Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Rubrica a cura di Elsa Luttazzi
Con questo libro (Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza 2011), Alberto Maria Banti ci introduce da storico alla comprensione di categorie come Nazione e Patria che nella commemorazione dell’anniversario dell’Unità d’Italia sono state ripetute con diversa enfasi e ci spiega anche i significati meno ovvi di identità e comunità con i quali ci confrontiamo e ci scontriamo nell’ambito del dibattito politico e nella quotidianità del sociale.
Nazione, parola che deriva dal latino, appare già nel periodo medioevale senza però un preciso significato politico. Essa Indica genericamente gruppi di individui che hanno qualche tratto comune (lingua, cultura, provenienza) e viene utilizzata occasionalmente, per esempio per distinguere gli studenti universitari che vengono da aree diverse rispetto a quella dell’università nella quale studiano, oppure per distinguere le diverse comunità mercantili attive in porti aperti a scambi a lunga percorrenza.
Anche patria è un termine antico e denota “il luogo dove si nasce, o donde si trae l’origine”, ma esso si trova legato talvolta a un particolare sistema politico istituzionale, al quale sudditi o cittadini devono lealtà, per cui assume precocemente una connotazione politica.
È nel corso del Settecento e in particolare con la Rivoluzione francese e con le sue trasformazioni che il concetto di Nazione, unito a quello di Patria, “in strettissimo collegamento reciproco”, entra prepotentemente nel lessico politico europeo e si pone al centro della “nuova politica”. L’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789) sancisce che
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Ness un corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che da essa non emani espressamente.
Il discorso nazionale giunge anche in Italia tramite i rivoluzionari francesi secondo dinamiche in principio imitative e poi reattive, ma non si impone come concetto di immediata ed intuitiva comprensione. Esso presuppone infatti che il popolo si senta parte di una stessa comunità a prescindere dalle differenze di lessico, tradizioni e costumi.
L’Italia invece ha trovato precocemente una sua unità nella lingua ( risalgono al XIV secolo i più grandi capolavori) che però, paradossalmente, molti secoli dopo è ancora parlata da pochi e per di più colti . Nel 1861 una élite compresa tra il 2,5 e il 9,5 %, dice Banti, ricorre normalmente all’italiano, mentre le masse , per di più largamente analfabete (il 78 % della popolazione) si esprimono da sempre in dialetto.
Una unità dalle fragili basi, come si vede, per cui la proposta nazional-patriottica deve affrontare un percorso difficile. Eppure riesce in primo luogo a conquistare una classe colta e politicamente differenziata,
non solo i mazziniani più radicali,ma anche i nobili o gli intellettuali o i politici moderati, di varia provenienza e di varia inclinazione politico culturale.
Successivamente anche le masse si trovano coinvolte e a dover agire prima di tutto in forma attiva (combattendo) per poter rifondare la carta geopolitica della penisola sulla base del nuovo principio nazionale( fare l’Italia) e a poter poi contare perfino nella scena politica. Questa trasformazione del sentirsi nazione da un piano squisitamente teorico degli intellettuali all’essere nella realtà effettuale delle cose viene compiuta tra il 1815 e il 1861 attraverso la messa a punto di strumenti comunicativi ed educativi che si rivelano di una straordinaria efficacia. La scuola, l’esercito, la ritualità pubblica, ogni forma di svago diventano mezzi efficaci e momenti importanti per insegnare a tutti la nazione, per fare gli italiani.
Poeti e scrittori come Ugo Foscolo, Giovanni Berchet, Alessandro Manzoni, capi di sette carbonare, come Mazzini, rappresentanti di tutto l’arco della democrazia, musicisti, come Giuseppe Verdi e pittori come Francesco Hayez si dedicano unitariamente alla creazione di un’estetica del Risorgimento che si esprima in un linguaggio recepibile a tutti i livelli della popolazione, un linguaggio che parla al cuore, all’emotività.
