Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
Non molto tempo fa ci siamo soffermati sul libro di Vittoria Franco Care ragazze, dedicato alle giovani generazioni femminili e volto a ricostruire tutto un percorso per dare una dimensione storica a dei diritti che non appartengono alle donne per natura, ma sono stati acquisiti con lotte dolorose e consapevoli.
Giunge ora opportuno il bel libro di Marco Cavina, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale (Laterza 2011), che ci ricorda, ancora in tema di diritti, come per secoli si sia accettata come uno stato naturale l’inferiorità delle donne, la loro assoluta subordinazione all’autorità maschile e su questa base si sia legalmente giustificata la violenza nell’ambito del matrimonio.
Cavina, professore di Storia del diritto medievale e moderno, ricostruisce il processo attraverso il quale, nell’arco di due millenni vengono stabiliti e ribaditi i diritti, le imposizioni, le norme che configurano il modello granitico e il fondamento indiscusso su cui poggia l’intero edificio delle relazioni sociali fra uomini e donne all’interno dell’istituzione familiare. La tradizione greco-romana del patriarcato saldamente incentrata sulla figura dell’uomo (marito, padre e fratello) e incentrata sulla subordinazione e cieca obbedienza della donna all’autorità maschile, ancorata all’ordine naturale delle cose viene ripresa e tramandata nella cultura cristiana dell’età medievale e moderna attraverso la mediazione degli Atti degli Apostoli e delle Lettere di San Paolo. La superiorità dell’uomo viene ribadita con forza, come anche la liceità dell’uso della violenza a fini educativi; si afferma però che il potere correzionale deve essere esercitato con moderazione. Nella seconda metà del IV secolo Giovanni Crisostomo così sintetizza il suo pensiero:
"Se agli estranei che ci percuotono la guancia destra, bisogna offrire l’altra; tanto più bisogna sopportare un marito feroce. Ma non dico questo affinché la moglie sia bastonata. Lungi da me! Ciò sarebbe ingiurioso non per la donna bastonata ma per l’uomo che bastona […]Anche a voi uomini dico questo:nessun peccato sia tanto grande che siate costretti a bastonare la moglie.[…]Tu mi dirai che tua moglie è audace e aspra. Ma pensa che lei è donna, cioè un vaso imperfetto, tu invece uomo[…]Pertanto fa’ sì che il tuo dominio sia splendido: splendido però lo sarà, allorché non coprirai di ignominia colei che domini[…]la moglie è un grandissimo approdo e farmaco di delizia".
Ivo da Chartres, nell’XI secolo accoglie il testimone e ribadisce come
“Appare evidente come la legge abbia voluto che le femmine fossero suddite dei maschi e quasi loro serve di casa”;”la moglie è soggetta al dominio dell’uomo e non ha autorità alcuna”; “è proprio dell’ordine naturale fra gli uomini che le femmine servano i maschi!;”l’uomo regge, la donna è retta;egli deve comandare, ella deve servire[…]Che cosa c’è di peggio di una casa in cui la moglie ha il comando sul marito?.”
A sottolineare la continuità dell’atteggiamento religioso Cavina ricorda che
"Il frate Cherubino da Siena paragonava, nella seconda metà del Quattrocento, il mestiere del marito a quello del medico: ad entrambi si imponeva saggezza e gradualità, ma il ricorso alle maniere forti da parte loro poteva diventare non soltanto auspicabile, ma addirittura doveroso, poiché “medico pietoso fa la piaga verminosa”.
Il matrimonio illustrato da Cavina si configura non tanto nella sua dimensione sociologica, come strategia stabilizzatrice, ma come luogo di confronto e di scontro emozionale. Mariti gelosi, possessivi, autoritari, rabbiosi e violenti di fronte a donne definite traditrici, pigre, iraconde e bisbetiche, dilapidatrici di risorse domestiche ma che, soprattutto, non si lasciano sottomettere. Eppure l’armonia doveva regnare in famiglia e il paradiso si poteva e doveva conquistare su questa terra; e per forza bisognava dunque che le donne si sottomettessero a un modello di comportamento esemplare di cui Santa Monica, madre di Agostino da Ippona, che così la ricorda, era l’icona:
"Mia madre fu dunque allevata nella modestia e nella sobrietà[…]Giunta in età matura per le nozze fu consegnata a un marito, che servì come un padrone […]Tollerò gli oltraggi al letto coniugale in modo tale, da non avere il minimo litigio per essi col marito […]Era del resto un uomo singolarmente affettuoso, ma altrettanto facile all’ira e mia madre aveva imparato a non resistergli nei momenti di collera, non dico con atti, ma neppure con parole".
