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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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POVERI...NOI!
di Madamadoré

13/11/2011 - 18:02


Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa al vertice del G-20, ha dichiarato: “Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi. La vita in Italia è la vita di un paese benestante, i consumi non sono diminuiti, per gli aerei con fatica si riesce a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni, i posti di vacanza nei ponti sono iper-prenotati (...)” .
Più o meno la stessa frase fu pronunciata nel 1983 da Craxi.
Un pensiero che probabilmente ha sfiorato anche le nostre teste, ma allora la povertà c'è o non c'è?
La povertà rispetto a cosa? Quale povertà? E di chi? Ma mi viene in mente anche un'altra domanda. Ma la povertà è un problema da risolvere? Oppure da tenere solo sotto controllo? È un tema interessante?
 
 Agli inzi del 900 la lotta alla povertà era di competenza dei prefetti, durante il ventennio fascista era materia di enti di assistenza, bisogna arrivare agli anni 70 perchè questo tema diventi argomento della comunità scientifica, infatti la prima stima della povertà risale al 1979.
 
Marco Revelli afferma, ad esempio: “So benissimo che la povertà interessa poco.  (...) È spiacevole a dirsi, ma è così. Interessa poco al sistema dei media, perché essendo cosa grave e preoccupante, non lascia spazio al gossip. E interessa poco anche alla politica (...) perché in assenza di politiche sociali credibili, di contrasto e di risposta, la povertà non è un item quotabile alla borsa del consenso politico.
 
Ho avuto modo di incontrare Walter Nanni della Fondazione Zancan che mi ha lasciato un estratto del nuovo rapporto Caritas- Zancan, “ Poveri di diritti” su povertà ed esclusione sociale in Italia.
A mia volta estraggo alcune parti.


 Poveri di diritti è un titolo fortemente evocativo che nasce dalla considerazione che si sono sempre considerati i diritti separati dai doveri, l'aiuto senza reciprocità e fraternità.

Il povero ha anzitutto diritto di essere trattato come persona, non soltanto come individuo. La persona è relazioni, legami, spazio di vita. Senza la persona la lotta alla povertà finisce per essere cura che riduce il dolore ma non affronta il problema, è risposta senza soluzione.
 E' un titolo che nasce da una semplice, ma non scontata considerazione: alle persone che vivono in condizione di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all'alimentazione, alla salute, all'educazione, alla giustizia- pur tutelati dalla Costituzione Italiana – sono i primi ad essere messi in discussione e negati...

 

...Anche quest'anno il rapporto registra una sostanziale difformità tra i dati relativi alla povertà e la reale condizione del paese, che tutti sperimentano quotidianamente e che richiederebbe un'integrazione dell'attuale metodo di rilevazione con soluzioni più sensibili ai cambiamenti.

 

...Se i poveri avessero dei diritti, il primo sarebbe quello di sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l'uscita dalla povertà è possibile.
Invece oggi esiste una cultura diffusa secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire.

 

La povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. Senza un adeguato sostegno le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le ripercussioni a livello demografico saranno pesanti...

 

Il diritto al lavoro: in Italia i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito sono quasi 22 milioni e 900mila, il 56,9% percentuale tra le più basse dell'Occidente. Ci sono poi 3 categorie particolarmente vulnerabili: i giovani, le donne, le persone disabili...
Il diritto al futuro per i giovani: i giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni 90 matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.

 

...Il rapporto analizza anche la spesa dei comuni per la povertà e il disagio economico e dai dati si evince che gli enti locali continuano a investire tante risorse assistenzialistiche nel contraso alla povertà, ma con scarsi risultati: il problema è sempre lo stesso, la prevalente logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l'uscita dal disagio, ma anzi rischia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che a fronte di un aumento di risorse impiegate, non si è registrato il corrispettivo calo del numero di italiani poveri.

 

Eppure in Italia si continua a percorrere questa strada fallimentare. La maggiore spesa pro-capite è riservata tutt'oggi ai contributi economici una tantum a integrazione del reddito familiare: nel 2008 sono stati spesi 276 mil di euro, il 4% in più rispetto al 2007, 4,62 euro per abitante. Questi contributi rappresentano circa il 13% della spesa per persone povere o con disagio economico. Un altro 12-13% è finalizzato ad erogare contributi per l'alloggio, mentre quelli per cure o prestazioni sanitarie rappresentano il 2%.infine i contributi per i servizi scolastici sono l'1% della spesa per la povertà e disagio economico...

 

Il perdurare della condizione di povertà di molte persone o famiglie povere dimostra che le politiche di contrasto fin qui attuate non sono riuscite ad incidere sul fenomeno. Anziché continuare a insistere su una strada dimostratasi fallimentare, è ora importante segnare un netto cambiamento di rotta.

 

La prima strada da percorrere è quella di incrementare il rendimento della spesa sociale. La seconda è di recuperare i crediti di solidarietà (basati sull'erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impegnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri. I fallimenti dei trasferimenti monetari senza responsabilizzazione sono la principale ragione per mettere in discussione le politiche di ieri e di oggi di lotta alla povertà, basate su misure standardizzate, di tipo burocratico, che non guardano l'effettiva condizione delle persone, ma solo alle carte.

