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LA BATTIGIA di Trilussa
8/2/2009-
EXTRA COMUNITARI
Ma noi siamo proprio tanto migliori?
Sembra una domanda stupida ma a seguire le notizie di cronaca di questi tempi la risposta non è scontata.
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EXTRACOMUNITARI
Ma noi siamo proprio tanto migliori?
Sembra una domanda stupida ma a seguire le notizie di cronaca di questi tempi la risposta non è scontata. Cioè siamo propri sicuri, noi italiani, di essere così migliori degli extracomunitari?
So che per qualcuno quello che sto dicendo può sembrare una bestemmia ma guardando i servizi in TV con il giornalista che va sul luogo del delitto e domanda in giro ai gruppuscoli di giovani che si avvicinano per farsi riprendere, la domanda sorge spontanea.
Sono questi i giovani che vogliamo? Ci piacciono così? Ci ritroviamo nelle loro parole?
Facciamo un esempio.
Stupro di fine anno: il reo confessa, è incensurato, il giudice lo manda agli arresti domiciliari.
Nessuno si indigna e forse è giusto, il ragazzo è pentito, ha confessato, non ha precedenti. La condanna arriverà sicuramente ma gli arresti al proprio domicilio appaiono una misura accettabile per l’opinione pubblica, compresa la mia. Se fosse stato un extracomunitario forse il provvedimento avrebbe suscitato qualche protesta eccetera ed il fatto che sia italiano e di buona famiglia appare non trascurabile, ma lasciamo stare.
Il cronista intervista alcuni amici che hanno appeso degli striscioni davanti alla casa del ragazzo. L’intervistatrice cerca di esprimere il proprio stupore di fronte ad una manifestazione del genere che non è solo di affetto e partecipazione, il che sarebbe stato normale e comprensibile, ma appare di contestazione e di appoggio allo stupratore. Cosa c’entra chiederne l’innocenza, cosa c’entra invocare una giustizia in favore dello stupratore? Che razza di ragionamento possono aver fatto questi giovani per passare, nella loro mente, da un sentimento di smarrimento, amicizia, pietà ad una richiesta di giustizia in favore dello stupratore? Come se l’antefatto, lo stupro di una giovane ragazza indifesa, avesse perso di importanza, ridotto a fatto marginale nei confronti del sentimento di amicizia e amore per lo stupratore. Nonostante l’insistenza e l’obbiettività dell’intervistatrice non si arriva, da parte degli amici intervistati, alla consapevolezza e al riconoscimento della gravità dell’atto compiuto. Sminuito, rimosso, dimenticato.
Altro scenario.
Nettuno, tre ragazzi di cui uno di sedici e uno di ventinove anni, si annoiano, non sanno cosa fare. Cosa c’è di meglio dell’emozione forte di pitturare seviziare e bruciare un barbone? Se poi è extracomunitario la cosa appare non solo meno importante ma addirittura si ammanta di ideologia positiva: a casa loro questi luridi e puzzolenti stranieri che ammorbano l’aria di casa nostra e ci portano via il lavoro. Lo cospargono di benzina e gli danno fuoco. Lui è un indiano che ha perso il lavoro da poco, un disoccupato che ora sta lottando fra la vita e la morte in ospedale.
Tutta la politica si mobilità e condanna il gesto vigliacco e delinquente.
La giornalista arriva a Nettuno e parla coi ragazzi.
Prima intervista alcuni anziani che denunciano il degrado della zona dove non esistono occasioni di svago, di aggregazione per i giovani, non ci sono cinema, circoli, strutture adatte per passare il tempo libero e socializzare.
Poi si passa ai ragazzi, al capannello che si è formato all’arrivo della troupe perché c’è la possibilità di essere intervistati, di essere in televisione, magari al telegiornale. Per questo si avvicinano, un po’ indolenti, e si lasciano intervistare per commentare il fatto.
“Sono bravi ragazzi, amici, non me lo sarei immaginato, sono ragazzi tranquilli”.
Ma hanno bruciato un ragazzo! Insiste la giornalista. “Non era un ragazzo, era un marocchino!” la risposta testuale.
Questa risposta dice tutto. Dice il vuoto che c’è dentro questi ragazzi e non ci possiamo trincerare dietro il fatto che sono l’eccezione, il frutto di un ambiente degradato, di famiglie disgregate, di baraccati. Sono persone comuni, normali, con genitori comuni, fanno parte anche loro di quei “bravi ragazzi” che ogni tanto si trovano sulle cronache perché hanno stuprato, seviziato, ucciso loro coetanei o i propri genitori e parenti. Magari per una dose, magari per il denaro della pensione, per un’eredità sofferta o solo per noia.
Sono ragazzi senza più valori, ragazzi in disagio che esprimono le loro difficoltà nei confronti dei diversi, dei più deboli, su cui riescono ad imporsi cercando se stessi, cercando una loro dimensione umana che manca, che non riescono a raggiungere. Una dimensione che nessuno gli ha insegnato, né la scuola da troppo tempo assente in campo educativo, né la società con i suoi cattivi esempi quotidiani, né la politica con frasi di circostanza e promesse di provvedimenti che non arrivano, né la società con la maleducazione dilagante, con i soprusi impuniti, con la mancanza di serietà e di vergogna, con la furbizia interessata trasformata da peccato in virtù.
Forse non tutti sono così. In televisione si vedono anche giovani educati, rispettosi, impegnati. Si vedono giovani ricercatori che lottano per non andare all’estero, giovani studenti che manifestano per una scuola migliore, giovani volontari che prestano la loro opera gratuitamente al servizio degli altri. Ma si vedono anche gli ultrà degli stadi, la violenza delle periferie urbane, quella dei centri sociali e dei gruppuscoli di destra con le svastiche naziste. Ognuno ha i propri scheletri.
Vi sono delinquenti in ogni popolo, e allo stesso modo vi sono brave persone. Forse bisognerebbe fare una distinzione in base alla qualità delle persone e non alla loro appartenenza etnica.
Non mi piacciono questi ragazzi intervistati, non mi piacciono i loro discorsi razzisti e la loro assoluta mancanza di valori. Li scambierei volentieri con quei bravi lavoratori extracomunitari che ognuno di noi sicuramente conosce, ma non risolverei il problema. Perché il problema sta in noi, nelle nostre istituzioni pubbliche che dovrebbero reagire in maniera straordinaria e con estremo vigore di fronte a questo fenomeno dilagante della perdita dei valori, della superficialità dei nostri giovani, dello smarrimento del senso della vita, dello stato, del rispetto degli altri.
Alcuni di questi giovani saranno la nostra futura classe dirigente, altri metteranno su famiglia e faranno dei figli.
La società che sapranno costruire nascerà sulla base di quello che gli avremo saputo insegnare.
Trilussa
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