Una schiera di sante, a loro volta vittime di mariti violenti, si schieravano a protezione delle donne “malmaritate”, garantendo miracolosi interventi per sanare le ferite o far ravvedere i mariti, ma la donna per meritarlo doveva ispirarsi al loro eroismo ed essere pertanto “obbediente, casta, devota e soprattutto paziente, perché era lei l’architrave della concordia familiare”.
Nell’ambito di una plurisecolare visione antropologica dell’immaginario patriarcale della cultura occidentale viene riconosciuto per certo al marito il diritto a esercitare una violenza strumentale sulla moglie (a fini educativi o correttivi di certi difetti del carattere), ma Cavina mostra anche, sulla base di concrete ricerche, come storicamente tale diritto muta. Precettisti, giuristi, teologi, letterati si confrontano innanzitutto per definire i limiti all’esercizio di questa violenza. In sede religiosa e giuridica si condannano gli eccessi nei rispettivi ambiti, come peccato e come reato: quando la violenza esorbitava dall’ambito correzionale per divenire violenza espressiva, cioè fine a se stessa e quando, soprattutto, si metteva in pericolo la vita della donna. Il diritto poneva poi restrizioni particolarmente severe alle punizioni maritali per le donne di condizione sociale elevata, per cui era
Reputato assai saggio scegliersi una donna più giovane e più povera, in quanto più malleabile e più disponibile a riconoscere l’autorità del marito.
Ma del resto si riteneva che la violenza fosse più generalmente e comunemente diffusa e pertanto socialmente tollerata nei ceti più modesti, meno acculturati, più rozzi, come testimoniano i proverbi, espressione di questo spirito popolare:
“Chi batte sua moglie la fa strillare, chi la ribatte la fa tacere”; “buon cavallo o cattivo cavallo vuole lo sperone, buona moglie o cattiva moglie vuole il bastone”.
Difficile quantificare la violenza esercitata, ma Cavina la giudica impressionante a giudicare dagli interventi delle autorità pubbliche a favore dell’impianto di conventi e istituti non religiosi destinati a raccogliere donne di dubbia moralità e mogli maltrattate, luoghi di rifugio e di reclusione insieme, assistenziali e punitivi, da cui emerge tangibilmente per tutte la comune condizione di vittime della prepotenza maschile:
La reclusione aveva luogo talvolta in una prospettiva assistenziale, talaltra in un’ottica palesemente punitiva: nel primo caso erano donne in fuga da un coniuge violento o donne formalmente separate ma abbandonate a se stesse, nel secondo caso erano donne internate dalle autorità o dai mariti per i loro –veri o presunti- cattivi costumi.
Il quadro europeo che Cavina considera e l’attenzione alla pluralità dei diritti (canonico, comune, statutario) e alla ricchezza delle testimonianze della tradizione letteraria arricchisce e complica enormemente il quadro e nella omogeneità della situazione europea si colgono alcune peculiari singolarità. In alcune regioni, come i Paesi Bassi francesi, per esempio
il marito aveva la facoltà di battere la moglie, tagliuzzarla, fenderla dall’alto in basso e scaldarsi i piedi nel suo sangue, il tutto senza sanzioni, a patto che poi la ricucisse e le facesse salva la vita.
In altri paesi, come l’America dei Puritani, la violenza non era invece tollerata:
Nel 1641 il “Body of Law and Liberties” del puritano Massachussets prevedeva espressamente che “ogni donna sposata sarà esente da correzione corporale o frustate da parte del proprio marito, a meno che costui non lo faccia per auto-difesa su di lei aggressione.
Si tratta di una affermazione di principio, forse poco applicata, ma nel quadro generale la sua portata è di grande valore.
La sopraffazione dell’uomo sulla donna trovava la sua espressione più odiosa, ma paradossalmente anche la più accettata e quella che resterà più a lungo nel diritto, nella imposizione del rapporto sessuale. San Paolo aveva basato sul matrimonio e sul “debito coniugale”, il dovere, cioè, di concedere il proprio corpo al coniuge, la stessa sicurezza sociale. La Chiesa lo aveva ribadito con forza in quanto dal sesso, esclusivamente a scopi riproduttivi, il matrimonio traeva la sua stessa ragione di essere.
In un quadro patriarcale ampiamente condiviso a livello sociale e culturale, furono però canonisti e teologi d’età moderna gli intellettuali che più si applicarono nella costruzione di una precisa azione giudiziaria diretta a costringere il coniuge riottoso al debito coniugale, eventualmente sotto pena di scomunica.
In questa stessa logica è il marito che esprime con violenza la sua pretesa al rapporto sessuale per cui,
accanto alla violenza a fini correzionali, altri spazi di lecita violenza maritale investivano la sfera più propriamente sessuale del matrimonio. Si tratta, in particolare, delle figure dello stupro coniugale e del delitto d’onore che ancora tra XIX e XX secolo godranno –come vedremo- di un qualche favore fra giudici, legislatori e, soprattutto, pratiche sociali.
