Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Una scimmia venne catturata e rinchiusa in una gabbia, troppo bassa per stare in piedi e troppo stretta per stare seduta.
La gabbia aveva queste caratteristiche per ammorbidire e rendere ammaestrabile la scimmia. Cosa dispone all'ammaestramento? L'impossibilità di una via d'uscita.
In tali condizioni o muori o sopravvivi diventando disponibile, facile all'ammaestramento.
La scimmia sopravvisse e non trovando vie d'uscita imparò a stringere la mano e a parlare e fu accettata dalla nobile comunità degli umani. La scimmia si lasciò ammaestrare, o meglio smise di essere scimmia per diventare uomo.
Questa storia l'ho trovata in un libro di filosofia.
In sintesi racconta di una metamorfosi che non conduce verso l'autonomia, né verso la libertà, ma conduce verso una forma diversa di dipendenza, conduce in un mondo creato da altri.
Del resto in un mondo di uomini chi potrebbe dubitare che essere uomini non sia meglio che essere scimmia?
Sarà la frenesia prenatalizia, saranno le lacrime della Fornero, saranno gli effetti devastanti del non riuscire a vedere il sole oltre le nuvole...sarà come sarà, ma questa storia della scimmia mi ha richiamato alla mente, come in un gioco di specchi, il bisogno e il desiderio, come segnale di dipendenza o di ricerca di autonomia.
La definizione di desiderio per certi versi comprende quella di bisogno, lo so. Ma ridurre il desiderio al solo bisogno non mi convince.
Penso ai bambini. Prima di nascere, un figlio è pensato, immaginato, e in qualche modo nasce prima nella costruzione mentale di un pensiero materno e paterno. Anche quando è immerso nel liquido amniotico nel ventre materno, il desiderio, l'immaginazione e la fantasia dei genitori è presente...sarà una femmina, avrà gli occhi neri?...e i bisogni, tutti i bisogni del bambino sono soddisfatti biologicamente.
La nascita interrompe questo circuito automatico e introduce nella piccola vita un fatto importante, determinante per decretare la sua nascita e la sua crescita: l'assenza, il senso di mancanza di un soddisfacimento continuo dei bisogni. E il pianto di un bambino diventa simbolicamente la sua manifestazione di esistenza, il pianto diventa domanda. Piangendo chiede al mondo di esaudire il suo bisogno, di colmare un'assenza. Ma il suo pianto rappresenta una domanda indefinita, sarà la risposta a qualificare la domanda, a definirla e a costruirne i confini, a dargli un significato, quello che poi il bambino riconoscerà.
Tutti i genitori sperimentano lentamente e faticosamente il modo e la necessità di costruire un equilibrio tra richiesta, soddisfazione, attesa. La crescita di un bambino avviene attraverso la scoperta di un vuoto, di una distanza dall'oggetto di amore che è il seno materno, poi la madre, poi via via altre cose. La distanza permette al bambino di fare scoperte importanti, le sue mani che passano davanti agli occhi per esempio, quelle cose che girano sopra la sua culla, le voci o i suoni...e piano piano creare strutture, schemi che lo aiutino a ricordare, a distinguere, a riconoscere e a riconoscersi.
Piano piano comincerà a desiderare. Il desiderio come possibilità di crescita. Come opportunità di scoperta e costruzione di un modo personale di stare al mondo, di tessere realzioni con le cose e con le persone che si prendono cura di lui.
Una situazione che non permette di fare questo nega la possibilità di autonomia, di indipendenza e di libertà.
La nostra società che spazio dà al desiderio? Che occasioni di indipendenza e autonomia ci fornisce?
Diceva Oscar Wilde: “viviamo in un’epoca in cui il superfluo è l’unica nostra necessità”
Infatti mi pare che questa società ci tenga prigionieri in un sistema di bisogno, dove neanche la domanda è libera, perchè tutto appare condizionato dal mercato, e dalle sue logiche pervasive e persuasive.
La persuasione che ci viene sottilmente fatta dalla pubblicità, dal contagio della maggioranza ci induce a pensare che non ci sia alternativa, per essere socialmente accettati, ma soprattutto per accettarci.
Siamo immersi in un oceano di parole finalizzate a produrre un tipo di comunicazione che non deve indurre alla domanda ma che abbia il preciso intento di riproporre il bisogno.
La riproposizione del bisogno comporta che tutti gli oggetti acquistino una valenza vitale come se la rinuncia ad uno di essi comportasse il rischio di compromettere la sopravvivenza della specie in quanto umana e della vita di ognuno.
Linguaggio dunque al servizio della massificazione, della globalizzazione dove non c’è più posto per la domanda e tanto meno per il desiderio particolare... il ben-essere proposto ricondotto e incanalato sul piano dell’avere sembra invece produrre un disagio, un malessere che si riscontra a livello generalizzato.
Il linguaggio del bisogno comprime la dimensione cronologica del tempo, tutto diventa contingente e vitale, tutto deve essere consumato velocemente, tutto deve essere riempito.
Noi abbiamo bisogno di vedere, comprendere e concludere. Ma sembra che non ce ne sia il tempo. Anzi siamo abbagliati dal vedere e spinti a concludere, il comprendere lo saltiamo proprio, a che serve?
Questa società impone l'azione e il consumo per essere al passo con i tempi, impone uno spostamento continuo del confine dei limiti e dei divieti, ci facilita nella ricerca del senso da dare alla nostra vita, perchè ce ne offre uno prestabilito, dedicato al culto dell'immagine, al possesso di oggetti, di cose o sostanze che ci fidelizzino e ci rendano dipendenti.
Questo spostamento verso l'avere per non sentirsi esclusi, per non essere esclusi, racconta un bisogno di approvazione e di conformismo che rappresenta il massimo ostacolo al cambiamento, alla ricerca del senso di vivere, un senso, un desiderio di benessere che può anche essere personale e singolare, che può essere in antitesi con i modelli e le maschere imposte alle leggi di mercato.
Il ben-essere nel senso di ben-vivere non esiste se noi non lo vogliamo e se noi non lo costruiamo. Il ben-essere può essere inventato. E lo possiamo inventare se ci liberiamo dalla necessità del dipendere, dal bisogno di sicurezza che viene soddisfatto facendoci convincere che non esiste un'alternativa, che non abbiamo via d'uscita, facendoci accettare per quello che non siamo, costruendo un falso sé funzionale a sconfiggere il fantasma dell'esclusione.
Un ben-essere che può essere costruito per stare bene, e non solo meglio o peggio. Altrimenti faremo la fine della scimmia, che diventando ammaestrabile stava sicuramente meglio che chiusa dentro una gabbia.