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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Il Processo.

3/7/2011 - 6:45

 
Buona domenica  e buona giornata al mare.
Io, da buon pensionato, categoria di quelli che secondo il comune dire hanno “tempo”, non vado  ad assolarmi (prender sole), ma mi assolo (resto a casa), tanto mi riprometto di andarci in settimana ad assolammidammessolo.
Prendendo un altro luogo comune che dice di “cavalcare l’onda”, dovrei andare avanti con questa rubrica e inserire curiosità di mare, onde appunto, ma è domenica e vado in Macchia a ritrovare i miei amici animali e in particolare il misterioso Lupo delle favole sul quale ho scritto  un sonetto sibillino  in vernacolo toscano anch'io ed una stramba novella.
  
Becco e bastonato!


Mangio rosicchi e bbev’acqua di bótro,
ar buo der culo c’è lle ragnatele,
ma per e più la parte facci’a llótro
e mmi tocca èsse’ ppreso pe’ lle mele.
Sarà cent’anni ‘he bàzzio le novelle,
ma nessuno mai con me ci vòrse sta’;
si mettin’anzi a rride’ a crepapelle
di chi ‘r mi nome cercava di spaccià’.
Vò’ vedé’, s’a ‘n piscologo ni gira,
vien fòri ‘he lli strizzoni della panza
fame ‘un era ma fórze ‘r tira-tira?
‘Ver che mmi press’a lletto ‘ndella stanza
‘un era ‘r marcio ch’ora ‘r mondo tira,
perché a’ mi’ tempi, … ‘un c’era ‘vest’usanza!

 

Il processo


Nella grande pineta dei Duchi Salviati di Migliarino, al centro di una grande radura interamente coperta di cisto, si erge la Grande Quercia.
Sui grandi rami un gruppo di cornacchie, dirette da Lucido Corvo, gracchia ripetutamente:
“Processo al Lupo, processo al Lupo!”
Per contorno, lungo il poderoso tronco, nascono le felci “lingue di lupo”, intorno non vi sono funghi che non siano vescie o loffe, quelle che in Francia chiamano “ scorregge di lupo”.
All’ombra della quercia si trova la giuria composta da animali selvatici: Daini, Tassi, Volpi, Lepri e domestici: Gatti, Pecore, Galline e Cani.
Presiede il solito giudice Saggio Gufo.
Cancelliere è Solingo Istrice.
L’accusa è il noto Bianco Cavallo, che così esordisce:


“Tralasciamo, perché non pertinenti a questa causa, le pittoresche e varie identità dell’imputato che si fa chiamare a volte solitario, altre siberianomannarodi mareAlberto ecc.ecc.
Signor cancelliere non ho starnutito, scriva eccetera eccetera, grazie.
In questo processo si mette in discussione la cessione di comportamenti selvatici dall’animale all’uomo e, più precisamente, di alcune particolari caratteristiche che il qui presente imputato Ingordo Lupo ha fatto in modo potessero essere attribuite alla gente comune.
In primis, Signor Istrice non mi rizzi le sue penne per favore, scriva: Primo! si ingiunge al suddetto imputato di cessare di far dire: Mangi come un lupo!

  Imputato, a lei!”

 

Un Lupo spelacchiato, scheletrico, con la gabbia toracica bene in vista sugli scarni fianchi, un orecchio su e uno giù, ma con vivi occhi brillanti di un giallo oro che si fissano sugli altrettanto giallo vivi del giudice Gufo, si appoggia al ceppo di pino che funge da banco dei testimoni.

 

“Io tengo a precisare che mi difenderò da solo come sono abituato a fare da sempre. Dunque, a riguardo del mio presunto appetito; ma caro avvocato, cara giuria, caro presidente, con la penuria di cibo che c’è, è manna se trovo un rosicchio di pane duro che devo anche ammollare in acque torbide. Con il permesso della corte Vi mostrerò che, prendendo ora in prestito un detto dell’uomo, - chi ‘un mangia ‘un caa! - al mio buco del culo un indisturbato ragno mi ci ha costruito una ragnatela!
Signor cancelliere non mi venga vicino per favore!
Creda a quello che dico senza verifica.
Prova a difesa numero uno! Che venga messa agli atti!”.
 
Il Gufo dice che non occorre mettere niente a niente, non ritiene che vi sia offesa alla corte e dice al Cavallo di sospendere per dieci minuti, che una borra gli sta dando dei fastidi allo stomaco.
Dopo circa un quarto d’ora, il Gufo, alleggerito, ritorna al suo posto sul trespolo.
L’accusa riprende visibilmente scossa:

“Accusa numero due e tre. Perché quando l’uomo, parlando con un suo simile, si accorge che sta verificandosi quello del quale stavano discutendo dice: Lupus in fabula?
E perché quando si sentono beffati di una richiesta d’aiuto non veritiera gli umani gridano: Al lupo, al lupo! ? Eh? Perché, perché?”
 
