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Il naufragio dell'Andrea Doria



25/7/2010- Il 26 luglio del 1956, speronata dalla nave svedese Stockholm, l'Andrea Doria fa naufragio trascinando con se 52 persone.

È il 26 Luglio del 1956, alle ore 23,10, in pieno Oceano Atlantico, nelle immediate vicinanze dell’Isola di Naunticket, la Turbonave Andrea Doria sta avanza maestosa verso le coste degli Stati Uniti, da cui dista in quel momento appena 180 miglia.

Il fotografo di bordo ha 52 anni, si chiama Italo Jacy Rainato, nel suo laboratorio sottocoperta è intento a sviluppare i rullini, nel salone sontuoso ed elegante è in corso una festa, le foto saranno eccezionali, impaziente di vederle il fotografo con il suo aiutante armeggia tra le bacinelle e i contenitori di acidi.

Il suo aiuto, Enrico, è giovane, alla sua prima, primissima esperienza in mare, ma anche lui è entusiasta, la Turbonave Andrea Doria è l’ammiraglia della flotta italiana, la veterana del trasporto passeggeri, il fiore all’occhiello della Marina, il vanto dell’orgoglio nazionale, in poche parole una specie di Titanic tutto italiano, un miracolo dell’economia, una speranza per il futuro, un monumento al progresso.

Entro mezzanotte i fotografi contano di tornare nel salone per distribuire e vendere le loro stampe ai passeggeri che stanno festeggiando, l’atmosfera è idilliaca, gli animi elettrizzati.
A un tratto gli acidi saltano fuori dalle bacinelle, i fotografi compiono un balzo all’indietro, ancora prima di riuscire a capire cosa è accaduto si percepisce lungo la minuscola cabina un fremito inquietante.

Dagli oblò si vede il mare calmo, liscio come una tavola, la lucida superficie nera scintilla come olio, non presagendo ancora il pericolo i due si avventurano fuori, pensano a un’avaria della sala macchine, a un banale contrattempo, nessuno dei due ancora realizza che possa trattarsi di qualcosa di più grave.

Salendo verso i ponti superiori pensano di arrivare fino in coperta per chiedere notizie al Ponte di Comando, a un tratto odono delle grida, si volgono verso un corridoio per cercare di capire, e si trovano davanti a una visione allucinante.
Una donna corre terrorizzata verso di loro, sospingendo e tirando i suoi tre bambini. Sono completamente coperti di nafta, sembrano minatori appena usciti da un pozzo petrolifero, le urla risuonano nella vastità silenziosa della nave.

“Dio mio, è terribile -dice la donna - la nave affonda, siamo perduti…”.

L’Andrea Doria, il vanto della Marina Italiana, il Translantatico più elegante, più potente e più rappresentativo della flotta, costruito dalla Società Italia presso i cantierei dell’Ansaldo sta per inabissarsi nel mare.

È un attimo e si scatena il panico.

Siamo nel 1956 e ancora non erano stati attuati i piani obbligatori per le emergenze, esistevano sì, dopo la disastrosa esperienza del Titanic, salvagenti e scialuppe a bordo, in numero sufficiente per condurre tutti in salvo, ma ancora non si era ritenuto opportuno di istruire i passeggeri o di condurre esercitazioni simulate di naufragio.

Oggi su tutti i tratti a lunga percorrenza le moderne motonavi prevedono un programma di informazione e di addestramento, tre colpi di fischietto e tutti si precipitano ad indossare i salvagenti per poi radunarsi presso la scialuppa loro assegnata. I turisti si divertono e la prendono come un’attività ludica, ricreativa, ma sono questi piccoli accorgimenti che in caso di un disastro in mare possono fare la differenza.
L’Andrea Doria è stato speronato dalla nave svedese Stockholm che l’attraversa come se fosse burro, conficcando la sua prua fino a dentro il ventre della nave italiana.

Sul fianco dell’ammiraglia si apre uno squarcio lungo lateralmente almeno cinque metri e profondo più di dieci. Nessuna nave sarebbe potuta rimanere a galla con una simile ferita sulla paratia e infatti l’Andrea Doria affonda, rapidamente, non c’è il tempo materiale di far niente.

Una donna è fatalmente rimasta incastrata tra le lamiere contorte della prua della Stockolm che azzannano l’Andrea Doria, suo marito è medico e capisce subito che non è possibile salvarla, è letteralmente stritolata tra i pannelli contorti e la paratia, la loro cabina era proprio sulla traiettoria della collisione. L’uomo rimarrà accanto a lei fino all’ultimo respiro, tenendole la mano, e quando ella sarà spirata si rifiuterà di lasciare la nave, dovranno condurlo via a forza.

