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Intervista al pittore Alessandro Tofanelli: racconto quello che conosco


2/10/2010- VECCHIANO - Intervista al pittore Alessandro Tofanelli. La sua formazione artistica, le sue scelte professionali

INTERVISTA AD ALESSANDRO TOFANELLI
pittore e documentarista viareggino che vive da anni a Migliarino, paese nel quale ha scelto di abitare e dalle cui bellezze naturali nascono le sue opere.

Biografia


Alessandro Tofanelli è nato a Viareggio il 10 aprile 1959. Si è diplomato all'Istituto d'Arte di Lucca.
Dal 1977 al 1980 ha soggiornato a Milano, frequentando l'Accademia di Brera.
Dal 1977 inizia a collaborare all'illustrazione di vari riviste edite da Rizzoli e Mondadori.
Nel 1975 vince il primo premio "La Resistenza" (il dipinto si trova nella Galleria d Arte Moderna di Lucca) e il primo premio "Concorso INA-Touring" a Palazzo Strozzi di Firenze.
Nel 1984 vince il premio "Giotto d'oro"; nel 1987 vince il premio "Under 35" a Bologna, il premio "Onda Verde"a Firenze e il premio internazionale "Ibla Mediterraneo".

Tofanelli ha da sempre abbinato all'attività pittorica quella di fotografo e videodocumentarista professionista. Numerosi sono infatti i suoi lavori video trasmessi dalle reti RAI (in programmi a sfondo naturalistico-scientifico come Onda Verde, Geo, ecc.), cosi come i suoi servizi fotografici sono stati ospitati spesso da pubblicazioni specializzate. Le sue opere pittoriche fanno parte di importanti collezioni private e pubbliche, nazionali e internazionali.
Nel 2005 è uscito il suo primo lungometraggio come regista, “Contronatura”, che ha vinto il Premio speciale della giuria al Festival di Viareggio Europacinema nel 2005 e il festival Nice di New York e San Francisco nel 2005-2006.

Intervista di GIULIA BAGLINI

Mi parli della sua formazione come pittore. Come si è avvicinato a questa arte?


La pittura in casa mia c’è sempre stata. Ho avuto la fortuna di avere un bravissimo zio scultore, Bruno Filié, che abitava a Pietrasanta ed era più conosciuto nel mondo che nella nostra zona.
Lui è stato quello che fin da piccolino ha risvegliato in me certe curiosità, certe attenzioni.

Già all’età di cinque anni mia madre mi portava nella sua bella casa, una delle prime case con disegno in stile americano, tutta a un piano, di legno, con una concezione molto all’avanguardia.
Vedendolo lavorare alle sue sculture capitava di venire a contatto con tanti artisti provenienti da varie parti del mondo.

Oltre all’influenza che questo ambiente così culturalmente vivo può avere esercitato su di me, mi sono reso conto fin da piccolissimo di avere uno spiccato senso del disegno e una propensione naturale per la prospettiva.
Avevo uno zio che mi portava in giro per far vedere come ero bravo a fare le automobili, che disegnavo a partire da un fanale.
Alle elementari gli insegnanti si erano accorti che c’era qualcosa e hanno sempre cercato di mettermi nella condizione di poter disegnare. Ci fu un momento che mi segnò : in seconda elementare vinsi un concorso di disegno .

Nel prosieguo dei suoi studi ha scelto un indirizzo legato alle arti visive?

Non è stata una scelta immediata, in quanto nella mia vita anche la musica è sempre stata importante.
Da ragazzo ho suonato in un complessino e in seguito la musica ha sempre rappresentato uno strumento di concentrazione irrinunciabile per il mio lavoro.
Infatti sono arrivato alla pittura un po’ sdoppiato : fino alla fine delle medie ero indeciso se fare l’istituto d’arte o il conservatorio, fino al punto che lanciai la monetina e venne fuori l’istituto d’arte, nella fattispecie quello di Lucca.
Qui, sia il professore di disegno dal vero che il professore di disegno professionale mi dissero che se volevo andare avanti con il disegno dovevo andarmene. E allora andai a Milano all’Accademia di Brera. Visto che mia madre era vedova decisi che per potermi permettere gli studi avrei dovuto trovarmi un lavoro e mi misi a cercare qualcosa che fosse legato al disegno.
Cominciai a fare il giro delle redazioni dei mensili, arrivando alla Rizzoli e alla Mondadori per collaborare come illustratore a due riviste di salute, Salve e Star bene.
Era un lavoro che mi permetteva di restare a Milano e mi dava la possibilità di fare quello che volevo.
Dalle riviste poi passai in maniera molto naturale alla pubblicità, visto che venni cercato da chi aveva visto i miei lavori di illustrazione.

