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LIBRI
23/6/2010-
"Questa volta parliamo di gialli" una nuova recensione molto adatta per l'estate
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Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
Questa volta parliamo di gialli, un genere che si addice alle vacanze estive. Il titolo Un luogo incerto (di Fred Vargas, Einaudi 2009), lascia nel vago e la mia scarsa familiarità con il genere mi priva di ogni punto di riferimento per giudicare il libro; mi affido quindi al risvolto di copertina che promette di esplorare un mondo straordinario accompagnati da uno scrittore dotato di un altrettanto straordinario talento:
Humour, fantasia visionaria, erudizione, colpi di scena, dialoghi strepitosi, capacità di indagare nelle pieghe più profonde dell’anima si fondono in un intreccio mirabile, dove Adamsberg fa i conti con il mito e la realtà del Vampiro. E con un passato che sembra tornato per rovinargli la vita.
Proviamo a leggere. La storia inizia a Londra in occasione di un meeting internazionale della Grande Europa poliziesca sollecitato dalla necessità di “armonizzare i flussi migratori” dei ventitre paesi che ne fanno parte. Tra i partecipanti alla riunione Vargas dedica la sua attenzione solo agli inglesi e ai francesi. A Radstock, commissario di Scotland Yard, viene affidata la proclamazione di quella che si può considerare una filosofia di vita, una eziologia della follia, e il senso di tutto il libro:
Ci sono cose che un uomo non è in grado di concepire finché a un altro non viene la bizzarra idea di farle. Ma una volta fatta, quella cosa, buona o cattiva che sia, diventa patrimonio dell’umanità. Utilizzabile, riproducibile, e addirittura superabile. L’uomo che si è mangiato un armadio dà a un altro la possibilità di mangiare un aereo. Così si svela poco a poco il continente ignoto della follia, come una carta geografica si completa con il procedere delle esplorazioni. Noi ci avventuriamo alla cieca, aiutati solo dall’esperienza: è ciò che ho sempre detto ai miei uomini.
La squadra francese, protagonista delle vicende del giallo, è invece descritta al completo: Adamsberg il responsabile dell’Anticrimine di Parigi, Danglard il suo vice e per ultimo Estalère il giovane brigadiere. Il carattere di ognuno è descritto con precisione sin dalle prime pagine ma si arricchisce di corposi e significativi dettagli nel prosieguo.
Adamsberg appare dotato di un fiuto straordinario e di un fine intuito psicologico:
I più sottili filamenti della vita non sfuggivano all’occhio di Adamsberg, anche se quei filamenti erano brusii, sensazioni minime, fremiti dell’anima.
È però persona poco colta, per esempio ,
Lui era l’unico dei cento poliziotti a non possedere nemmeno i rudimenti della lingua inglese.
Sappiamo che il criminale con cui si confronta lo definisce “uno spalatore di nuvole” e già dalla prima scena ne indoviniamo le ragioni. Infatti Adamsberg in procinto di prendere l’aereo per Londra e già con il bagaglio in mano si lascia convincere dal suo vicino ad assistere una micina sotto parto in evidente difficoltà.
Adamsberg mollò la valigia e seguì Lucio verso la tettoia, brontolando inutilmente. Fra le zampe dell’animale sbucava una testolina appiccicosa e sporca di sangue. Sotto le direttive del vecchio spagnolo, lo afferrò con delicatezza, mentre Lucio premeva sul ventre con un gesto professionale. La gatta lanciava tremendi miagolii.
Sei minuti dopo Adamsberg, poggiava su una vecchia coperta due topolini rossi e strillanti, accanto agli altri due.
La sua vita privata si rivela incasinatissima nel corso del racconto , ma proprio per questo tangibilmente umana.
Danglard è invece l’erudito:
Era chiaro che Danglard sapeva su questo Highgate un sacco di cose che lui, Adamsberg, ignorava totalmente. Era normale, se si considerava normale la prodigiosa vastità delle sue conoscenze. Il comandante non era semplicemente quel che si dice un “uomo di cultura”. Era una persona di un’erudizione fenomenale, padroneggiava un complesso sistema di saperi illimitati che, secondo Adamsberg, avevano finito per costituirlo interamente, sostituendo uno dopo l’altro tutti i suoi organi: c’era da chiedersi come Danglard riuscisse ancora a muoversi come una persona quasi normale.
Perfetta è anche la sua conoscenza dell’inglese:
Danglard aveva così pochi piaceri, e sembrava così contento di rotolarsi nella lingua inglese come un cinghiale in un bel fango, che non voleva privalo nemmeno di una briciola di soddisfazione.
Celebri sono le sue risposte quasi oracolari, come quella dottissima, a una distratta domanda di Adamsberg
-Ah, un momento. Quante braccia ha la dea indiana?Quella che sta in un cerchio, Shiva?
