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STRANIERI



29/8/2010- di TRILUSSA

Ieri sera partita di calcio Inter-Atletico Madrid, finale per il titolo di Supercoppa Europea, competizione in cui si sfidano le vincenti della Champions League (Inter) e Europa League (Atletico Madrid)....


STRANIERI

Ieri sera partita di calcio Inter-Atletico Madrid, finale per il titolo di Supercoppa Europea, competizione in cui si sfidano le vincenti della Champions League (Inter) e Europa League (Atletico Madrid).
Stadio di Montecarlo (Principato di Monaco) pieno e bagarini con biglietti di curva fino a 400 euro con l’Inter che cerca di conquistare il suo quinto titolo stagionale.

Io non sono un vero tifoso, di quelli che vanno in giro la domenica con il transistor in mano e l’auricolare nell’orecchio per sentire cosa fa la propria squadra, o di quelli che non si perdono 90esimo minuto e tutte le trasmissioni sportive dal pomeriggio inoltrato fino al dopocena appassionandosi al fatto se era o non era rigore e se l’arbitro ha sbagliato o visto giusto.

Su questi appassionati televisivi vivono una serie infinita di trasmissioni e giornalisti su tutte le reti (costano poco e sono molto seguite), poco importa se i vari partecipanti siano preparati o meno, se intelligenti o duri di comprendonio, se dicono delle cose esatte oppure delle cavolate smentite subito dopo. E’ il grande circo della televisione, si sa, e quello che conta è fare spettacolo.

Comunque mi sono preparato a vedere la partita e, non essendo, come anticipato, un vero tifoso e non avendo una squadra per cui tifare in maniera sfegatata ma solo qualche evanescente simpatia, mi sono preparato a tifare Inter, a tifare Italia, la squadra italiana in quel momento in campo.

Poi però, visti gli atleti schierati in campo, mi sono domandato cosa ci fosse di italiano in quella squadra, cosa mi poteva spingere a prendere emotivamente parte per una squadra che di italiano non aveva assolutamente nulla: nessun giocatore in campo dall’inizio, nessuno in sostituzione, di italiano nemmeno l’allenatore (spagnolo).

L’unico italiano inquadrato più volte dalle telecamere era in tribuna, il “paron”, quello poi che mette “gli sghei” e che vediamo sempre allo stadio ad ogni partita tanto che qualche volta ci domandiamo che lavoro faccia e se veramente qualche ora del giorno vada a lavorare per guadagnare tutti quei soldi che spende nel comprare i migliori giocatori sul mercato.
Perché oramai le squadre migliori sono determinate solo dai soldi che il Presidente riesce a mettere in campo. Non per niente i tifosi milanisti si sono rivolti con preghiere (e anche qualche minaccia) al Presidente Berlusconi perché apra la sua larga borsa e faccia acquisti importanti per una squadra finalmente competitiva.

Non esistono allenatori miracolosi che facciano vincere partite e campionati se non hanno in campo dei campioni veri, se non hanno pronti i soldi per rimediare a qualche errore, a qualche infortunio imprevisto, a qualche resa non eccellente. Quindi basta spendere ed ecco che in campo ci vanno i migliori, non importa se argentini, spagnoli, olandesi, tedeschi, est europei, africani neri.

Quelli si li vogliamo, quelli che sanno dare buoni calci al pallone. Non li respingiamo in patria, non gli scriviamo striscioni offensivi, non li sottopaghiamo 20 euro a giornata.
Paghiamo per i migliori, spendiamo per vincere e poco importa se non ci sono italiani, nemmeno uno, almeno per rappresentanza. Vediamo sempre più spesso squadre composte esclusivamente da stranieri con gli italiani a casa o relegati in panchina e i risultati li vediamo poi nelle competizioni internazionali, dove ci dobbiamo arrangiare magari con qualche oriundo o con doppio passaporto.

I soldi per acquistare gli stranieri migliori per vincere subito vengono poi stornati dai vivai calcistici, in cui un tempo eravamo all’avanguardia, ed è un costume che fa parte di quella involuzione generale che ignora il futuro e vive e si occupa esclusivamente del presente. In campo calcistico come nel campo della ricerca e della cultura, fortemente colpite dai tagli governativi in assenza di una reale visione del domani, sacrificato con facilità alle necessità del presente per non dover metter mano a sprechi e privilegi.

Ho provato, giuro, ho provato a tifare Inter ma poi mi sono accorto che ogni volta che la squadra milanista attaccava mi sentivo come a disagio ed ogni volta che quei ragazzotti spagnoli minacciavano la porta interista (difesa naturalmente da uno straniero), io partecipavo emotivamente ed allora ho capito che se la mente mi diceva Inter il cuore invece tifava Atletico.
Non ho niente contro la squadra milanese o contro i suoi tifosi, con cui ho gioito insieme in occasione della straordinaria vittoria della Coppa dei Campioni, ma ieri sera l’ho sentita estranea, una semplice compagine di professionisti ben pagati scesi in campo solo per vincere una partita. Non per un blasone, non per un ideale, non per qualcosa d’altro ma comunque qualcosa di diverso dal vincere una partita ed intascare un premio.
Troppo poco per il mio sentimento patriottico.
 
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