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Solo un semplice: IO


18/9/2010- troppo poco per una simile bellezza!

Un giorno Io, sacerdotessa di Era, figlia di Inaco re di Argo e della ninfa Melia, mentre rientrava alla casa paterna, fu fermata da Zeus che le dichiarò il suo amore.
Io, spaventata da quelle parole, iniziò a fuggire ma Zeus, non volendo rinunciare a lei, la inseguì sotto forma di nube.
Per sfortuna di Io in quel momento Era, moglie di Zeus, accortasi dall'Olimpo della strana nube che correva veloce e conoscendo il suo sposo, capì subito che il prodigio altro non era che Zeus ed immediatamente intuì il tradimento.
Il "padre degli dei", avendo avvertito la presenza della consorte, trasformò la dolce Io in una candida giovenca. Il sotterfugio però non ingannò Era che gli chiese di donarle l'animale.
Zeus era combattuto: negarle il dono significava ammettere il suo tradimento, ma concederglielo significava condannare Io ad un triste destino. Alla fine Zeus preferì evitare l'ira della sua sposa e le consegnò la giovenca.
Non ancora tranquilla Era preferì affidare la custodia della giovenca ad Argo, gigante dai cento occhi, chiamato dai greci Panoptes (= che vede tutto).
Da quel momento iniziò per Io una vita terribile sotto forma di giovenca e in ogni momento controllata da Argo, sia di giorno che di notte, in quanto i suoi cento occhi, che non erano posti tutti sul capo ma in ogni parte del suo corpo, si riposavano a turno: mentre cinquanta erano chiusi, gli altri cinquanta vegliavano.

Il tempo scorreva triste per la povera Io, costretta di giorno a pascolare e ad abbeverarsi presso fiumi fangosi e di notte ad essere legata con un collare per non scappare via.
Zeus, che si sentiva colpevole per aver condannato Io ad un così crudele destino, chiamò Ermes incaricandolo di liberare la fanciulla dalla schiavitù a cui Era l'aveva condannata.
Il giovane dio si presentò ad Argo sotto le sembianze di un pastore. Ermes iniziò a suonare uno strumento formato con le canne e la melodia era tanto armoniosa che Argo lo pregò di pascolare le sue capre. Ermes si sedette al suo fianco ed iniziò a suonare delle dolci nenie che inducevano al sonno chiunque le ascoltasse e, quando si accorse che finalmente tutti i cento occhi di Argo si erano chiusi, lesto lo uccise gettandolo da una rupe e liberando così la giovane Io.
Era, accortasi della morte di Argo e vedendo che non poteva più fare nulla per lui, prese i suoi cento occhi e li fissò alla coda di un pavone, animale a lei sacro.

Perché questo mito greco?

La colpa è del grande naturalista svedese Linneo che ha usato la sua grande fantasia e la sua conoscenza della mitologia per classificare, con appropriati nomi, ogni pianta ed ogni animale della Terra (non tutti certamente, ma una stragrande maggioranza).
A questa splendida farfalla, una delle più belle del patrimonio italiano, attribuì il nome Inachis io, tradotto poi nel nostro brutto Pavone di giorno, nel meno brutto Vanessa io, l’accettabile Pavone ed il giusto semplice IO.
Però, però, Linneo credo che abbia confuso l’Argo del mito di Io, con la giovane donna tramutata in giovenca.
Io era bianca, di un biancore niveo, non aveva colori, mentre era il suo carceriere occhiuto "a par di pavone" che poteva essere usato a simbolo degli stupefacenti ocelli che la nostra farfalla mostra vanitosa.

Ma dove si trova la bellezza se non in una donna?

Scusa Lin, ti ridò fiducia!

Questa foto fa da riscontro alla precedente, anche nella necessaria battuta:
“OH Io, oh te! Se vai ner fio di mercoledì… e ‘un ti ci voglin tant’occhi pe’ vedello 'r mangià, e anco se ce n'hai cento... e ci 'nciampi!"


 
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