 

Un modo di aumentare il rendimento della spesa sociale è la professionalizzazione dell'aiuto. Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per i servizi sociali, si potrebbero ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastrutture di welfare. Molte donne con figli e molti giovani uscirebbero dalla disoccupazione e dalla povertà lavorando a servizio degli altri.

 

Ci sono due ulteriri fonti di risorse per generare lavoro di cura: riguardano i 17-18 miliardi di euro oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare. Potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento superiore a quello attuale ( il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.

 

...Come già segnalato nel precedente rapporto, le Caritas diocesane continuano a segnalare un progressivo aumento del numero di persone che si presentano ai centri di ascolto e ai servizi Caritas. Da una rilevazione su un campione di 195 centri di ascolto risulta che nel corso degli ultimi 4 anni (2007/2010) il numero di persone ascoltate è aumentato del 19,8%.
Al primo posto risultano sempre i problemi di povertà economica, seguiti dai problemi di occupazione, i problemi abitativi e a quelli familiari, aumentano gli italiani, rispetto al valore base del 2007, si registra un incremento complessivo pari al 42,5%, i nuovi poveri sono persone che risiedono in dimora stabile, sono in possesso di un lavoro e vivono all'interno di un nucleo familiare...I nuovi poveri alla Caritas sono aumentati del 14% in quattro anni, con significative differenze nelle diverse macroregioni italiane. Nel mezzogiorno l'aumento registrato è addirittura del 74%.

 

Il raggio di azione della povertà economica si sta progressivamente allargando e coinvolge un numero crescente di persone e famiglie tradizionalmente estranee al problema.
Per le nuove famiglie povere, la povertà non è sempre cronica, ma rappresenta una situazione episodica del proprio percorso biografico. Non è il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavoro, le relazioni familiari e l'insufficienza del sistema di welfare.
Le nuove situazioni di povertà che si affacciano ai Centri coinvolgono pesantemente l'intero nucleo familiare: tutti i membri della famiglia si trovano a vivere, in modi diversi, una condizione di stress e di sofferenza, anche se le donne e le nuove generazioni si trovano a pagare il prezzo più elevato.

 

La crisi ha prodotto un notevole incremento dei fenomeni di sottocupazione e lavoro nero, aggravando una serie di aspetti negativi della flessibilità del lavoro, già segnalati in precedenti edizioni del Rapporto.
Nel corso degli ultimi anni sono aumentate le situazioni di povertà materiale incontrate dalla Caritas, nel 2010 l'81,9% dei problemi si riferiva a bisogni di carattere primario e strutturale (bisogni abitativi, alimentari, economici, sanitari...) mentre le problematiche post-materiali ( disagio psicologico, dipendenze, conflittualità relazionali..) scivolano su valori più bassi di incidenza dal 25% al 18,1%.
Nelle biografie delle persone prese in carico dai Centri di ascolto il problema casa si sta connotando nei termini di vera e propria emergenza abitativa, nel corso degli ultimi 4 anni i problemi abitativi sono aumentati del 23,6%.
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Dice ancora Walter Nanni che  la povertà rispetto agli anni passati è cambiata, oggi è diffusa, sono a rischio le cosiddette famiglie a banda larga, famiglie che vivono situazioni altalenanti che creano difficoltà anche nel chiedere aiuto, che la parte emersa che chiede aiuto è solo una piccola parte, ad esempio c'è una parte di anziani che non chiede aiuto alla Caritas perchè non vogliono essere etichettati come poveri, e vanno a chiedere aiuto in centri lontani dal proprio domicilio.
 
Mentre ho ascoltato, letto, ricercato e scritto ho pensato ai rapporti ISTAT, i cui indicatori leggono la povertà sul consumo della famiglia, non su quello che possiede, senza tenere conto che il consumo può essere l'indicatore di uno stile di vita, di una scelta.
Le famiglie che vivono situazioni altalenanti avranno a che fare anche con stili di consumo sbagliati? Ci saranno fasi di povertà legate  a indebitamenti per stili di vita al di sopra delle proprie possibilità? Io credo di si e allora la povertà diventa anche un problema culturale.

 

Quando ero piccola in casa, ma non solo nella mia, c'era il salvadanaio, un regalo della comunione poteva essere un libretto di risparmio...il mondo è cambiato adesso è l'era del pin, bancomat, credito al consumo, carta di credito, compri oggi e paghi a settembre.
Sempre tanti anni fa, ma mica tanti se ci penso, in famiglia capitava di dire la fatidica frase: non ce lo possiamo permettere, adesso con questo giochino è sparita anche questa percezione e consapevolezza, frustrante, ma che ha a che fare col senso di realtà. E capita a molti di ritrovarsi lo stipendio impegnato, già speso per pagare le piccole rate delle piccole cose che ci siamo concessi.


Si dice che si stanno aumentando le possibilità di scelta delle persone, in realtà si stanno imbrigliando le esistenze delle persone, senza fare nulla per liberarle dai bisogni, soprattutto quelli indotti e costruiti sapientemente.
Mi si dice che il modello di welfare è collegato al modello di sviluppo. Sarà mica arrivato il momento di decidere consapevolmente quale vogliamo?

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