Come si sono realizzate le condizioni che la portarono a utilizzare in maniera più autonoma le sue doti creative?

Il salto di qualità avvenne con la scoperta dell’aerografo, uno strumento del quale rimasi affascinato dopo avere visto una mostra sugli iperrealisti americani, artisti che lavoravano sia olio che acrilico e portavano avanti una tecnica e dei materiali nuovi che in Italia non si erano mai visti.
Con i soldi guadagnati facendo il bibitaio mi comprai il primo compressore e la prima aeropenna, studiando tutta un’estate per imparare a usarla.
Preparai qualche lavoro e alla fine dell’estate avevo un portfolio già abbastanza ricco,con i lavori per l’editoria e i lavori fatti con l’aerografo.

Naturalmente non usavo solo l’aerografo, lo consideravo uno strumento che doveva servire a raggiungere degli effetti , da integrare con il resto del lavoro che era a pennello.
Diventai quello che usava l’aerografo in Italia, vennero scritti anche degli articoli.
Da lì finalmente riuscii a tornare in Toscana e a portarmi il lavoro a casa. Fin da piccolo avevo sempre sognato di vivere in una casa nella macchia, capitò questa occasione e fu così che mi trovai nel mio habitat più congeniale.
Non ero più obbligato a stare a Milano, che per uno come me era come stare in galera e allora iniziò una nuova vita. Un nuovo modo di lavorare e di vivere.

Avevo anche un altro sogno : quello di lavorare come pittore per conto mio.
Lavorare nella pubblicità non era quello che volevo io, avevo bisogno della mia autonomia, di fare quello che sentivo io, senza dover per forza parlare bene di un prodotto.
Inoltre sentivo che la pubblicità come la intendevo io non sarebbe durata a lungo perché cominciava ad arrivare il computer, che poi ha distrutto o peggiorato tanti aspetti qualitativi : infatti, mentre a certi livelli di rappresentazione come la cinematografia il computer ha fatto passi da gigante, nella pubblicità i tentativi di emulare il disegno o la pittura producono risultati molto discutibili.
Fu in quella particolare situazione che il bisogno sempre impellente di dipingere e la presenza costante della pittura dentro di me emersero più prepotenti che mai.
Fu così che cominciai a lavorare pensando alla pittura come ad un lavoro a tempo pieno e mi impegnai per trovare una galleria di riferimento con la quale lavorare e produrre delle cose. Questo avvenne e da lì cominciò l’avventura della pittura.


Come si chiamava la galleria per la quale ha iniziato a lavorare come pittore?

Era la Galleria Blue Chips di Lucca, che ora non c’è più, presieduta da Omero Biagioni, un vero amante dell’arte,colto, preparato, come non ce sono più. Cominciai con lui.
Per me fu un grande colpo di fortuna, anche se in questo caso alla fortuna non ci credo perché se uno le cose le fa in un certo modo e le cerca, poi piano piano arrivano. Senza dubbio fu un’occasione importante .
Ero molto giovane e lui fece su di me un lavoro non solo di gallerista ma anche di comunicazione, permettendomi di andare alle fiere importanti, che erano ancora luoghi di incontro e non solo di vendita come adesso, dove si comunicava con gli altri galleristi,dove le mostre dei vari artisti facevano il giro delle varie gallerie.
Si lavorava bene e si lavorava in tutta Italia.
Le gallerie di qualità non erano tantissime, ma se uno aveva i numeri ci arrivava. Omero mi ha portato fino ad un certo punto e poi le nostre strade si sono divise : a un’età avanzata come quella che cominciava ad avere Omero l’impegno, la passione, il tempo e la forza, indispensabili per un gallerista,stavano diventando ancora più onerosi.
Questo la dice lunga sul fatto che non bastano i soldi per fare lavori come il gallerista o il produttore, dura poco in questo modo.

Che cosa ha scelto di rappresentare nelle sue opere e quali sono le scelte espressive che stanno alla base della sua produzione artistica?

Da sempre racconto quello che conosco : nei quadri, nei documentari e anche nel film che ho fatto ho raccontato una storia nostra, una storia mia soprattutto, ma che riguarda un territorio e che racconta qualcosa che in tanti conosciamo.
Nel mio lavoro c’è sempre stato il bisogno di raccontare e naturalmente a seconda di quello che utilizzo - pittura, documentario o film - racconto in modi diversi.
La pittura, nella sua essenzialità, mi costringe a fare un racconto che si limita allo spazio dove faccio il lavoro, che può essere la tela o la tavola.