“ So ‘na sega io perché quelli scemi mi devin sempre mette’ nder mezzo!
Scusate lo sfogo ma quando ci vuole ci vuole! Mi hanno messo nelle novelle per centinaia d’anni a far la parte dello scemo affamato e bastonato; anche Disney, che lo credevo amico, mi ha usato da clown con Merlino e con Pierino. Ridono del mio nome e del pastorello che perde le pecore, -quella volta però mi sono rifatto- e non mi hanno mai dato una compagna e nemmeno un compagno.
Beh! C’è stato quello di Assisi, ma quello era Santo!”

 

Il Cavallo accetta la difesa accorata e per un attimo guarda con simpatia l’imputato. Poi, scuotendosi la criniera, si infervora, nitrisce, scalpita, diventa roano e urla:
“Maledetto tu sia, condannato tu sia, e non per la fame, la solitudine e le beffe, ma per la tua…..”

 

La rabbia non gli fa uscire di gola la parola che lo tormenta da quando, nella pausa chiesta dal giudice, ha avuto un colloquio con lo psicologo del bosco,  Centenaria Tartaruga.
La giuria si appiattisce nell’erba, il giudice si ripara velocemente in un buco della quercia perché il cancelliere si è rizzato eccitato con uno scatto e l’emozione gli ha fatto partire una scarica di aculei.
Fortunatamente non si lamentano feriti.
Il Gufo, ripresosi, chiede all’accusa di continuare e all’Istrice di contenersi.
 
“ ….PEDOFILIA.
Sì, amici giurati, la pedofilia intride questo essere spregevole, me ne avevano dato conferma alcuni documenti trovati nelle scuole e nelle biblioteche da bambini e ne ho avuto la prova dalle dotte parole della dotta dottoressa Tartaruga.
Che cosa sentiva la povera piccina attirata dal bruto nella stanzina della povera vecchina prima di essere concupita? Sentiva un sordo brontolio che proveniva dallo stomaco della bestia cento volte bestia. Quella era la voce del desiderio, quella che sconvolge la mente e spinge al turpe approfitto di un’anima innocente.
Non vi era la luna quella sera, quella luna che il meschino Lupo prende altre volte a prestito per le sue nefande imprese, non vi era la luna quella sera, non era neanche sera, ma sola vi era la voglia, la voglia di carne fresca e giovane, la voglia di…, scusate le lacrime,…non oso andare avanti cari giurati, esimio presidente, a Voi l’ultima parola e spero che sia di condanna. Grazie.”
 
Il Lupo è ammutolito e gli si affloscia l’orecchio rimasto ancora eretto.
Gli occhi di tutti sono rivolti su di lui e lui guarda tutti. Poi, con un ululato tremendo, che vien sentito fino a Torre del lago e fa ritornare indietro due o tre bracconieri che stavano saltando la rete, urla:
 
“ Eh nòe, eh nòe! Accidenti a Grimme, Perrò, lo zoppo e a tutte le maiale delle su’ mamme di ‘ve brodi che mi scrissero! Accidenti anco a ‘vella popò di troia della mi’ nonna che si misse a ddà’ la puppa a que’ finocchi di gemelli, accidenti a mi’ fratelli che tirin le slitte, ar vuvvuèffe che mi doverebbe lassà’ stà’ ‘n culo a ‘ monti, e accidenti a tutti voàrtri!
Io ho FAME, come ve lo devo di’?
Effe a emme e!
FAME E E!!
Eppoi siete anco de’ pèori! E quando dïo pèori lo dïo a spregio! Perché ‘un tirate fori ‘ver proverbio che mi salverebbe ‘r nome ‘nvece di cercà’ ‘velli ‘he mi sputtanano? O rotti ’n culo, ve lo siete scordato che a un lupo ‘un ni riesce chiappà’ passere?
E allora? Lo stombao a mme mi borboglia dalla fame, non dar tira -tira!”
 
Conclusione.


Dopo una mezza giornata di consiglio il Lupo viene prosciolto da ogni accusa e se ne ritorna libero nel folto del bosco. Tutta la giuria aveva votato “innocente”, con la sola eccezione della Pecora, ma, meno male, il Cane ce l’aveva fatta a convincerla.
Tutti si allontanano dal bosco o rientrano nella macchia trotterellando, tranne la Pecora che zoppichicchia e il Cane che si guarda una volta avanti e due indietro, una volta all’Aurelia e due volte a Marina, perché?
Ma perché : “ In ogni cane si nasconde un lupo!”

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