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LA BATTIGIA
di Trilussa



28/3/2010- PANE E ACQUA
”Qualche volta mi è capitato di dimenticare le rette scolastiche. La mensa, soprattutto. Quando i figli sono tutti piccoli, bollettini diversi scadenze diverse: le portano a casa negli zaini dicono mamma tieni,....


PANE E ACQUA

”Qualche volta mi è capitato di dimenticare le rette scolastiche. La mensa, soprattutto. Quando i figli sono tutti piccoli, bollettini diversi scadenze diverse: le portano a casa negli zaini dicono mamma tieni, uno appoggia distratto il pezzo di carta sulla mensola, poi magari non si trova più, si perde in mezzo ad altre carte. Si paga in ritardo, con la penale, senza decreti ovviamente, e finisce lì. La prossima volta si sta più attenti. Non si pensa mai - e questo dipende dal fatto, credo, che siamo cresciuti, la mia generazione è cresciuta in un Paese dove la scuola pubblica specie quella elementare era fantastica, la cura dei bambini un bene superiore condiviso - che le colpe dei padri possano ricadere sui figli.

C'entrano anche certi insegnamenti primari, certo, tipo questo. Perciò non succede niente, se un padre dimentica di pagare una retta di certo la scuola farà in modo che il bambino non sia neppure sfiorato da un pensiero che non saprebbe concepire. Se - più grave, più triste - i genitori non possono, invece, pagarla, la scuola - il comune, l'ente pubblico, lo Stato - si fa carico della debolezza dei grandi e protegge i piccoli. È ovvio che quando i bambini si siedono a tavola, a mensa, devono avere nei piatti tutti la stessa pasta al sugo. Non c'è nemmeno bisogno di spiegare perché.

Perciò ci saranno cose più gravi ma mi dispiace, non riesco a pensare ad altro che a quei nove bambini che lunedì si sono seduti ai piccoli tavoli spostando le piccole sedie, hanno aspettato che arrivasse come ogni giorno la signora con carrello e hanno visto la pasta nei piatti degli altri, il pane nel loro. Scuola elementare di Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza. Il comune (Lega, Pdl) aveva avvisato: questa la spiegazione. Sette bimbi stranieri, due italiani: pane e acqua. Riuscite a immaginarvi di avere sei anni, sedervi a tavola coi compagni, vedervi porgere un pezzo di pane, la pasta nei piatti degli altri e i loro sguardi su di voi? Sentire il compagno che chiede «perché tu mangi il pane», e non sapere cosa rispondere? Provate ad andare a ritroso negli anni, a mettervi in quelle scarpe e quei grembiuli: che cosa fareste? Piangereste, restereste in silenzio, mangereste il panino, dareste una spinta al compagno rovesciando il piatto? Ma che paese siamo diventati? Ma cosa ci è successo? Ma come è possibile che abbiamo smarrito persino l'istinto a tutelare l'innocenza, la cura dello sguardo di un bimbo, il suo valore? Cosa ci stiamo a fare, di cosa parliamo se non sappiamo sentire e insegnare questo? Da dove possiamo ripartire se non da qui?

Il resto, tutto il resto, ne consegue. Mille posti in meno alla Fiat, altre mille famiglie che presto non potranno pagare le rette. Andate a cercare la notizia nei giornali, nei tg. Cercate bene, poi fateci sapere. A qualcuno interessa se da domani ci saranno mille posti di lavoro in meno? Non tocca mai a noi, non è vero? Sono storie di poveri, una minoranza. E se nostro figlio è compagno di banco e di classe dei nove a pane e acqua alla fine sarà meglio cambiargli scuola, che magari poi fa domande a cui non sappiamo rispondere. È così imbarazzante sentire i bambini che domandano perché. Diamogli la play station, così stanno zitti.”

Ho ritenuto di fare occupare questo spazio domenicale di commenti a questa lettera, in verità un editoriale, di Concita de Gregorio direttrice del giornale L’Unità, sull’episodio dei bambini lasciati a pane ed acqua perché i loro genitori erano in ritardo sul pagamento della retta scolastica.
Ho pensato che fosse utile riportarla per farla conoscere ai molti che non hanno avuto l’opportunità di leggerla per far capire come e quanto è cambiato il nostro Paese negli ultimi anni, di come sia cambiata la stessa politica, di come si stiano perdendo i sentimenti ed i principi che avevano fatto grande il nostro popolo, quello della solidarietà, dell’umanità, del “core grande” che da sempre ha caratterizzato l’italiano.

Magari pasticcione, confusionario, inaffidabile, magari poco istruito e maleducato ma sempre da tutti in tutto il mondo considerato buono e generoso. I nostri soldati nelle missioni estere, quelle da molti ma non da tutti definite di pace, sono sempre stati fra i più richiesti e graditi dalle stesse popolazioni indigene perché magari non perfetti dal punto di vista della disciplina militare ma senz’altro quelli che hanno saputo in ogni occasione esprimere meglio la loro umanità, la loro bontà d’animo nei confronti della popolazione civile, pur nel rispetto del loro ruolo di forza militare.
E’ forse colpa della politica?

Sicuramente alcuni partiti spingono proprio in questa direzione. In nome di un falso, e molto spesso utilitaristico, ideale di razza e talvolta spinti da una vera e propria xenofobia spingono i cittadini a vedere negli altri costantemente un nemico, specie se questo altro viene da un paese diverso, specie se la sua pelle non è candida come la nostra. Ma questa indifferenza, questa mancanza di umanità, questo sentimento mancato di equilibrio saggezza e solidarietà si trasferisce anche nella vita di tutti i giorni ed anche i bambini non sono più tutti uguali fra loro, non più figli della stessa mamma, con gli stessi diritti di tutti quando vengono al mondo, piccoli essere ignari ed incolpevoli, ma sono già condannati a pagare il peso della loro diversità.

E un’aberrazione che non può essere perdonata, un atteggiamento barbaro che cozza contro i più elementari principi non solo della solidarietà umana ma della stessa convivenza civile.
Nove erano extracomunitari, due italiani. Già questa distinzione è un errore, già questa precisazione il frutto di un preconcetto. Erano solo dei bambini, bambini e basta.

Trilussa
 
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