Tuttavia, la pittura, a differenza della fotografia, che spesso è nello spazio, è come la musica : è più nel tempo, è un divenire.
Un dipinto si realizza nel tempo, non ha l’istantaneità della fotografia, che rappresenta una cosa che si vede, che c’è.
La pittura va oltre, per quanto riguarda me è interpretazione, è racconto.
Quando inizio a dipingere una tela quello che faccio mi si muove anche mentre lo faccio, non è detto che quello che ho pensato inizialmente poi alla fine sia veramente quello che verrà fuori a conclusione.

E’ vero che chi lo vede lo vede nella sua conclusione , ma per me cambia proprio il modo e l’approccio nell’esecuzione.
Questo conferma anche la mia scelta stilistica di non essere un paesaggista : i miei paesaggi non esistono, mi sarà capitato una volta o due di rappresentare un paesaggio reale.
Io rappresento quello che è il mio territorio : la Pineta, le case, il Parco, il Lago.
Tuttavia non rappresento nulla di quello che esiste veramente, è tutto ruminato, trasformato, ricostruito, perché io ho bisogno di pensare a quello che sto rappresentando, non posso limitarmi a ripeterlo altrimenti faccio una fotografia.
Con la pittura voglio raccontare quello che è il mio sogno ed esprimere la magia e il mistero che sono insiti in essa, cercando sempre di metterci attenzione, ricerca e dedizione totali.
Non a caso nelle ultime opere sono diventato ancora più metafisico, andando ad esasperare la memoria e ad interpretare il sogno, andando a toccare quelle corde che possono creare nello spettatore delle sensazioni.

Che significato ha avuto per lei esporre i suoi quadri nel Magazzino dei Cereali a Migliarino,nel 2007, in un luogo così particolare e così immerso nei luoghi della sua produzione pittorica?
Lo spazio dei Magazzini dei Cereali non è un luogo deputato per le mostre.
Tuttavia, penso che esistano altri spazi oltre a quelli istituzionalmente dedicati alle mostre, oltre ai musei: lo spazio diventa tale quando ci mettiamo dentro delle cose , siamo noi che lo facciamo diventare lo spazio per le cose.
Il Magazzino dei Cereali è un granaio,molto interessante dal punto di vista architettonico e rimasto inutilizzato da tempo.
I proprietari hanno maturato l’intenzione di utilizzarlo per eventi culturali di un certo tipo e io sono rimasto affascinato da questa idea.
Spesso però in questo tipo di società viviamo in una sorta di egoismo intellettuale, dove una volta che si è risolto il nostro, ce ne freghiamo di tutto il resto … Avere uno spazio dove si possono scambiare idee e vedere i lavori degli altri artisti per me invece è stato importante. Per me era importante fare la mostra ma anche vedere cosa avrebbe portato, cosa sarebbe arrivato dopo in termini di attenzioni e di sperimentazioni.
A parte la mostra sul Bosco del mito del 2006, che era una collettiva, dove ho esposto con un quadro, la prima vera mostra personale, quella del 2007, è stata la mia. Per me è stato importante farla, era importante farla lì, perché a volte si lavora in tutto il mondo ma le persone che vedi tutti giorni non sanno nemmeno cosa fai.
Ogni tanto diventa importante essere presenti nel proprio territorio.
In conclusione sono state queste le due cose che mi hanno stuzzicato : mi è sembrato positivo fare una cosa qui perché io sono qui e le cose che porto in giro per il mondo nascono qui e poi si trattava di uno spazio che poteva diventare interessante, per tutto quello che poteva arrivare, per gli stimoli.

Il fermento culturale nato in seno ai Magazzini dei Cereali si è evoluto solo parzialmente. Quali sono secondo lei le ragioni?

Se tutti gli stimoli che erano in premessa non sono stati coltivati dipende dal fatto che questa iniziativa era una cosa molto privata, dove le due sfere, quella privata e quella istituzionale, erano separate.
Per fare delle cose buone bisognerebbe arrivare al punto che le due sfere si incontrassero.
Inoltre ci vogliono persone illuminate, soprattutto nell’amministrazione. L’assessorato alla cultura dovrebbe essere il fiore all’occhiello di ogni comune, se invece diventa latitante le cose si fanno ma è come se non fossero state fatte.
In ogni comune ci sono tante cose importanti, ma alla cultura bisognerebbe trovare veramente la persona giusta, appassionata,preparata, colta. Dare un assessorato alla cultura in mano a persone che non hanno grande dimestichezza con un certo tipo di gestione è grave.

Qual è il suo rapporto con la Natura, come fonte di ispirazione per i suoi quadri e i suoi documentari?