In coperta i passeggeri corrono forsennati da un lato all’altro del ponte di coperta, le prime scialuppe di salvataggio vengono calate fuori bordo, un uomo terrorizzato afferra la figlioletta e la lancia verso una delle lance, già prossima a raggiungere il livello dell’acqua. Gli occupanti non hanno il tempo di fermarlo, gli gridano di attendere, ci sono altre lance, altre scialuppe, ma l’uomo è reso folle dal panico.

Mentre dalla scialuppa cento braccia si protendono in avanti per afferare la bimba, questa batte violentemente la testa contro il bordo del ponte sottostante e scompare in mare. Non sarà più ritrovata.

Cinquantadue persone perirono nel naufragio, una ragazza che dormiva nella sua cabina sull’Andrea Doria verrà ritrovata la mattina dopo selvaggiamente aggrappata in grave stato di shock alla prua della Stockolm. Sarà l’ultima superstite.
Per tre ore fervono le operazioni di evacuazione, l’equipaggio si prodiga per salvare vite umane, per ricercare i feriti, ci si attarda fino all’ultimo per organizzare i soccorsi, il fotografo alle 3.15 del mattino è uno degli ultimi ad abbandonare la nave morente, su una scialuppa carica fa rotta verso l’Ile de France, posti in salvo i passeggeri torna indietro per rendere l’ultimo omaggio alla maestosa Andrea Doria che si andava inabissando.

A bordo trova il Comandante in seconda, Magagnini, è ancora in pigiama, il Comandante Calamai invece indossa la divisa blu con il basco d’ordinanza sul capo. Non vogliono scendere, rifiutano di abbandonare la nave, i pochi marinai ancora presenti siedono sulla scaletta fumando, sanno che la scialuppa è pronta per portarli via, sarà l’ultimissimo carico prima della fine, ma ancora si rifiutano di abbandonare la nave, vogliono attendere lo sbandamento completo, dicono agli uomini della lancia di allontanarsi per non essere travolti dal risucchio, li raggiungeranno a nuoto.

Solo all’alba accettano di abbandonare l’imbarcazione morente, che, come un cigno colpito a morte, sta per inabissarsi nelle profondità oceaniche.

Mentre lentamente l’orgoglio della Marina Mercantile Italiana sta soccombendo, offrendo il fianco squarciato alle acque del mare, in molti si stringono attorno a lei, riluttanti a lasciarla.
L’Ile de France prima di allontanarsi con i superstiti a bordo lancia tre lunghi malinconici fischi di commiato.

La William Thomas si avvicina per offrire ancora assistenza e soccorso, una lancia vuota vaga in circolo abbandonata sulle acque, l’Andrea Doria si sta piegando sul fianco squarciato, lentamente con maestosa dignità, alle otto di mattina l’acqua è ormai giunta alle vetrate del salone panoramico, la fine è vicina.

Un apparecchio aereo effettua lunghi giri di perlustrazione sull’imbarcazione morente e sulla scialuppa con i Comandanti che ancora aspetta in mare, gli occhi lucidi dell’equipaggio sono fissi sulla grande nave che va inabissandosi e che ancora scintilla, bianca, sotto il sole nascente.

Alla fine anche un motoscafo della Marina si avvicina per rendere l’ultimo estremo commiato all’Andrea Doria, ora posseduta dal mare.

È l’epilogo dolente e drammatico di un disastro che colpisce la Marina Mercantile Italiana dritto al cuore, a distanza di anni le polemiche ancora infuriano, il giorno dopo il naufragio novanta dei passeggeri presenti a bordo sporgono reclamo contro l’equipaggio per la carente organizzazione dei soccorsi, un libro svedese accusa i cantieri dell’Ansaldo di aver utilizzato manodopera non competente e poco professionale, l’Andrea Doria sarebbe affondato per un difetto strutturale della costruzione.

Come sempre in Italia le vere cause del disastro forse non saranno mai note, rimane solo il cordoglio per le 52 vittime perite a bordo e il perenne ricordo di una delle imbarcazioni più maestose ed eleganti mai costruite in Italia.

Così l’Andrea Doria oggi giace nel cimitero delle navi assieme agli antichi vascelli invelati carichi di spezie che contribuirono ad ampliare i confini dell’orizzonte conosciuto, silenzioso monito per la sicumera del progresso che tutto macina e tutto consuma.
(articolo tratto dal Web)

 
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