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LA BATTIGIA
di Trilussa



17/1/2010- PRIVACY
Privacy, parola inglese sconosciuta fino a qualche anno fa e che significa esattamente “riservatezza” e che riguarda il diritto alla riserbo delle informazioni personali e della propria vita privata....


PRIVACY
Privacy, parola inglese sconosciuta fino a qualche anno fa e che significa esattamente “riservatezza”
e che riguarda il diritto alla riserbo delle informazioni personali e della propria vita privata: the right to be let alone (lett. "il diritto di essere lasciati in pace"), secondo la formulazione del giurista statunitense Louis Brandeis che fu probabilmente il primo al mondo a formulare una legge sulla riservatezza e che fu ispirato dalla lettura dell'opera di Ralph Waldo Emerson, il grande filosofo statunitense, che proponeva addirittura la solitudine come il criterio principale per godere appieno della libertà (da Wikipedia).

Una legge, una disposizione quella della privacy indubbiamente positiva e avanzata che permette alle persone di poter vivere la propria vita in libertà, a tutela della propria intimità, lontano dagli occhi, dai condizionamenti e dalle critiche degli altri, del proprio vicino, del proprio amico, del conoscente.

In alcuno settori è una misura fondamentale, specie in quelli cosiddetti “sensibili” e che riguardano la propria idea politica, i propri gusti sessuali, la propria salute. Elementi che potrebbero condizionare in maniera sensibile un giudizio esterno sulla persona, o meglio un pregiudizio, che non è condiviso né dalla morale comune (purtroppo non sempre) né dalla legge secondo il principio costituzionale che attesta l’uguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro idee politiche, dai loro gusti sessuali, dalla loro religione eccetera, tutte cose attinenti esclusivamente alla sfera privata di ogni singolo individuo.

Una distinzione quindi molto netta tra quello che è pubblico e sottoposto alla tutela dello Stato e quello che invece è privato dove il cittadino rimane libero di comportarsi come meglio crede, naturalmente entro i limiti consentiti dalla legge e dalla normale convivenza civile.

Tuttavia alcuni discriminanti, purtroppo oggi molto significativi, non possono essere altrettanto facilmente elusi e confinati all’interno della famiglia come quello di avere la pelle nera, un handicap fisico o una caratteristica somatica diversa dalla nostra e che sempre più spesso è fonte di discriminazione nella vita sociale e nel lavoro.

Quindi fondamentalmente quella della privacy appare come una legge giusta e avanzata, una disposizione a tutela esclusiva della persona, un’attenzione alla vita privata dell’individuo, alla sua libertà. Difficile pensare che abbia anche aspetti negativi, eppure è così.

Il primo, evidente, è l’enorme (e talvolta francamente inutile) burocrazia che questa legge si porta dietro per chi la deve necessariamente applicare; poi le spese per la sua tutela con la necessaria istituzione di un Autority, di servizi adeguati, di meccanismi di controllo, di scadenze, di codici, moduli, informative, consulenze. Un doppio aspetto quindi, aggravio di spesa statale e grande perdita di tempo che molte volte, ripeto, appare veramente inutile .

Ma dove questo meccanismo della difesa estrema del personale, questo concetto della assoluta non ingerenza nel privato trova la sua massima ripercussione è in un settore già di per sé abbastanza critico che è quello della famiglia.

La famiglia ha subito in questi ultimi anni una grande trasformazione ed è diventata una entità molto isolata, racchiusa nelle sue mura, quasi impermeabile dall’esterno. L’esaltazione della privacy in questo ambito ha sicuramente accentuato e aggravato i danni che le trasformazioni sociali degli ultimi anni avevano già compiuto, in gran parte attraverso la modifica del ruolo di entrambi i genitori.

Non dimentichiamoci come sono cambiati, oramai da tempo, i rapporti interpersonali nelle nostre comunità. Nelle civiltà primitive, e dalle nostre parti fino ad un paio di generazioni fa, i figli ad esempio erano considerati un po’ i figli di tutti. Tutti partecipavano sia pure in misura diversa, al loro sviluppo e alla loro educazione e non di rado anche al loro sostentamento. La povertà accentuava in maniera naturale la socializzazione fra gli individui e gli scambi continui che avvenivano nella comunità rendevano impossibile l’isolamento della famiglia dal contesto in cui vivevano. Specialmente in caso di necessità o di sventure la comunità tutta si faceva carico della famiglia che aveva così modo non solo di attutire le conseguenze della eventuale calamità ma aveva anche modo di scambiare le opinioni, avere pareri e consigli e in qualche modo relativizzare il problema.