Da piccolo mio padre mi portava nella macchia, insieme alla mia biciclettina con le ruotine. A quel tempo bastava entrare e dopo cento metri si trovavano subito i funghi, era una cosa incredibile. A Torre del Lago, mia madre aveva messo una tovaglia nella macchia e mio padre si accorse di essersi messo a sedere su dei porcini.
Mio padre è morto quando avevo dieci anni e di lui ho dei bellissimi ricordi. Era cacciatore e pescatore di lago e aveva un rapporto fortissimo con il lago e con il padule.
Ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi ha fatto un po’ da padre, che ha colmato quella cosa che mi mancava, era un pescatore che aveva un retone sul lago e con lui ci ho passato tanto tempo, mi ha insegnato a mandare il barchino, in piedi, remando con un remo solo. Mi ha insegnato un sacco di cose.
Piano piano ho messo insieme tutte queste cose e le ho elaborate.
Bertold Brecht è l’autore di una frase condivisa anche da Silvano Ambrogi : “Se vuoi essere universale parla del tuo paese” .
Anche a me è venuto automatico pensare che se dovevo raccontare qualcosa dovevo raccontare quello che conoscevo.
Ricordo che in occasione di un concorso mondiale tra tutte le scuole d’arte del mondo organizzato dal Touring Club e da Ina Assicurazioni, per il quale vinsi il primo premio,per la prima volta rappresentai bene il lago, come lo vedevo io, strutturato in un certo modo; anche in quel caso era un lago sognato, dove c’erano le baracche per le barche e le cose abbandonate sui tetti e dove rappresentai i cacciatori mentre richiamavano gli uccelli.
Si sentiva e si vedeva già questo senso di abbandono e mi è sempre piaciuto fare questo tipo di racconto.
La stessa cosa è avvenuta con i documentari. La prima cinepresa professionale l’ho presa da ragazzo, cominciando a girare cose sempre legate alla natura. Da lì mi sono specializzato sui documentari naturalistici, che tra tutti i tipi di lavori, sono quelli che mi hanno dato più soddisfazione, non come risultato del lavoro ma per il fatto stesso di realizzarli : mi dà soddisfazione stare nell’acqua , andare a cercare gli animali, vivere a contatto stretto con la natura.

Silvano Ambrogi nel 1991 scriveva su di lei :
Si capisce che certi paesaggi nascono da giornate lunghe e solitarie , da frequentazioni assidue e partecipi, da amore violento ed esclusivo per i suoi luoghi. L’amore di Tofanelli per la Natura non è la passione artefatta , il tributo cittadino a una moda che sta diventando orribilmente snob, ma l’adesione piena all’esistenza, all’umanità. Per questo sarebbe sbagliato scambiarlo per un realista o un paesaggista, sia pure raffinato; certe composizioni geometricamente strutturate, richiamano con straordinaria tensione entità sublimi e astratte, misteriose e rasseneranti nello stesso tempo: il Silenzio e la Lontananza. Perché non si tratta soltanto di una Natura osservata e conservata dentro con ostinazione, intuendo l’avvento truce dei massacratori. Lo vediamo, lo sappiamo bene: Tofanelli allude di continuo a un paradiso perduto o disperatamente sognato.
Nella citazione lo scrittore migliarinese alludeva ai suoi quadri ; tuttavia, il riferimento ai massacratori e al paradiso perduto richiama alla mente il ritratto del territorio che emerge dai suoi documentari, ovvero quello di uno scrigno che è sottoposto a minacce continue da parte dell’uomo.

Il territorio può essere predato : noi viviamo in un ambiente continuamente a rischio, il lago ormai è un lago morto se lo confrontiamo con la varietà che c’era prima.
Io ho vissuto l’ultima parte buona del lago. Noi abbiamo ambienti bellissimi ma che hanno bisogno di interventi. Anche nei documentari che ho fatto, racconto che siamo di fronte a un ambiente artificiale, nel quale preesisteva una selva malarica.
Con l’intervento umano abbiamo fatto sì che questo posto diventasse un posto eccezionale.
Basti pensare che alle Lame in San Rossore c’è l’acqua dolce a pochi metri dal mare, quando di solito è salmastra. Non sappiamo quanto potrà durare e se non vengono fatti interventi precisi si rischia di perderle. Per non parlare dell’erosione e delle infiltrazioni.
Il lago è abbandonato da tempo e necessita di interventi. Prima gli interventi li facevano i cacciatori, ora ce ne sono pochi e possono far poco per via dei divieti che scoraggiano chiunque. Ma qualcuno lo deve fare.
E’ impensabile che se devo filmare degli animali per Quark o per Geo io debba andare dai cacciatori, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. I cacciatori fanno bene, ma la parte più sostanziosa che è il Parco, dov’è? Non c’è.
Non basta rinnovare le passerelle sopra il lago, bisogna intervenire dentro il Lago. Secondo me quello che conta è il flusso di visitatori, più gente viene meglio è. Ho la sensazione che ci sia troppa ignoranza e che molti giochino su questa ignoranza : la gente arriva lì e vede l’acqua, nessuno dice niente e nessuno si immagina che è un’acqua morta senza nemmeno più un’anguilla.
E’ lo stesso discorso che facevo prima per la cultura, se in certi ambiti ci sono degli amministratori che poi non sanno intervenire, i risultati sono questi.
Anche due comuni politicamente diversi come Vecchiano e Viareggio dovrebbero scegliere nel settore ambientale delle persone adeguate e preparate.
Se non ci sono tecnici nell’amministrazione del parco il risultato poi è quello che è sotto gli occhi di tutti.
Al posto delle sole posizioni politiche, sarebbe bene che ogni tanto venisse scelto qualcuno esperto nel suo settore, senza stare a vedere la sua appartenenza politica.

