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BIOGRAFIE
Palmiro Togliatti



19/11/2009- Palmiro Togliatti (1893-1964)


Estratto dalla biografia a cura di Luca Molinari



Palmiro Togliatti nacque a Genova nel 1893 in una famiglia piccolo borghese e frequentò studi regolari conseguendo una laurea in giurisprudenza.


Fin da giovane espresse la propria simpatia per il movimento operaio socialista e, probabilmente, si iscrisse al PSI nel 1914 per uscirne l’anno successivo per una diversa valutazione data a riguardo della Grande Guerra. Tali posizioni furono sposate anche da un altro giovane socialista il cui percorso politico si incrocerà presto con quello di Togliatti: Antonio Gramsci.



Terminato il conflitto Togliatti rientra nelle file del Partito Socialista e va ad operare nell’ala più a sinistra e meno propensa al compromesso. Del vecchio PSI riformista di Turati e Treves, Togliatti condanna l’arrendevolezza di fronte al nascente movimento fascista; il PSI è un partito di militanti vecchi e stanchi delusi dalla guerra e da tanti anni di attesa.

Si avvicina quindi al gruppo torinese di “Ordine Nuovo” il cui fondatore fu Antonio Gramsci e, al congresso del PSI di Livorno del 1921, fonda, con lo stesso Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terraccini, Camilla Ravera ed Amadeo Bordiga il Partito Comunista d’Italia sposando le tesi leniniste che avevano ispirato la Rivoluzione d’Ottobre del 1917.


Nel 1927 Togliatti assume la segreteria del partito che manterrà fino all’anno della sua morte, il 1964 per un totale di 36 anni.

Il nuovo partito si pone l’obiettivo di avere un rapporto diretto con gli intellettuali anche di diversa fede politica, in tale ottica va interpretato il rapporto esistente tra Gobetti e Gramsci.

Importante è, anche, il ruolo dei giovani che devono essere inseriti e coinvolti nella politica militante attiva; il partito si poneva l’obiettivo primario di strutturarsi e radicarsi nel territorio in modo da organizzare al meglio i militanti ed i simpatizzanti.



Il PCd’I, come tutti gli altri partiti democratici, venne messo al bando durante il ventennio fascista ed i suoi leader vennero incarcerati o furono costretti all’esilio: Togliatti fuggì in Unione Sovietica dove visse in prima persona, e con molte omissioni, gli anni del terrore e delle tremende purghe staliniane.

Dopo il 25 luglio 1943 Togliatti rientra in Italia e, con la “svolta di Salerno”, pone fine alla questione istituzionale impegnando al massimo il partito, che nel frattempo ha assunto la dizione di Partito Comunista Italiano, nella lotta al nazifascismo e per la ricostruzione del Paese dopo la tragedia del fascismo e della guerra.






Togliatti si poneva l’obiettivo del dialogo e della collaborazione non solo con le altre forze della sinistra, ma anche con il partito di massa cattolico, la Democrazia Cristiana.


Nel secondo governo Badoglio Togliatti diviene Ministro di Grazia e Giustizia e promulga la famosa amnistia nei confronti degli ex fascisti, il primo passo verso il dialogo e l’auspicato accordo con i ceti medi che erano stati la base sociale e politica del fascismo.



Togliatti fu prima di tutto un fine intellettuale, uomo di formazione umanistica ed illuminista che aveva saputo conciliare la propria struttura culturale prettamente crociana con la lezione marxista nell’interpretazione di Lenin e di Marx.

La cultura per le masse e la loro formazione fu di primaria importanza. I comunisti italiani furono predominanti ed egemoni; come ha scritto Giorgio Bocca: “Ora questa egemonia c’è stata nel dopoguerra ,era stata progettata da Antonio Gramsci e messa in pratica dal partito nuovo di Palmiro Togliatti; ma era un’egemonia con fondate motivazioni. Per cominciare, i comunisti leggevano. In tutte le case di militanti comunisti si trovavano i libri che appartenevano genericamente a una cultura di sinistra ma che spesso erano semplicemente dei libri di cultura, prodotti da case editrici di ottimo livello come Einaudi o Laterza”.



Togliatti è stato accusato da più parti di Stalinismo. Sembra opportuno analizzare brevemente tale problematica.



Nel II dopoguerra la figura di Stalin era oggetto di venerazione e di rispetto da parte di tutto il movimento comunista internazionale se non altro per il grande sforzo prodotto dai russi nella lotta contro il nazifascismo: venti milioni di soldati dell’Armata Rossa e di civili sovietici caddero per impedire la vittoria delle truppe di Hitler e di Mussolini.


Premesso ciò non si può non capire l’impossibilità di Togliatti di condannare Stalin e lo stalinismo nemmeno alla luce della denuncia di Krusciov al ventesimo congresso del PCUS dopo la morte del dittatore georgiano e l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956); però dopo tali eventi iniziò nel PCI un lento, ma proficuo periodo di destalinizzazione.


