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LA BATTIGIA di Trilussa
25/12/2008-
NATALE
Natale 2008, una festa in tono minore quest'anno.
Non per tutti perché le condizioni dei tanti popoli che vivono all'ombra dell'occidente sono sempre le stesse:
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NATALE
Natale 2008, una festa in tono minore quest'anno.
Non per tutti perché le condizioni dei tanti popoli che vivono all'ombra dell'occidente sono sempre le stesse: fame, malattie, morte, genocidi di tanto in tanto, rifugiati sempre più numerosi abbandonati in tendopoli sempre più grandi, stessa colpevole indifferenza dei paesi indebitamente chiamati “sviluppati”. Anche il Vaticano che dal balcone della piazza tuona spesso contro la povertà, la fame nel mondo, gli sprechi e il troppo dell'occidente pare mobilitare le sue energie migliori soprattutto quando sente la voce di un possibile mancato contributo, quei120 milioni di euro che prontamente sono tornati alle sue scuole cattoliche.
Non c'è molto da rallegrarsi di tutto questo.
Il ricco mondo occidentale quest'anno appare meno ricco, colpa sostanzialmente dell'ingordigia e della spregiudicatezza di quella parte dell'occidente che ci indica la strada, che ci offre il modello di società più affascinante che è dato conoscere, piena di luci e di colori, di belle donne sorridenti, di denaro e di lusso, dove la “felicità” citata nella sua Carta Costituzionale pare trovare la sua piena realizzazione. Non importa se sotto il tappeto rimangono i ghetti neri e desolati delle grandi città, gli ispanici sempre più emarginati, la delinquenza diffusa e feroce, le Agenzie di Intelligence in ogni casa, i pazzi pieni di armi (facili) che ogni tanto si divertono a sparare nelle scuole, i predicatori televisivi ricchi sfondati con i contributi dei neri più diseredati, i malati senza assicurazione lasciati morire sui marciapiedi, i rapporti umani al livello che si denuncia il proprio amante per stupro per ottenere il premio dell'assicurazione.
In Europa e in Italia, più protette per un sistema ancora meno sviluppato di quello americano, e proprio per questo meno colpito, la crisi si sente attutita ma si sente.
I precari sono già tutti a casa, alcune fabbriche boccheggiano ed hanno fermato la produzione per un periodo sperando di respirare nuovamente ad anno nuovo, alcune sono già chiuse e gli operai sono a casa dove passeranno, quest’anno, delle feste di Natale molto più lunghe e molto più tristi del solito.
Un operaio intervistato diceva che la cosa che lo colpiva di più della fabbrica chiusa era il silenzio: come un gigante rumoroso e in continuo movimento, con gli sbuffi, i cigolii, le grida, i rumori delle macchine e degli uomini segno di vita sostituiti ora da una calma assoluta, un silenzio pesante, gravoso, un nulla improvviso come una morte calata inaspettatamente su un corpo vivo.
Un brutto Natale, ma Natale come segno di speranza.
Per questo l’augurio è che nel mondo oltre la speranza prevalga il buon senso e che finalmente sulla Terra i buoni possano prevalere sui malvagi, i responsabili sugli irresponsabili, i caritatevoli sugli egoisti, i portatori di pace sui latori di guerra e che chi ha di più, ed anche troppo, non continui a difendere i propri privilegi ma pensi a coloro che hanno meno, o addirittura niente, e si prodighi non solo e non tanto con aiuti umanitari di emergenza ma per rendere questo mondo, l’unico che abbiamo, più umano. Dove chi ha meno abbia almeno qualcosa, quel minimo di sostentamento che allontani lo spettro della fame, e che abbia riconosciuto il suo fondamentale diritto alla speranza, alla giusta possibilità di cambiare, ai mezzi per migliorare la propria condizione.
E’ un diritto negato in gran parte del mondo e il Natale è l’occasione per ricordarlo e di proporlo come obbiettivo non irraggiungibile. Basterebbe solo una minima parte delle ricchezze dei 10 uomini più ricchi al mondo o una parte infinitesimale delle spese per armamenti degli eserciti di tutte le nazioni, o anche una frazione del Pil dei paesi più industrializzati. Basterebbe un niente, un piccolo impegno, una minima sensibilità, un piccolo cenno di volontà, di interesse.
Basterebbe che ognuno, dentro di se, sentisse il Natale come un’occasione, un’occasione per dare invece che chiedere, di amare invece di esigere, di aiutare invece di rinchiudersi in se stessi.
Un’apertura del proprio cuore, troppo spesso soffocato da pregiudizi, convenzioni, paure, verso gli altri, quelli meno fortunati che si accorgono del Natale solo perché vedono i negozianti che addobbano le vetrine, le famiglie che accendono le lucine cinesi, vedono la corsa alle botteghe delle massaie che si preparano per il pranzo o la cena delle feste.
Quelli che abitano in terre lontane e non sanno nemmeno che esista, un Natale, quelli che vengono da lontano, da paesi di guerra o di ingiustizia o di persecuzione, quelli che abitano nelle periferie disumane delle grandi città del mondo, quelli dei campi nomadi, quelli che affollano le mense dei poveri, quelli diversi ma non per questo persone che non hanno affetti, sentimenti, che non hanno una madre o un padre, dei fratelli o sorelle in posti lontani.
Buon Natale anche a loro e che il mondo prima o poi si ravveda e capisca che ogni uomo deve avere la sua dignità, che ogni governo deve adoperarsi affinché ogni abitante di questa Terra abbia gli stessi diritti e le stesse possibilità, che ogni singola persona accolga dentro di se il nobile sentimento del rispetto verso il suo simile: con pelle diversa, con lingua diversa, con cultura diversa ma sempre persona, e come tale degna di rispetto.
Felice Natale a tutti.
Trilussa
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