Con il documentario “I giorni della paura” è stato testimone in presa diretta dell’alluvione che ha colpito Nodica e Migliarino lo scorso Dicembre. Come ha vissuto questa esperienza, l’esperienza di filmare una tragedia che si compie sotto i propri occhi?
E’ partita per caso, quella mattina stavo andando allo studio a lavorare e al semaforo ho visto che avevano chiuso il ponte, mi sono affacciato e ho visto che il fiume stava per venire fuori.
E’ stato automatico : sono tornato a casa, ho preso la videocamera e ho cominciato a filmare.
In quel momento l’urgenza era di voler registrare quello che stava succedendo, non c’era ancora l’idea di tirarci fuori un lavoro.
Quando mi capita una cosa particolare la filmo e poi la metto in archivio, sapendo che mi servirà. E normalmente mi serve, perché se arrivo al punto di filmarla vuol dire che ha già qualcosa di forte.
Mentre ero lì ho assistito al momento in cui il Serchio è calato di colpo e sembrava che tornasse indietro. E’ stato il momento che è uscito.
Il primo giorno è stato un giorno molto lungo, mi sono spostato, sono andato sull’autostrada e sul mare, ho raccolto tanto materiale.
Nell’82 c’ero già passato, il Serchio ruppe proprio davanti a casa mia, rimanemmo allagati, ma eravamo pochi e ci rimisero solo i poveri tacchini dell’allevamento Salviati.
L’evento ebbe poca risonanza, c’erano solo i curiosi che venivano a vedere dove allagava l’acqua.
Questa volta invece è stato tremendo. Ho cercato di avvicinarmi il secondo giorno, ma era fisicamente difficile avvicinarsi e non ti facevano avvicinare.
Ma più trovavo intoppi e più mi caricavo e allora è nata l’esigenza di tirarci fuori un lavoro.
A differenza del film e dei quadri, dove sono io che decido le cose, nel documentario invece sono solo quello che registra le cose, raccogliendo e mettendo insieme i materiali. E ‘ venuto fuori questo lavoro,un lavoro difficile, che mi ha anche stancato molto e dove mi sono trovato molto solo.
In verità si trattava di un lavoro che dovevi fare anche un po’ da solo, se ci fosse stata una troupe sarebbe stato tutto più difficile e invece da solo riuscivo a infilarmi e a passare, se c’era un vigile che non mi faceva passare allungavo passando da un’altra parte e riuscivo a lavorare comunque.
Il lavoro che è venuto fuori alla fine è l’unico documento che c’è, perché quelli dei telegiornali durano poco o sono stati fatti tutti nel solito posto, dove c’era il punto di ritrovo o sull’argine.
Mancava una struttura che collegasse tutto e quindi filmare questo evento è diventato una necessità.
Ho intervistato le persone, dando spazio a tutti, era importante che parlassero proprio le persone che hanno subito i danni, da quello che aveva perso tutto a quello che aveva perso la baracca degli attrezzi .
Ho intervistato anche gli operai delle fabbriche coinvolte e ho parlato con i proprietari. Ho dato spazio anche al Sindaco di Vecchiano, al consorzio di Bonifica e alle forze dell’ordine.
Alcune cose sono incredibilmente belle, nonostante si parli di una tragedia.
Quando sono entrato con la barca nelle pioppete , dove c’erano tre metri d’acqua e ho filmato il grande uliveto che si vede dalla Traversagna, sembrava di essere in Thailandia, in un altro posto. Era una magia un po’ sinistra,quella magia che ti prende e ti tira a sé: girare intorno a queste case allagate, in questo enorme lago che si era formato - era il doppio del lago di Massaciuccoli - vedere le montagne come se ci fossero sempre state, la neve, il sole che rare volte appariva …

Dopo il film “Contronatura” ha in serbo altri progetti cinematografici?