Le pitture e le statue strategicamente collocate, romanzi, poesie,drammi teatrali, melodrammi, pamphlet, recitati negli spazi pubblici, rappresentati nei numerosi teatri ( 613 vengono costruiti dal 1816 al 1868) , declamati dai cantori delle fiere o da predicatori itineranti imprestati dalla Chiesa.
Infine, niente affatto trascurabile è l’effetto diffusivo esercitato da altri media, dalle stampe monocromatiche vendute per pochi soldi sui mercati, alle storie cantate o raccontate dai cantanti girovaghi o dai burattinai, che spesso adattano gli hit letterari o operistici alle loro cornici comunicative.
Tutti questi mezzi vedono protagonisti valori e sentimenti primordiali, che sono alla radice di una tradizione di vita comunitativa millenaria. Categorie come nascita/morte, amore/odio, sessualità/riproduzione, “figure profonde”, le definisce Banti, vengono opportunamente e strategicamente riformulate nel nuovo discorso politico come nazione, parentela e famiglia. Per ricondurre questi valori universali a una dimensione nazionale l’elemento sacrale si configura legato a uno storico cattolicesimo e il senso di appartenenza a una comunità si individua fortemente con il riferimento a una comune discendenza biologica e ad un legame di sangue.
Così, in termini poetici definisce la patria Manzoni in Marzo 1821:
una d’arme, di lingua, d’altare,/ di memorie, di sangue e di cor.
Dal lessico cristiano vengono ripresi temi come “sacrificio” e “martirio”per coloro che muoiono per la loro fede politica; “guerre sante” e “crociate” sono le guerre nazionali, mentre l’azione di propaganda viene definita “apostolato” e la rinascita della Nazione è una “resurrezione”. Il massimo della lettura cristologica si raggiunge con l’immagine di Garibaldi che una litografia del 1850 raffigura in sembiante di un Cristo benedicente e con le stimmate.
Accanto all’amor di patria appare come necessario contrappunto l’odio per il nemico percepito anche come nemico della religione. Così il generale Durando infervora i suoi soldati il 5 aprile 1848:
Quell’uomo di Dio, che aveva pianto sulle stragi, sugli assassinii del 3 gennaio, ma sperato insieme che fossero stati effetto di brutale passeggera esorbitanza di soldati sfrenati, ha dovuto ora conoscere che l’Italia, ove non sappia difendersi, è condannata dal governo dell’Austria al saccheggio, agli stupri, alla crudeltà di una milizia selvaggia, agl’incendi, all’assassinio, alla sua totale rovina;ha veduto Radetzky muover guerra alla Croce di Cristo, atterrare le porte del Santuario, spingervi il cavallo, e profanar l’altare, violar le ceneri dei padri nostri coll’immonde bande de’suoi Croati. Il Santo Pontefice ha benedetto le vostre spade, che unite a quelle di Carlo Alberto devono concordi muovere all’esterminio dei nemici di Dio e dell’Italia, e di quelli che oltraggiarono Pio IX, profanarono le Chiese di Mantova, assassinarono i fratelli Lombardi, e si posero colla loro iniquità fuor d’ogni legge. Una tal guerra della civiltà contro la barbarie è perciò guerra non solo nazionale, ma altamente cristiana.
La Nazione appare come una comunità sacrificale e sessuata , cioè organizzata in due generi diversi come ruoli e in rapporto gerarchico e nasconde la sua origine recente adottando un linguaggio che parla alle emozioni primordiali, e che appartengono al cuore di tutti gli italiani.
Gli uomini devono essere capaci di difendere la libertà e l’onore della nazione armi alla mano.
Gli uomini combattono, le donne piangono, consolano, sperano, si disperano. Tutta la fragilità loro è messa a confronto con la salda determinazione dei maschi soldati. Una determinazione salda e necessaria, se si vuole che loro, le donne, l’anello debole ma prezioso della comunità nazionale, siano protette e sicure; e soprattutto se si vuole che la figura fondamentale, la donna per eccellenza, la madre archetipica dell’immaginario nazionalista sia riscattata e onorata.
