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di Madamodorè



4/10/2009- DIVERSAMENTE ABILI
Ci sono notizie che vanno dritto al cuore, come una freccetta raggiunge il centro del bersaglio, con precisione esagerata. La notizia in questione è quella dell’omicidio suicidio di una mamma e di un figlio diversamente - abile...


DIVERSAMENTE ABILI

Ci sono notizie che vanno dritto al cuore, come una freccetta raggiunge il centro del bersaglio, con precisione esagerata. La notizia in questione è quella dell’omicidio suicidio di una mamma e di un figlio diversamente-abile.

Di questa notizia ho solo letto il titolo, non avuto bisogno di leggere l’articolo, non per presunzione, ma per una sorta di rispetto nei confronti di quell’evento e perché quel titolo mi ha fatto risuonare una serie di significati che mi sono balzati alla mente in maniera violenta.

Notizie come questa non sono un fatto privato, sono un fatto che riguarda tutti, che riguarda il mondo in cui viviamo, il sistema sociale e politico che contribuiamo a costruire.

Una notizia come questa ti dice qualcosa sulla solitudine di tutte le famiglie che vivono situazioni di difficoltà e sofferenza.

Una solitudine legittimata da un sistema, un sistema pieno di buchi, un sistema che poggia la sua forza sulla famiglia.

Penso ai grandi e continui proclami politici sulla famiglia presentata come risorsa in ogni campo, ma una risorsa che viene continuamente spolpata da un principio di sussidiarietà che punta tutto sulle capacità di sussistenza, aiuto, protezione e cura della famiglia stessa, liberando sempre di più lo stato, il sistema dal fornire quel sostegno che è invece indispensabile in caso di difficoltà.

Una famiglia che vive l’esperienza di una disabilità sa quanto sia difficile accettare la realtà quando questa è troppo distante dal proprio desiderio.

Sa quanto sia difficile vivere la quotidianità, affrontare i piccoli problemi.

Sa quanto sia difficile e faticoso vivere quelle tappe “normali” di socialità: le uscite, le visite agli e degli amici, la scuola, i colloqui con gli specialisti…

Sa quanto sia difficile reggere lo sguardo, rispondere alle domande, alle parole non dette, alle gaffe fatte in buona fede.

Sa quanto sia difficile e faticoso reggere il ritmo e districarsi tra pratiche, fogli e tutto quello che deve fare per godere di alcuni diritti. Ti devi corazzare, devi diventare agguerrito, informato, devi fare, andare, dire, sapendo dove andare, con chi parlare, come dire.

Sa quanto sia difficile arrivare in una scuola e avere le insegnanti, l’insegnante di sostegno, l’assistente specialistica e tutti che hanno qualcosa da dirti che non sempre vorresti ascoltare, che ti chiedono una presenza che a volte non hai la forza di sostenere.

Paradossalmente tutto è “facile” fin quando il tuo bambino è piccolo, crescendo tutto si ingigantisce, anche la fatica.

Chi si fa carico, oltre alle loro famiglie, dei ragazzi diversamente-abili? Certo i centri ci sono, ma non sono sufficienti, non possono essere la sola risposta e la risposta per tutte le disabilità.

Chi sostiene anche psicologicamente queste famiglie oltre ad una rete parentale e amicale?

Chi racconta la difficoltà di una famiglia che non può godere di nessun mutamento di struttura e di ciclo di vita? Crescita e invecchiamento non producono alleggerimenti, o cambiamenti di potere, di autorità, di responsabilità, di compiti di cura, ma anzi tutto si complica.

Chi racconta che una preoccupazione lacerante che accomuna queste famiglie è quella della vita dei loro figli dopo di loro, senza di loro?

Chi racconta che sembra non esistere cura per l’esclusione sociale, per l’insensibilità e per l’ignoranza di una cultura che sta sempre di più eliminando dallo scenario pubblico chi fa fatica e chi soffre, di un tessuto sociale che sta perdendo a velocità esagerata la capacità di coesione sociale e di pietas?

Chi racconta il lavoro di tutte quelle persone che vivono accanto a queste famiglie, ai loro bambini, che resteranno eternamente bambini?

Chi racconta la giornata di queste famiglie tra orari per le terapie per i loro figli e orari scolastici, conciliando il lavoro, la casa e se c’entra un tempo per sé? Un tempo che col crescere dei figli non si libera, ma al contrario si contrae.

Chi racconta le difficoltà delle famiglie nell’affrontare problemi di natura sessuale che presentano i ragazzi diversamente abili? Problemi che si fa fatica ad affrontare con le parole e che si affrontano quasi esclusivamente con la somministrazione di farmaci.

Chi racconta la presa in giro dell’uso politicamente corretto delle parole? Avrete notato che ho sempre usato la parola diversamente abile e non handicappato o disabile. La nuova parola doveva servire a spostare l’accento sul fatto che questi ragazzi possono mettere in campo una abilità diversa, ma dove, come, grazie all’aiuto di chi?

Il fallimento di queste famiglie, dei loro familiari che alla fine non reggono alle pressioni e alle preoccupazioni e vedono nella morte l’unica via di uscita è un fallimento che riguarda anche noi, non è un fatto privato.

Madamadoré
 
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