Dopo Contronatura ho scritto altre cose però poi sono ritornato ad un progetto che sto finendo ora e che vorrei realizzare.
Contronatura mi ha aperto una porta, uno spazio dove io sono entrato e che potrei esplorare in molti modi.
Contronatura aveva una sua struttura ed era una storia precisa, con l’aggiunta di quegli elementi fantastici che sono legati intimamente alla natura.
La natura, da personaggio attivo quale era nel mio primo film, in questo nuovo lavoro diventa un personaggio forte che si muove insieme ai protagonisti, affiancata dall’elemento fantastico come elemento portante.
E’ una storia dove c’è questo ritorno fortissimo alla natura e soprattutto al nostro territorio.
Io continuerei a raccontare il nostro territorio, ma in un altro modo : più rigoroso, ancora con meno concessioni, senza sbavature.
E’ un lavoro che vorrei realizzare perché lo sento necessario, a differenza di altre cose che ho scritto e che devono sedimentare.

In base alla sua esperienza decennale di artista come giudica il panorama culturale italiano?
La mostra di Migliarino ha dimostrato che a differenza di cose che puoi fare in giro per il mondo e che realizzi in breve tempo fare la stessa cosa qui diventa più complicato.
Diventa tutto più difficile, forse per il detto “Nemo propheta in patria”.
Mi rendo conto che se faccio una cosa a Madrid, a San Francisco o a Londra è molto più semplice che farla qui , come a Viareggio o a Pisa. E questo è preoccupante, perché non riguarda solo me, non è che se non ci sono io c’è qualcun altro. Non c’è proprio niente.
Vengono riproposte solo mostre di artisti del passato, come Chagall e Mirò a Pisa, per fare un esempio.
E’ giusto che chi non li conosce li veda, ma sono convinto che parallelamente dovrebbero esistere manifestazioni legate ad artisti viventi.
Nella nostra società si è ormai consolidata la tendenza ad organizzare mostre di grandi autori non più viventi, quando invece la storia dell’arte è andata avanti con grandi mostre di autori vivi.
Basti pensare agli impressionisti, ai macchiaioli, all’espressionismo : tutti i movimenti artistici europei e le grandi mostre erano fatte di artisti viventi.
Ora una grande mostra si fa su Caravaggio, che va benissimo, ma sembra quasi che per arrivare ad avere un’attenzione di un certo tipo bisogna esser morti. E questo è un po’ triste.
La pittura spesso viene bistrattata perché chi fa pittura oggi sembra una mosca bianca.
Per esempio Fazio nella sua trasmissione della sera in tv non ha mai invitato un pittore o uno scultore, facendo quasi sembrare che la categoria non esista.
In un mondo dove la televisione comanda tutto e dove si invitano solo giornalisti cantanti, musicisti, attori, scrittori e non viene mai invitato un artista,chiunque sia, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Anche se lo fanno per pubblicità.
E’ strano che in queste trasmissioni che vanno avanti per tutto l’anno non ci sia mai una puntata dedicata a rappresentanti del mondo dell’arte.
Anni fa c’erano trasmissioni dedicate a De Chirico, Vespignani, Guttuso, dove gli artisti venivano ripresi mentre dipingevano e si raccontavano. Questo non esiste più ed è un segnale pericoloso.
Anche nel cinema la situazione non è diversa.
Purtroppo fare un film oggi è diventato difficilissimo perché bisogna trovare un sacco di soldi per girarlo.
E’ un periodo che certe storie fanno fatica d essere accettate da chi ha in mano il potere di decisione, c’è un decadimento fortissimo, perché si predilige la realizzazione di storie di un certo tipo.
C’è sempre stato il film di botteghino, di cassetta, ma dall’altra parte c’era anche l’occasione di sperimentare di più.
Se si pensa ai film che venivano prodotti vent’ anni fa e quelli che vengono prodotti ora siamo alla decima parte.
Ora andare da una produzione di un certo tipo e presentare un certo tipo di lavoro è difficile.
Da noi si parla spesso del cinema americano, che ha ottenuto molti premi nell’ambito delle produzioni indipendenti, mentre da noi non ci riusciamo.
E’ un problema italiano, non riusciamo a creare uno spazio di cinema indipendente, siamo tutti insieme , ma il primo che trova il modo di fare il suo film, manda tutti gli altri a spigare …
Le persone si fanno comprare facilmente. Questo vale un po’ per tutto.
E’sempre più difficile portare avanti delle storie di un certo tipo; è chiaro che se io domani presentassi un film del filone Moccia, avrei più possibilità. Ma non è nelle mie corde e credo che non mi riuscirebbe neanche.
Sto sempre cercando di fare un percorso inverso e finché mi riesce cercherò di portarlo avanti.
Anche per il film che vorrei fare dovrò arrivare al punto di mettere su una produzione mia e di farlo con i mezzi che ho. E farò così.
Ci sono degli attori con i quali ho parlato e che sarebbero disponibili a partecipare, l’importante è trovare questa forma di collaborazione per cui la produzione ci creda, accompagni e protegga il film.
In Italia ci sono tre o quattro produttori nelle cui mani si accentrano gran parte dei progetti.
Bisogna trovare altre soluzioni. Credo che questa nuova tecnologia ci darà una mano e questo vale anche per uno come me che è sempre stato legato alla pellicola. Con l’ausilio di nuovi mezzi tecnologici, ci sarà un abbattimento dei costi e allora forse ci sarà la possibilità di produrre senza sottostare alle regole di quelle tre o quattro case produttrici.
Un’altra nota dolente del nostro cinema è la mancanza della distribuzione. Silvano Agosti, un regista ora inattivo, disse in un’intervista che per risolvere il problema della droga bisognava farla distribuire alla Italnoleggio, società pubblica di distribuzione italiana nota per le sue numerose operazioni fallimentari .
Tanti lavori realizzati con i soldi del Ministero, quindi con i nostri soldi, rimangono in un cassetto.
Spesso ci sono cose di eccelsa qualità che non vedremo mai. Abbiamo uno spazio ma non abbiamo niente da metterci dentro. Ne siamo sicuri? Se selezionamo bene, possiamo scoprire delle cose di qualità.
Purtroppo stiamo andando sempre di più verso un punto dove tutto si può comprare …
Così si arriva poco lontano.. a parte Visconti che ha distrutto un patrimonio per fare i suoi film – e menomale lo ha fatto - nella maggior parte dei casi si tratta di gente piena di soldi che investe in operazioni fallimentari e brucia un sacco di soldi per niente.
Anche nella pittura chiunque ha disponibilità di soldi si compra le cose, se vuole apparire in una rivista d’arte si compra la pagina.
Prima invece c’era una selezione, alcuni potevano, altri non venivano ammessi.
I critici si rifiutavano di presentare alcuni pseudo -artisti. Ora qualsiasi critico, se pagato, scrive bene …
Andiamo a vedere nel mondo del cinema attuale … Ci sono i soliti registi con i soliti produttori che fanno le solite cose e che si danno i premi tra loro … Chi vuol proporre delle cose diverse viene giudicato privo di interesse e questo è molto pericoloso perché ti mette in uno stato di regime, per cui c’è chi decide e dice “ Te sì, te no!”
L’unica via di salvezza è quella dell’iniziativa personale, finalizzata all’inserimento in un gruppo di persone che cerca di proporre cose diverse e che cominciano a muoversi, sfruttando traiettorie diverse e canali alternativi ed inventandone di nuovi se necessario.
L’attenzione è azzerata.
Se io, o altre persone come me, faccio una cosa dedicata al mio paese, a Vecchiano, e ci dedico la vita , il sudore e il sangue,sono sicuro che quando la rappresento ci sono quattro gatti.
Sono cose che non vengono supportate, non si può dare solo colpa alla gente.
E’ vero che la gente ignora queste cose o per ignoranza o perché le sottovaluta in quanto legate ad artisti vicini al loro territorio.
Tuttavia manca proprio l’attenzione, il supporto della comunicazione e la diffusione nelle scuole : è inutile pretendere di cambiare il cervello di una persona già matura, se si fa un lavoro dal basso si può invece sperare di cambiare le cose.

