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LIBRI
Ogni cosa è illuminata



12/4/2010- "Ogni cosa è illuminata" di Jonathan Safran Foer

Rubrica a cura di Elsa Luttazzi



Non sempre sono lineari e diretti i percorsi di lettura. Vorrei qui descrivere quello che mi ha portato a Ogni cosa è illuminata, di Jonathan Safran Foer (Guanda Editore prima edizione 2002) il libro di cui oggi parlo.
Ho visto che è uscito il 25 di Febbraio, sempre presso Guanda, un nuovo libro di J.S. Foer ( questa volta un lungo saggio intitolato “Eating animals” ( tradotto come Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?), definito come una guida etica per l’individuo, in difesa e in nome del vegetarianismo. L’argomento mi interessa per essere anche il mio stile di vita, ma al contempo mi respinge, in quanto ormai l’alimentazione e il cibo in tutte le sue espressioni sono al centro di una ormai troppo ricca proposta editoriale. Inoltre il profilo di Foer che emerge dai giudizi di pubblico e della critica non è unanimamente positivo, anzi. Osannato o vezzeggiato da una certa critica è spesso disprezzato da un’altra non solo per come scrive, ma per i suoi atteggiamenti supponenti ed è poco amato dal pubblico, o, almeno, non è diventato un best seller. Attratta dalla suggestione del titolo Ogni cosa è illuminata (dal di dentro, una citazione di Kundera) e soprattutto dalla bellezza della trasposizione cinematografica di Liev Schreiber (2005), ho alla fine deciso di affrontare l’autore partendo dal romanzo.

Il giovane Jonathan Safran Foer è un ebreo di origina ucraina, ma nato e vissuto negli Stati Uniti. Il nonno emigrato dall’Ucraina per sfuggire al furore delle persecuzioni, era morto prima che lo scrittore nascesse portando con sé un passato mai rivelato e lasciando così un grande e misterioso vuoto. Jonathan decide quindi di fare un viaggio in Ucraina per trovare lo shtetl di Trachimbrod in cui era vissuto il nonno sperando di incontrare qui Augustine, la donna che probabilmente gli salvò la vita durante la deportazioni naziste. Unica traccia una sbiadita fotografia che ritrae, insieme ad altri, Augustine e il nonno. Per il suo viaggio nel paese e nella memoria il giovane si affida a una agenzia che si chiama Viaggi Tradizione e che

È fatta per gli ebrei come l’eroe, che ambiscono a venire via da quel nobile territorio,l’America, e visitare umili cittadine in Polonia e in Ucraina. L’agenzia del Babbo ha traduttore, guida e autista per ebrei che cercano di disseppellire i posti dove esistevano le loro famiglie.

Lo accompagna Alexander Perchov, detto Alex, come traduttore, e il suo strano nonno, anche lui Alex, affetto da una cecità psicosomatica che non gli impedisce di guidare la macchina, accompagnato dalla sua puzzolente cagnetta guida chiamata Sammy Davis Junior Junior. La simmetrica coppia nonno-nipote, i due Alex e Jonathan (nel romanzo viene chiamato anche l’eroe) con il nonno perduto , cela ben più di una coincidenza, e nel corso del viaggio si scopriranno intrecciate le loro radici e le loro identità.
Inizia così, a bordo di una Trabant attraverso il bellissimo paesaggio ucraino, la rigida ricerca delle tracce fisiche e spirituali di un passato il cui racconto viene affidato nel romanzo all’italiano improbabile del giovane Alex (inglese fortemente ucrainizzato nell’originale).

