Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
C’è una guerra, una vera guerra, solo a due passi da noi. E’ vicinissima, la più vicina delle tante guerre che si combattono continuamente nel mondo, ma è come se non ci fosse.
Ci sono morti, ci sono ogni giorno bombardamenti e aspri combattimenti fra le due fazioni in campo ma nei telegiornali nazionali occupa quasi sempre la terza o quarta pagina, dopo la politica, dopo l’economia, dopo le tensioni nella maggioranza e nell’opposizione, dopo i rifiuti di Napoli, dopo il ritorno del problema delle intercettazioni e la polemica se è o meno giusto che il popolo sappia a quale squallore è giunta la politica nazionale con tutti i suoi affari (più o meno leciti lo deciderà la Magistratura). Fortunatamente prima, ma di poco, dell’annuncio da Londra che la Canalis e Clooney forse hanno concluso la loro storia d’amore.
E’ una guerra oscura non solo per le scarse notizie ma anche per le scarse immagini che vengono dalla Libia. Immagini di esplosioni viste dagli aerei che scagliano i missili, immagini che appaiono false come se venissero da un videogioco, la distruzione di una caserma o di un carro armato passate sullo schermo senza la minima drammaticità, come se in quella tremenda esplosione a cui assistiamo non ci fossero compresi anche i corpi dilaniati e polverizzati di poveri disgraziati con famiglia, comandati a quella guerra che magari non capiscono o su cui hanno ben poco da decidere.
Anche le immagini della parte cosiddetta “liberata” sono abbastanza inconsuete. Non vediamo infatti immagini di soldati con quelle grosse e protettive tute mimetiche fornite di appendici di difesa e di offesa, di visori notturni, elmetti, grossi zaini di sopravvivenza. Tutta quella tecnologia che l’arte militare è oggi in grado di fornire ai propri soldati, oramai non più contadini tolti dai campi e forniti di un fucile per sparare al nemico, ma professionisti preparati e addestrati ad usare strumenti ed armi sempre più sofisticate.
Paragonando le immagini delle milizie in Afganistan con queste che vengono dalla Libia sembra di avere a che fare con due guerre diverse e se i soldati americani incutono paura con le loro armi e le loro divise i ribelli libici appaiono anche un po’ ridicoli con le loro magliettine a mezze maniche, con i pantaloni d i tutti i giorni, con le mitragliette piazzate su malridotti pick up o su vecchie utilitarie con cui scorrazzano per le strade sparacchiando qua e là. Sembrerebbe tutto finto o solo un divertimento se le armi non fossero invece reali e i proiettili e le bombe sparate avessero la stessa forza di distruggere cose ed uccidere persone.
Se poche sono le immagini che arrivano da Misurata e dalla parte occupata dei ribelli ancora più scarse quelle che arrivano da Tripoli. Si vedono le devastazioni dei bombardamenti, i funerali delle vittime civili, i resti di qualche raro aereo spia abbattuto, qualche piazza gremita che inneggia ancora al supremo leader che pare non abbia nessuna intenzione di lasciare. Una guerra doppiamente oscura, perché si fa poco vedere (siamo abituati a ben altri spettacoli televisivi riguardo alle guerre passate quando c’era di mezzo la CNN!) e poco viene fatto vedere.
Forse la scarsa informazione e le scarse immagini sono solo per pudore perché è ormai chiaro a tutti che l’intervento delle potenze occidentali non era tanto teso a difendere le popolazioni civili (faremo in fondo i conti di quante vittime ha fatto l’uno e di quante ne ha provocato l’altro con i soliti bombardamenti intelligenti dagli inevitabili effetti collaterali!) ma soprattutto per spodestare Gheddafi. Ci sono sempre grandi interessi dietro gli interventi internazionali in paesi ricchi di petrolio e materie prime, basta pensare all’Irak di Saddam Hussein. Ora che i pozzi petroliferi sono in mano ai ribelli sono loro la rappresentanza ufficiale del paese e proprio in questi giorni sono stati ricevuti dal nostro ministro Frattini per ufficializzare la loro rappresentatività nazionale.
Difficile comunque definire il nostro comportamento nella vicenda libica.
Siamo passati dagli onori del baciamano e della cavalleria berbera alla dichiarazione di evitare un disturbo al dittatore, poi ci siamo dichiarati neutrali, poi abbiamo concesso le basi agli aerei Nato, poi abbiamo partecipato ma solo alle ricognizioni in territorio libico ed infine ci siamo dati anche noi ai bombardamenti “chirurgici”.
In diretta e sincrona proporzione alla conquista da parte dei ribelli dei pozzi petroliferi.
Una guerra vera quindi, ma forse un po’ in sordina, con tante scuse a tutti i morti e a tutti i cittadini che soffrono come si soffre e si piange in tutte le guerre del mondo.
Se si vuole trovare una consolazione per questa guerra oscura e un po’oscurata ci si deve spostare un po’ più lontano ma non poi di tanto. Sempre in Africa, in Congo esattamente, dove la guerra dura ormai da decenni tanto che oramai si è trasformata sempre più in uno scontro etnico, tribale fra popolazioni diverse di ben sette paesi africani.I morti sono oramai più di quattro milioni e non si contano i veri e propri genocidi.
Chi si scontra sono sempre i soliti, eserciti regolari da una parte ed indipendentisti dall’altra e anche chi ne soffre è sempre la solita, l’ indifesa popolazione civile.
Oltre i milioni di morti sono ora centinaia di migliaia i profughi in fuga verso l’ovest del paese e la capitale Kinshasa, persone disperate che soffrono la fame e che vivono in condizioni igieniche precarie. Ed ecco che in questo paese così lontano dagli interessi e dalle telecamere internazionali una malattia da noi quasi scomparsa e di solito benigna come il morbillo è in grado di fare nel 2011 ben 21.000 vittime, specialmente bambini.
Bambini denutriti, bambini fragili in cui la malattia diventa mortale.
La Repubblica Democratica del Congo annovera un pil pro-capite tra i più bassi al mondo (125 $ nel 2006), e che si posiziona solo al 167° posto per quanto riguarda l’Indice di Sviluppo Umano. E un altro dato poco confortante è quello che riguarda l’età della popolazione: con una speranza di vita media di 43 anni, su quasi 60 milioni di abitanti la metà ha meno di 15 anni, motivo per cui il morbillo si diffonde velocemente ed è più letale.
Medici Senza Frontiere ha lanciato l’allarme ed è cominciata un’operazione di vaccinazione di massa dei bambini almeno per cercare di ridurre la mortalità ma quello che sconforta maggiormente è il silenzio dell’Occidente, la mancanza di informazioni, di notizie, l’assoluta assenza di interesse non solo dei cosiddetti grandi della terra (scritto minuscolo) ma anche e soprattutto dei Media.
Se quella in Libia è una guerra oscura questa del Congo è una guerra inesistente. Forse sono neri, forse sono africani che potrebbero arrivare anche da noi, forse quei bambini con le pance gonfie per la malnutrizione, con gli occhi cispiosi per il tracoma e la faccia piena di mosche possono disturbare il nostro pranzo di mezzogiorno.
Meglio non farli vedere troppo in televisione.