Quali sono le attività che sta svolgendo attualmente?
Collaboro con una galleria di Londra e sto preparando una mostra, ne ho già fatta una a febbraio. Sono diversi anni che lavoro anche a San Francisco. Ho un nuovo contatto di lavoro con Madrid e una mostra in preparazione anche lì.
Ho in serbo anche un grosso progetto che sto preparando : si tratta di un’installazione video affiancata da immagini pittoriche dove si racconta la vita del Martin Pescatore attraverso la descrizione delle sue abitudini come il volo, la caccia, la costruzione del nido.
Oltre all’aspetto documentaristico, dove racconto per immagini la vita del Martin Pescatore , in un altro spazio c’è l’interpretazione pittorica, con una quindicina di dipinti, tutti di un metro per un metro dove rappresento questo uccello in diverse forme e dove sono libero di interpretarlo come voglio, senza darmi regole.
L’unica regola che mi sono dato è di rappresentarlo sotto l’acqua, che è l’elemento che deforma il Martin Pescatore e che mi permette di entrare nel percorso fantastico, in tutta quella parte che è dentro di me, che non ha niente a che fare con gli elementi tecnici delle realizzazione pratica e che riguarda solo l’aspetto creativo.
La parte scientifica verrebbe curata dal Dipartimento di Etologia dell’Università di Pisa, in modo che tutti gli apporti e le esperienze sul campo andrebbero a formare un testo-libro, diviso in parte scientifica e parte artistica.
L’opera sarebbe accompagnata da un percorso didattico e si presenterebbe come progetto itinerante.
L’idea è di mettere insieme i cinque comuni della Comunità del Parco, le due provincie di Lucca e di Pisa e il Parco Naturale e di far viaggiare il progetto in comuni come Pisa, Vecchiano, Viareggio, Torre del Lago, Massarosa e San Giuliano, in modo da farlo arrivare alle persone e agli studenti.
Sarebbe opportuno riuscire a trovare anche uno sponsor.
A Torre del Lago mi piacerebbe farlo sull’acqua, collocando dei grandi schermi sul lago e vedendo l’effetto riflesso nell’acqua, dovrebbe derivarne una suggestione assoluta fatta di suoni e rumori.
Lo spazio sottostante al teatro mi permetterebbe anche di allestire la parte espositiva.
Questo tipo di realizzazione è più difficile e richiede un’organizzazione più complessa.
Una soluzione secondaria potrebbe consistere nella scelta di San Rossore, per un allestimento da realizzare nei prati della pineta dalla primavera in poi.