Come prima osservazione va detto che il libro non è di facile lettura. Fortemente improntato a uno stile, potremmo dire, post moderno, tangibilmente visibile anche nell’uso di particolari tecniche di composizione dei caratteri tipografici, il romanzo è strutturato secondo diversi stili narrativi: il racconto del viaggio, uno scambio epistolare tra i due protagonisti, la ricostruzione storica multigenerazionale. Il racconto del viaggio nel suo farsi è affidato ad Alex. Nelle relazioni epistolari i due protagonisti ricapitolano e ricostruiscono le tappe e il senso delle ricerche rinsaldando in questo modo il legame di amicizia emotivamente costruito durante il viaggio, segnato dal superamento delle reciproche diffidenze legate all’appartenenza a due culture, quella americana e quella ucraina, lontanissime tra loro.

Le ricostruzioni storiche narrano le vicende delle popolazioni dei diversi villaggi scomparsi e degli individui protagonisti di questa storia, in particolare i bis-bis-bis-bis nonni di Jonathan: una saga multigenerazionale ricca di fantasiose e spesso assurde invenzioni.
Non sempre tutto è facilmente comprensibile e più volte si prova una reazione di stanchezza di fronte all’italiano di Alex pesantemente stravolto. E anche un certo disagio per l’effetto comico che tale linguaggio provoca, che suona lontano ed estraneo ad avvenimenti così drammatici; salvo poi propendere per la finale accettazione della dichiarazione dell’autore il quale afferma che per affrontare eventi così tragici solo il registro comico può essere di aiuto:

Lo so che mi hai chiesto di non cambiare gli sbagli perché hanno un suono buffo, e il buffo è l’unico modo veritiero di raccontare una storia triste, ma credo che io non li cambierò. Tu, per favore, non odiarmi.

E permane tuttavia una certa stizza che ci fa concordare con Alex che queste sono storie così improntate alla cultura yddish , alla sua ironia e al suo raccontare eventi assurdi che solo gli ebrei possono capirle

E al riguardo del tuo scritto “Il principio del mondo giunge spesso”, è stato un cominciamento molto esaltante. C’erano delle parti che non comprendevo, ma congetturo che fossero ebree, e solo una persona ebrea può capire qualcosa di così tanto ebreo. Questo succede perché pensate di essere eletti da Dio, perché soltanto voi potete capire le cose strane che dite di voi?

Salvo poi lasciarsi conquistare da pagine di struggente poesia, come quella della lettera d’amore mai scritta o quella in cui si descrivono le amorevoli attenzioni rivolte dal padre adottivo alla bis-bis-bis bis nonna rimasta senza genitori :

Questa è la mia mano che ti accarezza la faccia. Certe persone sono mancine, e altre sono destrorse. Noi non sappiamo ancora cosa sei tu perché te ne stai semplicemente lì seduta e lasci che sia io a usare la mano…Questo è un bacio .È quello che succede quando si arricciano le labbra e si premono contro qualcosa, a volte altre labbra, a volte una guancia, a volte ancora qualche cos’altro. Dipende….Questo è il mio cuore.

Le storie dei popoli protagonisti di questa storia ucraini, polacchi ed ebrei con le loro sfuggenti identità si scontrano e si sovrappongono, si ricompongono e scivolano di nuovo dissolvendosi, come imprendibili, in sintonia con quelle dei tre protagonisti in viaggio (accompagnati dalla cagnetta), con un dipanarsi che si legge e avvince come un giallo.
Simbolo di tutte queste identità perennemente in bilico è il villaggio di Trachimbrod del quale si ricorda la travagliata scelta del nome:

un irascibile magistrato di Lvov aveva fatto richiesta d’un nome per uno shtetl anonimo, da usarsi per nuove carte geografiche e censimenti,tale da non offendere la raffinata suscettibilità della nobiltà ucraina né polacca, né essere di pronuncia troppo difficoltosa: e su ciò si sarebbe dovuto deliberare entro la fine della settimana.

Esso è diviso in due parti : il “Quarto ebraico” e i “Tre-quarti umani” (Per umani si intende polacchi e ucraini), con la corrispondente divisione di funzioni.

