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LA BATTIGIA
di Trilussa



2/8/2009- L’ISOLA CHE NON C’E’
Il silenzio di un isola come miglior biglietto da visita per un prossimo futuro. Quando saremo arrivati alla fine. Sull’isola di Pianosa non c’è niente. Solo un carcere in abbandono, qualche casa male in arnese....


L’ISOLA CHE NON C’E’


Il silenzio di un isola come miglior biglietto da visita per un prossimo futuro. Quando saremo arrivati alla fine.




Sull’isola di Pianosa non c’è niente. Solo un carcere in abbandono, qualche casa male in arnese, poche stradine malmesse e non asfaltate, nessuna macchina ma solo tre cavalli per fare il giro dell’isola. O bici a noleggio per i più sportivi.

E’ un isola che va in malora dirà qualcuno, che non serve a niente e a nessuno dirà qualcun altro, magari si potrebbe sfruttare per il turismo con qualche bel locale, un po’ di musica, qualche bar e ristorante e questo lembo di terra sperduto in mezzo al mare potrebbe rivivere e decollare, diventare “in” , attirare VIP nazionali ed internazionali, la bella vita italiana insomma, e forse ospitare anche qualche onorevole o capo straniero durante le vacanze estive.

A Pianosa per fortuna ci sarebbe anche poco o niente da bruciare, non servirebbe nemmeno quello per liberare i terreni, far perdere in questo modo il loro valore perché si sa un bosco è un bosco e non si può toccare, un terreno bruciato invece prima o poi cambia destinazione d’uso e qualcosa ci si può fare.

Sull’isola del diavolo, come viene anche chiamata, rimangono i vecchi telefoni a gettone che sporadicamente la collegano con la terra ferma, una caserma nuova e appena inaugurata che non ospita nessuno, le celle vuote e cadenti del vecchio carcere, i muri a secco lungo le stradine polverose, il muro “Dalla Chiesa” che isolava i mafiosi dai detenuti comuni. Rimane un paese di case decadenti, erose dal sole e dal salmastro, stradine bianche, zecche che si attaccano ai piedi.

Ci sono stati progetti in passato (le casse dei comuni, si sa, sono sempre più vuote) ed oltre allo sfruttamento turistico si era pensato magari ad un impianto fotovoltaico, addirittura qualcuno l’ha indicata come un possibile sito per la costruzione di una centrale nucleare.

Perché non c’è niente e non produce reddito e quei pochi che arrivano non hanno molte occasioni di spendere e lasciare denaro. Quattro euro per un giro a piedi dell’isola, quattordici per un giro in calesse trainato da quei malmessi cavalli che si vedono godersi il fresco sotto un albero.

Perché oggi è questo il modo di vedere e giudicare ed anche il territorio non sfugge alla barbara legge di essere visto alla luce del denaro, della resa economica, della possibilità dello sfruttamento per fare cassa mentre altre cose nel sentire comune perdono valore.

L’assenza, purtroppo e al momento, non premia.

Cosa dire agli amanti della movida notturna, dell’ebbrezza alcolica come condizione indispensabile per il divertimento, della musica ossessiva e stordente della discoteca, della passeggiata lungomare del dopocena ben unti di olio doposole che sfavilla sotto le luci dei lampioni?

Che l’isola di Pianosa non fa per loro.

E ai patiti della “barca”, dei club esclusivi dove speri sempre arrivi la troupe di “Lucignolo” per far vedere agli amici invidiosi che tu c’eri, dei pasti a ostriche e Champagne, delle macchine di lusso, dei gioielli ostentati con noncuranza? Cosa dire a tutti costoro? Che Pianosa non fa per loro.

Perché a Pianosa tutto questo non c’è.



Sulla sperduta isola dell’arcipelago toscano, piatta che quasi non si vede, dopo due ore e mezzo di traghetto dalla terra ferma e dove il tempo si è fermato alla metà degli anni 90 quando è stato chiuso il carcere di massima sicurezza queste cose non ci sono. Il carcere ospitava boss mafiosi e criminali comuni ed in passato è stato anche carcere politico e ha visto reclusi anche uomini illustri come, uno per tutti, il rimpianto Sandro Pertini.

Perché Pianosa è un mondo a parte, l’isola che non c’è.

A Pianosa puoi trovare solo un mare cristallino, piccole spiagge deserte, scogliere sempre battute dal vento, puoi sentire i rumori degli uccelli, vivere il contatto con la natura, la calma piatta e il silenzio che ti circonda.

Ci sono dei progetti di recupero degli edifici affinché chi viene sull’isola possano trovare un minimo di recettività e creare posti di lavoro e proventi da un certo tipo di turismo. Ma l’isola fortunatamente fa parte del Parco dell’Arcipelago Toscano e non potrà essere snaturata perdendo quel valore che in questo momento riesce a mantenere.

Perchè il suo valore è proprio quello di essere rimasta lontana dalla cementificazione, dallo sfruttamento edilizio che l’avrebbe fatta somigliare alle mille altre isole del nostro paese dove la brama cementizia ha portato alla trasformazione dei luoghi tramutando le coste in condomini e le aree a verde interne in parcheggi per auto.

Quando il ritmo della nostra vita sempre più moderna sarà arrivata alla esasperazione finale, quando saremo veramente stanchi di correre sempre e sempre più in fretta, quando avremo capito che essere in contatto telematico col mondo vuol dire, in fondo, essere sempre più soli, allora questi saranno i luoghi che avranno il maggior valore turistico e potranno essere sfruttati, sia pure con tutti gli accorgimenti e le limitazioni del caso.

Saranno proprio i luoghi che avremo saputo conservare meglio respingendo tutte le richieste che con la giustificazione del recupero e del risanamento di fatto li trasformano, di fatto ne modificano gli ambienti, violentano la natura e aprono le porte all’invasione del turismo di massa anche nei posti più integri, luoghi biologicamente e culturalmente fragili, rappresentando uno dei mali peggiori della nostra società moderna come ebbe a dire uno dei maggiori scrittori del nostro novecento che portava il nome di Tiziano Terzani.

Il territorio è un bene fragile e irripetibile. Arriva a noi da migliaia di anni e attraverso milioni di piccoli attacchi da cui si è sempre saputo difendere. Noi ci siamo creati la tremenda possibilità di distruggerlo con un semplice atto amministrativo.

Trilussa
 
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