stive cariche di tesori.


 
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