Esaltate nel loro ruolo di madri le donne vengono chiamate a custodire la sacralità della patria e a difenderla anche con la morte dei loro stessi figli, offuscando con immagini mortifere la loro stessa forza creatrice.
Queste stesse categorie "La famiglia; il sangue; il suolo; la cultura;le emozioni; la guerra; il sacrificio; la santità della patria ", che sono alla base della retorica del Risorgimento le ritroveremo espresse nella cultura prima liberale e poi fascista dell’Italia e Banti le analizza in maniera esemplare e convincente nel loro adattarsi alla nuove realtà politiche. Ma io vorrei fermarmi qui per risvegliare un primo livello di riflessione nei confronti del Risorgimento in primo luogo e poi nella sua riproposizione come momento fondante in quella continua ricerca di radici, così diffusa sul piano nazionale ed europeo.
È giusto ricordare il Risorgimento italiano come affermazione di un unico popolo sovrano soprattutto di fronte alla secessione di una parte del territorio spesso rivendicata dai leghisti al governo. Gli appelli alla coesione nazionale devono avere rilevanza etica e politica, più che patriottica, per non rendere ancora più grave il divario tra Nord e Sud :non si può perciò mettere in discussione il valore fondante dell’Unità raggiunta 150 anni fa, ma non si possono nemmeno ricondurre le nostre radici a quel momento storico. I continui appelli del Risorgimento alla morte, al martirio, allo spargimento del sangue del nemico , se letti non contestualizzati oggi fanno orrore.
Tutti abbiamo rispetto per quei morti e per il loro amor di patria, ma oggi non vorremmo più queste morti, questo amor di patria, e questo odio per lo straniero, queste radici pericolosamente orientate a creare steccati, non ad allargare il senso della comunità. Con il Novecento sono finite le appartenenze, non solo quelle legate al mondo del lavoro e dei mestieri, ma anche quelle ideologiche, di partito e culturali: il mondo è diventato frammentato e sfuggente .
Di fronte a un individualismo che diventa sempre più interesse personale e a ricerche identitarie nate da difesa di questi stessi interessi, tanto più nelle circostanze di una drammatica crisi economica e politica, si sente la necessità di promuovere adesioni a comunità meno egoistiche e più solidali, capaci di restituire coraggio e unità. Da qui la necessità di costruire un linguaggio politico adeguato, una pedagogia capace di fare appello non alle emozioni , ma alla ragione. Una religione civile capace di costruire uno spazio pubblico al cui interno trovino una reciproca accettazione ideologie e appartenenze contrastanti insieme al rispetto per le libertà individuali, nel nome di valori consapevolmente riconosciuti. Per esempio all’insegna della costituzione e dei suoi principi, come Banti ha suggerito in diversi contesti e che qui ci limitiamo ad accennare.
È questo uno degli elementi importanti del dibattito organizzato dall'Associazione Culturale La Voce del Serchio e che avrà luogo venerdì 11 novembre presso il Teatro del popolo di Migliarino sul tema dell’Unità d’Italia, 150 anni dopo, protagonista il professor Alberto Maria Banti.
Chi sono gli interlocutori interessati a questo dibattito?
Tutti i giovani che animano questo travagliato presente.
Gli studenti del collettivo delle Scuole superiori di Pontedera, per esempio, che in una lettera aperta indirizzata ai Presidi e pubblicata nella pagina toscana dell’Unità esprimono una civile protesta e un serio impegno a difesa del ruolo della Scuola pubblica e in favore di una autentica cultura e che festeggiano insieme l’Unità d’Italia, come un momento importante della loro lotta.
Coloro che istituzionalmente sono addetti alla formazione degli studenti e che, per scarsità di mezzi, oberati dal lavoro, si trovano a perdere forze e anche ragioni per un impegno che vedono vanificato nella società reale, ma che non desistono.
Le donne che hanno dato un contributo fondamentale alla costruzione della nazione democratica e che nella Costituzione si vedono rappresentate.
Tutti coloro, infine, che sono interessati a una crescita civile del paese e ad una unità che non sia omologazione.