Si deve sottolineare la peculiarità del Partito Comunista Italiano, che fu sempre inserito nella vicenda nazionale essendo avanguardia e baluardo del progresso civile e della democrazia.



L’opera di verità di cui accennato sopra è ben presente nelle seguenti parole di Giorgio Bocca: “Così credo sia impossibile ignorare, nel giudizio globale sul comunismo, il fatto che senza l’Armata rossa e i milioni di morti sul campo di battaglia (che ne facciamo di questi: li sommiamo o li sottraiamo a quelli dell’orrore?) probabilmente non saremmo qui a scrivere o disputare di revisionismo, ma saremmo nel grande Riecco millenario. Il fatto che il paese del comunismo abbia salvato l’Europa da una secolare notte nazista non cancella gli errori e le colpe del sistema, ma ci sembra che spieghi la necessità dei piani quinquennali per la creazione di un'industria e di un armamento pesanti che non saranno equiparabili alla libertà e alla giustizia, ma che le hanno rese possibili almeno da noi, e che in certo senso hanno reso possibile anche la caduta dei regimi comunisti. Il “Libro nero” è un documento attendibile, e ne sono convinti quanti a partire dall’Ottobre rosso hanno intuito e poi constatato le involuzioni del partito unico e del sistema autoritario. Ma che nel corso di una storia tragica, (non all’improvviso, con la scienza di poi) hanno cercato di evitarli o di correggerli, cosa assai difficile nella storia come dimostrano i genocidi delle conquiste spagnole e americane, le stragi indonesiane o indiane, gli eccidi sudamericani o quelli kenyani per mano degli irreprensibili soldati di Sua Maestà britannica. Il comunismo divorava vittime umane, ma accendeva anche speranze e movimenti di liberazione in ogni parte del mondo. Ecco perché a chi ha vissuto questi decenni di storia questo revisionismo in blocco, questi pentimenti tardivi, queste cancellazioni della propria storia, della propria vita appaiono fastidiose”.




La fine dell’unità antifascista, la scissione di Palazzo Barberini e la disfatta elettorale del 18 aprile 1948 segnarono la fine si ogni speranza dei comunisti italiani, ma anche di Nenni, di tenere l’Italia fuori dalla guerra fredda: la “cortina di ferro” scendeva anche sullo stivale ed al partito di Togliatti la storia riservava il ruolo di opposizione che il leader comunista seppe esercitare in maniera equilibrata e non estremista pensando maggiormente al bene comune che a faziosi interessi di parte.



La fedeltà togliattiana per il sistema democratico italiano che aveva contribuito a realizzare si vide nell’estate del 1948 dopo l’attentato da parte di Pallante: il segretario comunista volle evitare ogni tragica involuzione rivoluzionaria che avrebbe soltanto avvelenato gli animi scatenando una nuova guerra civile; aveva capito che a Jalta l’Italia era stata assegnata alla sfera di influenza occidentale e che tali decisione era irreversibile.



La fedeltà al Paese fu molto alta, come d’altronde la devozione alla causa del comunismo internazionale, anche se seppe dire di no allo stesso Stalin rifiutando di abbandonare la guida del PCI per assumere un ruolo di primo piano nelle organizzazioni internazionali comuniste.


Dopo il 1953 la formula centrista entra in crisi e De Gasperi si ritira dalla politica: ci si avvia lentamente verso il centro-sinistra di cui Togliatti vedrà solo la fase embrionale, la lungimirante intuizione di Amintore Fanfani, a cui assicurerà un’opposizione diversa fino all’elaborazione togliattiana, poi portata avanti da Luigi Longo, della “via italiana al socialismo”, cioè la ricerca di accordo ed il dialogo con laici, socialisti e cattolici.



Come dice la nostra Costituzione “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”(art. 49).

Proprio quando i partiti politici italiani si sono allontanati da tale interpretazione è iniziato il logoramento e la degenerazione della democrazia italiana.



In una calda giornata dell’agosto 1964, nel campo pionieri di Artek, in quell’Unione Sovietica che aveva rappresentato una vera e propria seconda patria, la morte scendeva lenta sull’anziano leader comunista che era riuscito a sopravvivere a tre attentati, ma non ad un infarto.


La vita sfuggiva a colui che “sarà ricordato più per i suoi silenzi che per i suoi discorsi” e che “dava del lei anche a se stesso”.


Tutta l’Italia di sinistra esprimeva il proprio dolore partecipando ai suoi oceanici funerali.



Sembra giusto ricordare quell’ora suprema con le parole che ebbe a scrivere Enzo Biagi sull’Europeo nel 1964: “…Nel 1922 rischia di essere fucilato da un plotone di camicie nere; nel 1937, ad Alicante, sfugge miracolosamente ai moschetti dei falangisti che lo hanno messo contro un muro; nel 1948 scampa alle rivoltellate dell’esaltato Pallante. Muore ad Artek, in una dolce, rarefatta aria cecoviana, e la morte lo raggiunge sotto un bosco di betulle, mentre sta facendo un discorsetto in lingua russa ai pionieri del campo. I bambini gli sono sempre piaciuti”.



 
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