Specie la donna oggi si trova spesso invece completamente sola a dover affrontare i problemi e la gestione dei figli perché magari il padre ha la necessità del reddito e la sua partecipazione alla conduzione familiare anche molto ridotta o addirittura marginale. L’isolamento della famiglia, in particolare della donna, unita ad una cronica carenza di tipo assistenziale statale, è anche il fattore principale responsabile di quei non rari eventi drammatici che ogni tanto compaiono sui giornali e che vengono di solito attribuiti a forme di depressione o a raptus. Sembrano invece la naturale conseguenza di questo isolamento, di questa solitudine, di questa distorsione del concetto di libertà personale che di fatto esclude dalla famiglia il sociale, i rapporti con gli altri, la comunicazione fino forme di disperazione che possono sfociare in atti tendenti alla eliminazione cruenta del problema, diventato in questa solitudine enorme e insopportabile.

Sembra impossibile che in questo modo definito a giusta ragione “globale”, nel secolo della comunicazione totale, degli scambi internazionali, della facilità estrema dei contatti (contatti e non rapporti) fra i singoli, dove gli scambi fra i sessi non avvengono più con i batticuore e gli arrossamenti del volto di un tempo ma semplicemente con una frase digitata sul telefonino, in questo modo così intercomunicante, sempre e dovunque, l’individuo si senta invece sempre più solo e la famiglia divenga sempre più un’entità isolata, quasi asociale, fortemente chiusa in se stessa.

Una famiglia che non lascia trasparire niente all’esterno, non solo i problemi o le preoccupazioni ma nemmeno le gioie, nemmeno i momenti più lieti e tutto si deve svolgere all’interno, tutto deve rimanere chiuso nelle mura di casa, invalicabili, nei giardini sempre recintati, nei muretti che cingono ogni nostra abitazione, negli appartamenti dei condomini dove si saluta appena con un cenno del capo il proprio dirimpettaio (magari con cui poi si polemizza o si discute nell’unico momento di socializzazione che rimane nelle città che è la riunione del condominio).

Una famiglia che all’esterno, ai vicini di casa, ai conoscenti appare sempre felice, priva di problemi, con i componenti sempre gentili e laboriosi, con una vita tranquilla che “chi l’avrebbe mai immaginato!!” Ma fra quelle mura così protette dalla privacy, in quelle stanze chiuse all’esterno tutto si ingigantisce, tutto si drammatizza, tutto si esaspera perché viene a mancare il confronto e soprattutto il conforto degli altri.

Ed è la madre la figura più debole. Non è più il padre su cui si organizza tutta la famiglia come un tempo, con la sua autorità derivata dal sesso e dal reddito, ma quella della madre. Il padre mantiene ancora il compito di produrre il reddito principale ma vive spesso molto lontano dalla famiglia, fisicamente e mentalmente. E’sulla donna che grava il peso maggiore, della casa e dei figli. Ai figli ha donato il proprio corpo, ha donato la bellezza, ha donato l’amore, ha donato spesso anche il proprio lavoro, ha donato e continua a donare molto del proprio tempo.

La moderna organizzazione della nostra vita sociale, con questa nostra insistente richiesta di privato, con questo falso senso di libertà che è solo apparenza perché ci vestiamo come decidono gli altri, mangiamo quello che decidono gli altri, compriamo quello che ci viene imposto da altri, ci comportiamo come altri decidono per noi, ci fa guadagnare assai poco nei riguardi della nostra felicità e ci fa perdere invece quella grande risorsa che è il rapporto con il prossimo, con gli altri, con la comunità, con il paese per chi ha la fortuna di averlo.

Era una grande ricchezza del passato e piano piano viene svenduta, dequalificata, sfuggita in nome di una riservatezza, di una privacy che altro non è che il primo passo verso la solitudine, di cui l’individuo e la famiglia sono le prime vittime.

Trilussa
 
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