La stessa concezione proprietaria del corpo della donna si ritrova nel delitto-peccato di adulterio, quasi sempre veniale per i mariti, sempre mortale per le donne (alle donne non si riconosce la dignità del crimine, per le ridotte capacità intellettive, ma la bassezza del peccato)e punito con la violenza estrema della morte se colte in fragranza di reato, anche se la legge non lo prevedeva:
Occorre rilevare che numerosissime legislazioni non trattavano affatto del diritto di uccidere la moglie adultera, ma ovunque esso godette, quantomeno nella prassi, di un’amplissima impunità, quasi fosse una sorta di diritto naturale patriarcale.
Emerge altresì come le donne subiscano passivamente la violenza, considerata quasi fisiologica nel matrimonio. Certo è sempre stato ed è pericoloso opporsi a mariti violenti o denunciarli pubblicamente, soprattutto quando si sa che tutta una comunità è in sintonia con il coniuge autoritario. Tuttavia, di fronte al disperato senso di impotenza di queste donne maltrattate, emerge talvolta una reazione violenta anche da parte delle donne. Si tratta per lo più di reazioni agli abusi maschili, ma non mancano casi di donne imperative che mettono in discussione i ruoli tradizionali, e, in particolare quello potestativo. È la strega , buona e cattiva insieme, dipende dai suoi rapporti con la comunità di appartenenza, di cui è archetipo la donna avvelenatrice presente in tutta la cultura classica alimentato dalla misoginia maschile. La strega uccide con il veleno per evitare pericolosi corpo a corpo e perché è delitto di difficilissima prova, date le ristrette capacità diagnostiche delle società del passato, ma non è infrequente che finisca ad essere accusata della peggior forma di eresia, il culto satanico, e finisca fatalmente sul rogo.
Sporadiche prese di coscienza più dirette si registrano nel corso dei secoli, legate a una consapevolezza timidamente femminile, ma per una concezione radicalmente nuova, decisamente femminista di piena consapevolezza di un istituto matrimoniale fondato sulla disparità di genere e sulle diseguaglianze giuridico sociali connesse occorre arrivare ai secoli XIX e XX.
Nel tardo Antico Regime si registra una propensione crescente da parte dei giuristi a togliere ogni fondamento giuridico alla potestà correzionale del marito, ma gli effetti sono quelli di un ulteriore contenimento, non della eliminazione della violenza. Un punto di svolta è rappresentato dalla Rivoluzione Francese che demolisce il modello della famiglia patriarcale a favore di quello individualista e privo di ruoli. È il pensiero liberale che riprende e promuove l’idea di una famiglia formata da individui alla pari, meritevoli di una identica tutela, privata di quella diseguaglianza sessuale che era alla base della violenza, che, in tempi a noi vicinissimi, viene così definita:
La violenza sulla moglie si formalizzò nei termini di un reato, quello di ‘maltrattamenti in famiglia’, primo passo di una criminalizzazione sempre più capillare della violenza domestica.
Tutto un universo patriarcale sembra dissolversi , almeno sul piano giuridico, perché in realtà esso è ancora profondamente radicato nella società: sono i giuristi, afferma Cavina , che si fanno promotori dei cambiamenti, ma la società non li asseconda.
Come ultima sconcertante testimonianza, Cavina riferisce :
Ancora di recente la Cassazione italiana si è trovata a giudicare un caso di maltrattamenti in cui il marito si giustificava sostenendo di aver picchiato la moglie per educarla a diventare una brava donna di casa, esperta nella gestione domestica. Suo scopo sarebbe stato quello –ragionevole se non meritorio, a suo avviso- di indurre la sua compagna a osservare regole di comportamento ispirate a un modello ideale di organizzazione familiare, senza volerla “vessare e umiliare”. In sostanza, avrebbe perseguito quel fine educativo che aveva tradizionalmente legittimato l’esercizio della potestà maritale. Tale argomentazione, sostenuta in primo grado davanti alla Corte d’appello di Torino, è stata infine respinta dalla Cassazione, che ha escluso qualsiasi rilievo al “fine educativo” nel rapporto tra marito e moglie.
Il paradigma della naturale superiorità maschile è ancora incorporato nella cultura contemporanea e la violenza degli uomini sulle donne, assorbita nella complessa categoria del “femminicidio”, di stringente attualità. Ma di questo vorremmo tornare a parlare prendendo a pretesto il libro/documentario di Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, discusso lo scorso venerdì 2 settembre al Teatro del Popolo di Migliarino.
Prof. Elsa Luttazzi