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SEGNALI DI FUMO
di Madamadoré



8/10/2008- Recentemente ho letto un articolo in cui si diceva che un’evoluzione delle città e dei paesi è quella di originare luoghi senza abitanti, ovvero senza cittadini.

DEMOCRAZIA



Recentemente ho letto un articolo in cui si diceva che un’evoluzione delle città e dei paesi è quella di originare luoghi senza abitanti, ovvero senza cittadini.

Questa affermazione veniva spiegata con la tesi che il cittadino sta diventando sempre più utente di servizi, consumatore di un mercato di offerte, a discapito di un ruolo attivo di cittadino appunto.

Questa progressiva deresponsabilizzazione della società ha provocato la perdita di energie umane,
ha fatto perdere di vista il senso di comunità, di appartenenza ad essa, ha fatto perdere il cittadino, ma non solo, si è persa la politica nel senso di governo delle cose e si perde la democrazia.

Al contrario il cittadino, come partner sociale sviluppa senso di appartenenza e partecipazione.
La “partecipazione” proprio per questo serve: non si tratta di partecipazione come costruzione del consenso o come semplice decentramento istituzionale, si tratta di partecipazione come espressione dell’azione di trasformazione che viene dalle pratiche sociali, come capacità di costruire significati.
Cosa è la democrazia? È una domanda che dovremmo farci spesso, faccio rispondere ad un autore di libri per banbini…


DEMOCRAZIA

da 'Il grande libro della Costituzione italiana', R. Piumini


Cosa di tutti: una grande casa,

la nostra casa, non soltanto mia,

dove ciascuno sta, ma non da solo,

dove si viva in buona compagnia.

Non una reggia dove il re comanda,

o una caverna senza una ragione:

ma una casa di gente che sceglie

tra le cose cattive e quelle buone.

Una gran casa dove ci si parla,

aperta a nuove idee e nuovi amici,

dove si impara a diventare liberi,

dove si prova a essere felici.


Ho pensato molto a queste cose che avevo letto, ho pensato soprattutto andando in giro a piedi o in bicicletta, due modi di percorrere strade, di attraversare luoghi che permettono di vedere dettagli, di notare particolari, di leggere e interpretare segni che in macchina non si possono vedere.

Ci sono alcune strade sporche, oggettivamente sporche, come pure lo sono i giardini pubblici infestati dalla cacca dei cani, ma anche da carte, cartine e cartacce, i cassonetti, luoghi eletti dei rifiuti si dirà, certo ma in alcune zone fanno veramente e oggettivamente sobbalzare.

Un giorno andando in giro ho visto una nonna una bambina e il babbo con guanti scopa e cassetta che pulivano il parco con lo scivolo.

Un giorno in fila in auto, macchine a passo d’uomo ho visto uno sportello aprirsi e il guidatore ha rovesciato il posacenere e un mucchio di cicche è rimasto sull’asfalto.

Azioni diverse di senso opposto, azioni minime ma significative.

Guardando, pensando e ricordando, mi è venuto alla mente che mia madre periodicamente puliva il marciapiede, prima che ci fosse una recinzione, ma anche dopo ha mantenuto questa abitudine, lo considerava un pezzo della sua casa e non qualcosa che apparteneva ad altri (tanti pezzi di marciapiede fanno una strada).

Questa semplice azione racchiude un senso importante di allargare i confini di quello che sentiamo “nostro”. Certo la nostra casa, la nostra macchina…sono nostri in senso stretto, ma non è nostro anche il parco dove andiamo a passeggiare? Sicuramente il senso di appartenenza rispetto ai due esempi citati muove da ragioni diverse tra loro. Ma in questi ultimi decenni quello che è cresciuto di più è il senso di proprietà “privata”, l’io individuale con tutti i suoi bisogni e i suoi desideri ed è cresciuto di pari passo all’io massa, al soggetto-massa, manipolabile, omologabile rispetto a modelli di vita sociale, esistenziale e valoriale generati da una società dei consumi e dalla cultura mediatica.

Gli odierni burattinai dell’informazione erogano alle masse saperi formattati con il compito di asfaltare e omologare le menti. Il loro sogno è il pensiero unico
. ( F. Frabboni)

Il problema credo sia proprio questo: tutto va nella direzione della costruzione del pensiero unico.

Un pensiero unico rabbioso, incavolato e insoddisfatto. Un pensiero unico incavolato contro tutti e perciò contro nessuno. Un pensiero unico funzionale al mantenimento del sistema.

Un pensiero unico che fa stagnare nell’indifferenza, nella sensazione che niente valga la pena di essere fatto. Un pensiero unico che soprattutto dice a noi che non abbiamo potere, che non possiamo che sottostare agli eventi decisi altrove e da altri.

Ma è davvero così?

Ma davvero noi non possiamo fare nulla?

Personalmente pensare così mi fa venire in mente la navigazione per mari aperti senza una bussola, ti senti smarrito, in balia del destino sconosciuto, ti affidi ad un pensiero magico…ma non si dimentica qualcosa? Non ci si dimentica di noi, del valore delle persone, del potere del fare, del dire, del pensare, dell’agire, del decidere, dello scegliere, del confrontare, del distinguere.

Credo che la vera rivoluzione dei nostri tempi sia quella di riprendere il discorso da noi, dal nostro essere e voler essere persone. Qualcuno tanto tempo fa disse: penso dunque sono, frase antica, ma ancora dotata di grande verità.

Cominciamo a credere in noi, prima di guardare gli altri, imputare ad altri, puntare il dito, scagliare la pietra, facciamo noi qualcosa: raccogliamo la cacca dei nostri cani, spazziamo i nostri marciapiedi…parliamo con i nostri figli, insegnamo quello che sappiamo fare, pretendiamo da noi stessi quello che pretendiamo dagli altri, molto spesso i difetti che vediamo negli altri, li vediamo così bene perché sono anche i nostri, allora partiamo da noi.

Cominciamo noi a costruire case di mattoni e non di paglia, come nella favola dei tre porcellini, il lupo faticherà a stanarci, lasciamo sassolini e non briciole come Pollicino per tracciare la strada e se è una buona strada permetteremo ad altri di percorrerla di nuovo.

Usciamo dai nostri bozzoli e proviamo a mettere un dito sul volano, forse possiamo fare piccole deviazioni, produrre piccole scosse o anche delle soste.

E’ incredibile che nell’era del www, della rete, del collegamento per eccellenza delle persone questo giochi a nostro sfavore.

Usiamo quello che abbiamo per partecipare, per contaminare i luoghi con i nostri pensieri, se non altro potremo dire che c’eravamo in carne ed ossa e cervello e non c’era solo la rappresentazione di noi, la controfigura, la nostra maschera.

Non voglio essere fraintesa ogni attore di questa commedia dovrebbe fare la sua parte, quello che voglio dire che per certi versi stiamo giocando una partita dove apparentemente svolgiamo un ruolo facile e anche vantaggioso, quello dell’utente: paghiamo e vogliamo quello per cui paghiamo.

Ma secondo me non solo non è sufficiente, ma non è assolutamente un ruolo vantaggioso per noi.
L’unico ruolo che riconosco, per cui è importante faticare e gioire è quello di essere una persona.

Madamadoré
 
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