-Shiva non è una dea, commissario. È un dio.
-Un dio?È un uomo, aggiunse rivolto ai suoi collaboratori.-Shiva è un uomo. E quante braccia ha?-domandò tornando a Danglard.
-Dipende dalle rappresentazioni perché i poteri di Shiva sono immensi e contraddittori e coprono quasi tutta la gamma, dalla distruzione alle buone opere. Può avere due braccia, quattro, ma può arrivare fino a dieci. Varia a seconda di quello che incarna.
Danglard , come del resto gli altri protagonisti, non è una macchietta, è una persona la cui umanità è meno corposa più contratta, meno vissuta di quella di Adamsberg, ma non meno concreta. Lo testimonia il suo orrore per il sangue, un grave handicap per chi lavora in polizia:
La repulsione di Danglard per il sangue e la morte era un fatto accettato senza discussioni. Quando era possibile, non lo si convocava prima di aver fatto sparire il peggio.
Un caso a sé è Estalère, il giovane brigadiere, completamente sprovveduto, bisognoso in ogni situazione di una mostruosa concentrazione che si evidenzia nel tormentoso stropiccio di ogni cosa si trovi in mano e
con gli occhi verdi sempre spalancati da un cronico stupore. Estalère non tentava mai di dissimulare la sua ignoranza né quanto ciò lo preoccupasse.
Ma pure gode della solidarietà di tutto il suo team:
Per convenzione, all’Anticrimine si parlava dell’”ingenuità” di Estalère invece che della sua stupidità. Quattro volte su cinque Estalère era fuori strada. Ma in qualche caso il suo candore produceva gli inaspettati vantaggi della beata innocenza. Capitava che le sue cantonate aprissero una pista, così banale che nessuno ci aveva pensato.
e anche della simpatia grazie alla sua dote di saper ricordare i gusti di tutti i colleghi:
Il miglior specialista di caffé dell’Anticrimine,Estalère conosceva a menadito le preferenze di tutti: zuccherato o amaro, normale o macchiato, ristretto o lungo. Sapeva che Adamsberg usava di preferenza la tazza con l’orlo spesso e il disegno di un uccello arancione. Non c’era servilismo nella preoccupazione di Estalère di memorizzare i gusti di tutti, ma una passione per i dettagli tecnici, per quanto piccoli e numerosi fossero, che lo rendeva incapace di sintesi.
La parentesi del convegno internazionale si chiude appena Radstock dà notizia, come incaricato delle indagini, dello strano ritrovamento di fronte al cancello del vecchio cimitero di Hihghgate di 17 scarpe con i piedi mozzati dentro, ben allineate con la punta rivolta verso il cimitero stesso.
Stavano lì, sul marciapiede, terribili e provocatori, piantati nelle loro scarpe di fronte all’ingresso storico di Highgate. Un mucchietto ordinato e intollerabile.
L’orrore di questo fatto sminuisce l’interesse verso il meeting internazionale e cattura l’attenzione del lettore trasportandola in un viaggio di orrori senza fine preannunciati dal l’inquietante domanda di Adamsberg:
se il tagliatore di piedi ha abbandonato lì il suo tesoro, come se non gli bastasse più, quale nuovo orrore sta preparando?
La risposta viene da Garches, nei sobborghi di Parigi, in sintonia con una intuizione di Danglard e venendo incontro ai desideri di Radstock:
-Le scarpe sono di scarsa qualità, -disse componendo il numeroRadstock.-Con un po’ di fortuna, sono francesi.
-Se lo sono le scarpe, lo sono anche i piedi,-completò Danglard..
-Sì, Denglard. Quale inglese si prenderebbe la briga di comprare scarpe francesi?
-Vale a dire che, se dipendesse solo da lei, ci spedirebbe tutto questo orrore al di là della Manica.
Non sveleremo oltre la trama del giallo solo ne anticipiamo il suo inoltrarsi in una avventurosa geografia dalla cupa atmosfera. Gli scenari cambiano in rapida successione: Londra, Hauts-de- Seine, la Serbia, attraverso il “nero tunnel” che conduce alla tomba di Peter Plogowitz, il luogo incerto, riesumato nel 1725 col sospetto di essere un vampiro. Le indagini conducono nelle tracce della stirpe di Dracula che da trecento anni infesta il mondo.
Le vicende si snodano con ritmo serrato seguendo diversi binari. Il filo conduttore delle indagini sul crimine si intreccia con i molteplici fili della vita dei diversi protagonisti e della follia della mente umana. Storie surreali, vicende personali, ricordi di altre spaventevoli indagini, idiosincrasie, incomprensioni ma anche solidarietà e amore si intrecciano . Insomma il romanzo mantiene quello che promette il risguardo di copertina.
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