Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
"È l'umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi s'impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia. Non puoi dire che un aspetto della città sia piú vero dell'altro, però della Zemrude d'in su senti parlare sopratutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d'in giù, percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per tutti presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo piú a staccarlo dal selciato. Il caso inverso non è escluso, ma è piú raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude con gli occhi che ormai scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi".
(Zemrude da: Le Città Invisibili di Italo Calvino)
Difficile aggiungere parole ad uno scritto così efficace nel dipingere un'immagine, nell'evocare una suggestione. Quest'opera di Calvino è come un testo magico ogni volta che lo leggi scopri qualcosa di diverso, qualcosa che non avevi visto, qualcosa che ti serve, che ti illumina il pensiero.
In questi giorni ho ripreso in mano questo libro e Zemrude mi ha colpito, appena l'ho riletta ho pensato siamo noi, ora, qui.
Ogni mattina ritroviamo il malumore del giorno prima, camminiamo guardando la punta delle nostre scarpe, con le unghie ficcate nei palmi, con le mascelle serrate, con i volti tirati pronti a scattare alla prima occasione, anzi a volte la provochiamo noi l'occasione.
La rabbia, l'indignazione e la rassegnazione sono le emozioni più evidenti nei rapporti con il mondo che ci circonda. Non dico che non abbiamo motivi per questi stati d'animo. I motivi socialmente, culturalmente, civicamente, economicamente ce li abbiamo, hai voglia se ce li abbiamo.
Ma nonostante questo c'è qualcosa che non mi torna. Perchè la prospettiva più usata, più praticata è quella d'in giù? È come se percepissimo un tornaconto in questa scelta, il tornaconto è il risparmio di energia, il vivere con il cuore, e anche la mente in stand-bay. Il tornaconto non è solo nostro, le forme e i contenuti del nostro vivere moderno sembrano assecondare, agevolare questo sguardo all'in giù, non considerando quanto possa essere pericolosa una sua trasformazione.
Camminare nella Zemrude all'ingiù vuol dire continuare a pensare...che importa? Non ne vale la pena. Ma chi me lo fa fare? Ma per chi lo dovrei fare? Sono tutti uguali! Eppure queste frasi sono come le sbarre di una gabbia, ma si può cercare un altro punto di vista da cui la gabbia scompare?
Come afferma Galimberti: “La nostra libertà di scelta non è tra le cose, ma tra i significati che noi conferiamo alle cose, per cui noi siamo liberi perchè siamo donatori di senso e perchè scegliamo in base al senso che diamo”.
Restando impigliati con lo sguardo sul selciato perdiamo la possibilità di esser-ci in maniera piena, perdiamo la possibilità di incrociare lo sguardo con un'altra umanità, perdiamo l'occasione di scoprire nuovi orizzonti, perdiamo l'unica occasione che abbiamo...
Alzare lo sguardo è la metafora del passaggio dall'indignazione all'azione, del credere nel potere anche personale di cambiare e di costruire noi stessi, il mondo, che è anche il nostro mondo. Che è fatto anche di quotidianità, di piccole cose, di piccoli mattoni messi uno accanto all'altro.
Alzare lo sguardo è la metafora del futuro, della speranza, del credere che si possa fare diversamente, è un modo per dire che abbiamo bisogno di dare e darci fiducia.
Camminare per la Zemrude all'insù, per me, è la metafora della decisione di assumersi la responsabilità di impegnarsi, di dare forma e contenuto alla voglia di fare, di lavorare per qualcosa che mi superi, che vada oltre il mio essere singolare.
Io ho bisogno di tutte e due le Zemrude, ma cerco faticosamente di costruire un'equilibrata esistenza in bilico tra l'una e l'altra prospettiva, senza perdere la curiosità e la voglia di mettermi alla prova, di darmi delle possibilità, errori e contraddizioni comprese nel prezzo della ricerca della felicità.
E voi?