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LIBRI Codice della vita italiana
7/9/2009-
"Codice della vita italiana" di G. Prezzolini
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Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
Appaiono spesso in questo giornale proverbi, frasi celebri, aforismi; potrebbe quindi avere un qualche interesse segnalare un’organica raccolta di cento aforismi di G.Prezzolini, Codice della vita italiana, organizzati in dodici capitoli a tema.
Pubblicato nel 1921 viene riproposto una prima volta nel 1993 e di nuovo nel 2004 (Robin Edizioni): una conferma questa, in primo luogo del sicuro interesse dei lettori verso un libro smilzo ma succoso , ma anche della continuità dell’abito culturale degli italiani o, almeno, di una certa rappresentazione.
Ispirato in tutte le sue iniziative culturali da un severo ideale di rieducazione e di rinnovamento morale e civico, Prezzolini trova la sua autentica vocazione nel fare “l’uomo utile per gli altri”, cioè per gli italiani. Egli vuole infatti:
Chiarir certe idee agli italiani, indicare le loro inferiorità per farli migliori, caratterizzare popoli e movimenti stranieri, tradurre da varie lingue, far conoscere dei giovani di valore, indicare grandezze sconosciute: quel che si dice lavoro di cultura, e proprio far fosse e piantar alberi, infrascarli, rincalzarli, seminare, sarchiare, mondare le erbacce e tutte le operazioni d’un buon agricoltore. Sí mi son sempre prefisso di essere utile
.
Prezzolini, insieme ad altri giovani intellettuali riuniti intorno alla rivista “La Voce” animati da una comune polemica contro l’Italia ufficiale, si rivolge in particolare ai giovani nell’intento di formare su basi rinnovate una cultura che sia civilmente e politicamente “moderna” .
L’aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, in particolare a New York (32 anni), lo aiuta a oggettivare una visione disincantata dell’Italia e degli italiani e a castigare talvolta con beffarda ironia i loro costumi. Divenuto cittadino europeo e del mondo per aver condiviso l’esilio, da sempre il destino degli italiani migliori, ritrova le sue radici toscane nel registro espressivo dell’aforisma:
Nella Toscana e particolarmente in Firenze sentimmo la grande lezione dell’essenziale e del capitale, del semplice e del chiaro, dell’ironico e dello spavaldo, del birichino e del savio. Invece di poesia, filosofia. Invece di versi, prosa. Invece di forma, contenuto. Invece di chiacchiere, fatti. Se ci fu una ricerca, per me almeno, fu quella di dir le cose col numero minore che fosse possibile di parole; e di qui l’amore per l’aforisma, per il bon mot, per l’arguzia, e in certi momenti di follia, lo sforzo per una espressione che prendesse a modello il telegramma.
Ma lasciamo parlare alcuni aforismi.
Le connotazioni degli italiani di fronte all’impegno e al lavoro sono definite da due categorie antropologiche prettamente paesane: i fessi e i furbi.
L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
C’è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.
Se poco si contribuisce alla formazione di un bene comune, meno ancora ci si cura di mantenerlo:
La roba di tutti (uffici, mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, eccetera) è roba di nessuno.
Del resto questo atteggiamento è frutto di una visione miope della società, tutta incentrata sulla famiglia:
La famiglia è l’unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l’unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l’internazionale.
Perfettamente funzionale al paese la sua politica:
L’Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica.
Tutto il male dell’Italia viene dall’anarchia. Ma anche tutto il bene.
In Italia contro l’arbitrio che viene dall’alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.
L’uomo politico è in Italia uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.
L’italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno la fama di essere machiavellici, riuscendo cosí ad aggiungere al danno la beffa, ossia l’insuccesso alla disistima, per il loro Paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo:mani vuote ma sporche.
L’antica questione dei rapporti Nord Sud è così sintetizzata:
L’Italia si divide in due parti: una europea, che arriva all’incirca a Roma, e una africana o balcanica che va da Roma in giù. L’Italia africana o balcanica è la colonia dell’Italia europea.
Il rapporto degli italiani con le leggi supera ogni divisione e barriera:
In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano invece sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago, una strizzatina d’occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette: tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.
Come si vede sono affermazioni lucide, lapidarie, animate da uno spirito disincantato, amaro, talvolta beffardo, che ci rimanda in maniera inquietante a una forma di qualunquismo che è stato definito spiritoso, ma è sempre qualunquismo, con il suo indifferentismo politico e morale e la negazione della politica. Se lasciamo gli aforismi (al lettore il piacere di scoprire gli altri) e torniamo alla nota biografica redatta da Claudio Maria Messina in fondo al volume troviamo la citazione con la quale Prezzolini conclude la sua autobiografia (Ritratti su misura):
Io non sono un credente nelle virtù naturali delle costituzioni democratiche applicate ai popoli (…) Trovo che gli uomini sono rimasti uguali in fatto di cattiveria e di credulità. Non credo al progresso ma nemmeno al regresso. Lo Stato mi par utile, anzi necessario, come è necessaria la latrina di casa; ma quando si può, preferisco la birbanteria privata a quella pubblica. Non sono un reazionario, sono un conservatore. Mi definirei volentieri:un anarchico conservatore.
In questo che si potrebbe definire un didascalico aforisma del suo pensiero non lo sentiamo lontano dagli italiani da cui prende le distanze. Ma sembra ingiusto e riduttivo racchiudere una personalità così complessa in una rigida definizione. Preferiamo concludere con un’altra citazione dello stesso Prezzolini con la quale commenta i suo stessi aforismi e che è, insieme, un’espressione forte della sua umanità dolorante, ma anche di quella degli italiani:
C’è molta amarezza, in espressioni che han l’aria (soltanto l’aria, purtroppo) del paradosso. Amarezza e, qualche volta, disperazione. Quando si vive in Italia, più di una volta accade di domandarsi perché non si prende il primo piroscafo che parte per il nuovo mondo, dove, molto lontani, attraverso il velo della poesia, e senza alcun contatto con i cattivi campioni della madre patria, tutto quello che c’è di bello e di sano può tornare in mente e destare persin nostalgia. Sì, siamo ridotti a questo, qualche volta: a prendere un piroscafo e guardarla da lontano, questa nostra Italia, per poterla amare davvero… A guardarla come posteri; anzi peggio: come stranieri.
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