Tutte le cosiddette attività sacre – insegnamento religioso, macellazioni Kosher, contrattazioni e così via-erano svolte entro i confini del Quarto ebraico. Invece le attività inerenti al trantran della vita quotidiana –insegnamento profano, giustizia ordinaria, compravendite eccetera- avevano luogo nei Tre-quarti umani. A cavallo fra le due zone sorgeva la Ritta Sinagoga. (L’arca era costruita lungo la linea di demarcazione ebraico-umana, così che in ciascuna zona esistesse un rotolo della Torah.)

Alla fine del viaggio si scopre che Trachimbrod insieme a moltissimi altri villaggi è stato distrutto dai nazisti ed è scomparso ormai dalle mappe geografiche e financo dalla memoria. Unica testimone la sopravvissuta Lista (anche Augustine è morta) che conserva scatole colme di vestiti , di fotografie, di effetti personali che nessuno potrà più reclamare. Con il fluire dei suoi ricordi sulle drammatiche vicende in un colloquio doloroso e riservato con il nonno Alex, Lista risveglia nel cuore di lui antiche felicità, ma anche dolori e rimorsi accantonati, che svelano come anche le popolazioni slave dell’Ucraina abbiano perseguitato gli ebrei, ancor prima dell’arrivo dei nazisti.

“Non dovrebbe sorprenderti. All’epoca gli ucraini erano terribili con gli ebrei. Cattivi quasi come i nazisti. Era un altro mondo. All’inizio della Guerra molti ebrei volevano andare con i nazisti per essere protetti dagli ucraini”.

All’unisono Jonathan ricostruisce le radici della sua famiglia ed Alex prende consapevolezza del suo vissuto storico di ucraino.
Lista consegna infine ai tre testimoni una scatola di ricordi chiamata casomai che , con i suoi contenuti, andrà ad arricchire la collezione personale di reperti che Jonathan è andato raccogliendo per tutto il viaggio e che ha meticolosamente riposti in bustine di plastica trasparente ed etichettate con data e luogo.
La memoria delle storie individuali e della storia collettiva sono da sempre al centro del processo identitario ebraico. E anche qui si vede come attraverso le generazioni si passa il testimone con piccoli gesti e parole d’ordine. Strumento di questa memoria collettiva nel romanzo sono Il libro dei sogni ricorrenti e Il libro degli antecedenti, la cui lettura è affidata, con fine ironia, a un rabbino narcolettico:

Non è importante che cosa, ma il fatto che dobbiamo ricordare. L’atto di ricordare, il procedimento del ricordo, il riconoscimento del nostro passato…i ricordi sono piccole preghiere a Dio, certo, se ci credessimo… Perché sta scritto nelle Scritture qualcosa che riguarda proprio questo, o qualcosa che è simile a questo…ci avevo sopra il dito pochi minuti fa…giuro, era proprio qui.Qualcuno ha visto in giro il Libro degli antecedenti?Avevo uno dei primi volumi un attimo fa…Merdaccia! Qualcuno mi sa dire dove stavo?

E i due giovani si sentono investiti dell’onere e dell’onore di questa memoria condivisa.
Tornando al film alla luce della lettura del romanzo, vorrei dire che è stato grande merito del regista-sceneggiatore l’esser riuscito a estrarre con sicuro talento le perle dell’ ironia di questo romanzo unitamente al vago surrealismo legato soprattutto alla figura del nonno cieco (la cui cecità è ulteriormente marcata dagli scuri occhiali da sole) e autista e alla sua cagnetta, e di averla espressa in maniera elegante. E anche il contenuto drammatico è svelato via via con tutto il rispetto di un regista che vuol richiamare il ricordo non per la vendetta, ma per una presa di coscienza affinché l’accaduto non si ripeta e si scelga la tolleranza.

Libro e film si accordano nell’esprimere lo stesso pensiero, ricomporre gli odî e riconciliare gli animi, ognuno con i suoi strumenti espressivi e, direi, che val la pena di confrontarsi con entrambi.


 
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