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LA BATTIGIA di Trilussa
15/2/2009-
MORTE A MILANO
Un anno e 8 mesi con la condizionale per aver ucciso un uomo. Non mi sembra una pena tanto severa da chiedere, da parte del figlio, di cercare di avere uno sconto in appello, mentre giustificano ...
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MORTE A MILANO
Un anno e 8 mesi con la condizionale per aver ucciso un uomo.
Non mi sembra una pena tanto severa da chiedere, da parte del figlio, di cercare di avere uno sconto in appello, mentre giustificano ampiamente la soddisfazione dell’imputato, apparso sorridente alle telecamere.
“Legittima difesa putativa per difetto di percezione”, dice la sentenza, una legittima difesa che nello specifico è stata quella di estrarre la pistola dal cassetto ed inseguire i rapinatori in fuga sparandogli contro, nella schiena, sette colpi di pistola.
Non possiamo entrare nel merito della sentenza che va rispettata e onorata tuttavia personalmente la ritengo una sentenza troppo mite e mi assocerei invece alla richiesta fatta dal Pubblico Ministero, nove anni e mezzo di galera per omicidio volontario.
Questo perchè per tirare fuori la pistola e difendersi sparando si deve almeno avere davanti il delinquente, con qualcosa in mano o anche niente, ma comunque essere preso dallo spavento, terrorizzato, temere per la propria vita che rende lecita qualunque cosa, qualunque tipo di difesa.
Inseguire correndo i due malviventi e sparare sette colpi di pistola nella schiena mi sembra eccessivo come legittima difesa, sia pur “putativa con difetto di percezione”. Però la sentenza è emessa da un giudice, uno che deve applicare la legge e quindi non si può contestare, si può solo dissentire seguendo ognuno la propria coscienza.
E’ così vero che la Lega Nord ha manifestato con tanto di cartelli davanti al tribunale su cui era scritto a grandi lettere “Siamo tutti tabaccai” intendendo con questo portare una solidarietà tangibile all’uccisore affermando implicitamente un certo plauso alla sua opera di difesa dei propri beni, non della propria vita visto che questi delinquenti non stavano minacciando nessuno ma se la stavano dando a gambe, come si dice.
Lo stesso si può dire per un sondaggio di un giornale (La Stampa) che di fronte a 450 risposte pervenute il 69% riteneva che la pena comminata all’imputato fosse troppo severa e solo una minoranza 16% la riteneva troppo mite.
Questa vicenda si presta a due tipi di considerazioni.
La prima la dice lunga sullo stato d'animo in cui vivono questi negozianti, specie i tabaccai che non possono avere vetri antiproiettile o altre diavolerie a protezione del loro lavoro e che li costringe ad essere continuamente esposti al pubblico e quindi anche ai malintenzionati. Vivono sotto la costante minaccia di questi piccoli delinquenti che operano senza nessun tipo di organizzazione o di mezzi sofisticati ma solo con un'arma, vera o finta che sia, e arraffano la cassa e qualche volta compiono anche delle violenze sulle persone.
E' un problema serio che con serietà andrebbe affrontato. La serietà in questo caso non è certo rappresentata da “le ronde padane”, surrogato folcloristico dei rangers americani, bensì un maggiore stanziamento di fondi per le forze dell'ordine e per mezzi e tecnologia conseguente. Non male sarebbe anche la ricetta del sindaco di New York Giuliani che ha debellato la microcriminalità in una delle città più violente del mondo semplicemente investendo sul decoro della città e su una più attenta sorveglianza sulle strade (vedi Broken Windows theory).
Questi episodi sono la dimostrazione più evidente dello stress in cui vivono queste persone e anche del loro punto di esasperazione che può arrivare al limite della vendetta. Questo è proprio il sentimento chiamato in causa dal pubblico Ministero per la sua richiesta di pena e per spiegare la rincorsa del tabaccaio ai due fuggitivi e il ferimento e la morte di uno dei due.
La seconda considerazione invece riguarda il valore che si deve dare alla vita di un uomo.
Vero che era un pluripregiudicato e già noto alle forze dell’ordine ma nella sua vita da delinquente non aveva ucciso o violentato, ma solo rubato e rapinato. Non lo voglio certamente né difendere né assolvere, gli avrei fatto volentieri pagare con durezza il suo debito, ma da questo a meritare la morte mi sembra eccessivo. Non conosciamo niente di lui, è solo un nome, non sappiamo se aveva una famiglia, una madre e un padre, se aveva dei figli. Era un delinquente e questo basta. Si può prendere una pistola inseguirlo e freddarlo con la clemenza della corte.
E si può andare anche in piazza con i cartelli (ma erano solo una quindicina di leghisti) e sostenere questi comportamenti criminali (criminali si può dire, c’è stata la sentenza di condanna) con quella solidarietà pericolosa che spinge alla difesa personale, al tenere in casa una pistola, alla sicumera di voler risolvere il problema di persona, del “ghe pensi mi’! “, alla richiesta che a pagare le spese del processo sia il comune di Milano, la Moratti: un contributo pubblico al tabaccaio che doveva essere assolto e che ora si deve pagare anche le spese processuali! (Ma non ha ammazzato un uomo? Che uomo, era solo un rapinatore!)
Con tutta la comprensione per l’esasperazione e il punto di rottura in cui si trovano a lavorare questi commercianti in prima linea non posso accettare, per il mio modo di vedere, che si possa risolvere il problema tenendo una pistola nel cassetto e tanto meno facendo fuori il rapinatore.
La vita di un uomo vale molto di più di venti mesi con la condizionale e se ci ergiamo a giudici e ci accapigliamo dolorosamente per un corpo senza vita finalmente liberato, in questo caso corriamo il rischio, e forse la certezza, di essere dalla parte di un omicida, con quella ipocrisia velenosa che dovrebbe far molto riflettere.
TRilussa
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