Silvano Ambrogi : uno scrittore nato a Roma e cresciuto a Migliarino e che ha saputo comunicare l’amore per questo paese attraverso il suo romanzo “Le Svedesi “. Quale ricordo conserva di questa importante figura della cultura italiana contemporanea?
Io ho un ricordo vivo di Silvano perché abbiamo fatto diverse cose insieme e insieme abbiamo scritto la sceneggiatura de “Le Svedesi” per tirarci fuori un film.
Quando sono venuto ad abitare a Migliarino non conoscevo ancora questo romanzo, me lo avevano sempre rammentato ma non lo avevo mai letto.
Alla fine riuscii a trovare una copia fotocopiata … lo lessi e in una notte ebbi questa illuminazione : “Ma questo è un film, ma questo è fantastico!” Contattai subito Silvano e andai da lui a Roma, gli parlai e venne fuori questa collaborazione.
E’stato un lavoro travagliato perché se io vado a parlare con una persona che non è pronta o che non si vuol sentir raccontare certe cose, è finita.
Parlando del progetto con un dirigente Rai questi mi disse che c’erano già due illustri precedenti : “Sapore di Mare “1 e “Sapore di Mare 2”. A quel punto capii che sarebbe stato difficile andare avanti, perché si trattava di film che non avevano niente a che fare con “Le Svedesi”.
Questo romanzo era un vero e proprio esperimento culturale : è vero che si parla di un paese, di un gruppo di vitelloni toscani che aspettano queste mitiche svedesi che non arrivano mai, ma è anche uno spaccato di uno spazio senza tempo …
Io lo avevo ribattezzato Il deserto del Tartari a Migliarino Pisano.
Con Silvano abbiamo fatto tante altre cose, per esempio ho curato la regia di una bellissima edizione dell’ Histoire du Soldat di Stravinskij, con l’orchestra dei solisti del Bolshoi e Giancarlo Giannini come narratore; Silvano fece la traduzione in un dialetto nostro della costa, una via di mezzo tra un versiliese e un vecchianese-migliarinese.
Fu un’esperienza fantastica, le riviste specializzate ne parlarono benissimo, fu considerato uno dei migliori lavori del periodo.
Silvano riusciva a passare da tutta una serie di situazioni in modo geniale, era una fucina continua di idee.
Era un grande personaggio e ha avuto il merito di avere scoperto Benigni, facendolo debuttare in teatro con “I Burosauri”, la commedia scritta da Silvano e portata al successo da Ernesto Calindri.
Grandi personaggi dello spettacolo con la s maiuscola come Poli, Gassman e Salines hanno lavorato con lui.
Era una persona molto umile, non era entrante, non era furbo : Silvano era Silvano.
In un mondo dove tutto è gestito da gente che spesso vende quello che non è e quello che non ha, Silvano era una figura fuori dal tempo ma fantastico per quello. Soprattutto in un mondo come il nostro dove le capacità, la bravura, la genialità arrivano sempre dopo una serie di furbizie, ammanicamenti, appartenenze, tessere.
Io ho letto diversi testi suoi. Flaiano diceva che per imparare a scrivere bisognava leggere anche Ambrogi. Aveva tutta una serie di elementi che facevano di lui una figura importante.
Io lo ricordo ancora molto bene, non è una di quelle persone che si dimentichiamo nel giro di poco tempo.
Silvano è una di quelle figure che quando chiudo gli occhi lo vedo ancora,vedo il sorriso, risento anche la tonalità della voce. E’ una di quelle persone di cui sento ancora la mancanza e di cui avverto sempre la presenza.

 
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