Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Qualche segreto antico e il progetto della filiera di Vecchiano che sa di futuro
Il giorno prima di fare il pane per la cena, di pomeriggio, io e mia figlia siamo andati a fare le fascine nella campagna di Vecchiano, a casa di Alba, Giorgio e gli altri. Abbiamo preso via della Barra, ma non sapevamo di preciso dov’era la loro casa. Ci siamo fermati e abbiamo chiesto dove fosse il Centro nuovo modello di sviluppo. Ci ha risposto una signora: “Ah, quelli della comunità, prendete il lungo monte sulla sinistra e arrivate all’ultima casa”.
Ci ha accolti Alba con un cappello di lana in testa e un bel sorriso. Ho presentato mia figlia Laura e quando ci si comincia conoscere cominciamo tutti a sembrare un po’ più belli. C’era Francuccio, su una piana, che curava un olivo. L’ultima volta che ho visto Francesco Gesualdi detto Francuccio, credo che così lo chiamasse il suo maestro Don Milani, è stato nel giugno scorso al “Cineclub Arsenale”. Lui stava parlando per l’acqua bene comune. Sembrava impossibile vincere il referendum, ma lo vincemmo. Francuccio lavora da una vita per un'altra economia, in campagna con calma, con amore, con passione.
C’era il sole, ma tirava vento, ero contento. A me la campagna piace col sole e con un po’ di vento. Alba, che in campagna ci vive sempre, a Natale e in tutti i giorni dell'anno, mi guarda e fa: “Uhm, domani il tempo cambia”. Godiamo dell’aria fresca, ci infiliamo i guanti e aggrediamo un cumulo di tronchi ricoperti dai rovi. Un paio d’ore di lavoro, ci scaldiamo il corpo e accumuliamo la legna sufficiente per cuocere il pane. La dividiamo e mettiamo i rami piccoli davanti al forno e quelli più grossi li accatastiamo. “Servono per due cotture diverse”, dice Alba. Prendiamo accordi per la mattina dopo, ci salutiamo.
La mattina, alle otto in punto, per la lavorazione del pane va soltanto mia figlia. Quando torno dal lavoro, ascolto curioso la cronaca di Laura che racconta come ha fatto il pane e per me questo racconto dice di più di quello che dice.
La sera prima Alba ha aggiunto acqua e farina alla pasta madre e l’ha rimessa in frigo. La mattina la pasta madre è stata divisa in due ciotole e una terza parte è stata conservata nel frigorifero. Una ciotola per Alba e una per Laura. Sul tavolo c’è un recipiente con acqua tiepida. La farina era messa a cerchio, hanno aggiunto miele, sale e acqua. Si impasta “a zampa di gatto”, dice mia figlia, mi fa il cenno della mano che stringe le cinque dita e “bisogna mantenere l’impasto malleabile, senza farlo rapprendere subito”, aggiunge con l’orgoglio di chi pensa che dietro un gesto delle sue mani la mente di Alba prima di lei è già volata. Poi l’impasto è stato messo su una tovaglia e ricoperto con un panno di lana per tenerlo al caldo e farlo lievitare meglio. A questo punto hanno acceso il forno a fuoco vivo per circa due ore. Dopo un’ora di lievitazione Alba e Laura sono tornate in cucina, hanno diviso i due impasti in otto spicchi, hanno lavorato ogni pezzo per qualche minuto fino a dargli la forma di una pagnotta o di un filo di pane e li hanno messi su un vassoio di legno dove, coperti da una tovaglia, hanno posato un’altra ora. Di nuovo si va a gestire il forno e si aspetta che sia rimasta la brace. Dice Laura con gli occhi di chi vede che dietro quella sapienza ci sono già stati gli occhi di Alba: “C’è un trucchetto per vedere quando il forno è caldo al punto giusto: si butta un po’ di farina, se diventa subito nera la temperatura è troppo alta, se piano piano indora è giusta”.
La cottura è durata poco meno di un’ora.
Il pomeriggio, verso le sei, vado a prendere il pane da Alba. Piove, come aveva detto Alba, ma in macchina con quell’odorino di pane ero contento e ora non so più se la campagna vecchianese mi piace più col sole o quando piove. La sera a cena guardavo quel pane nelle cestine e l’acqua nelle caraffe. Il pane quando hai fame e l’acqua quando hai sete. Le bocche delle persone che si sono gustate il pane casalingo come i piatti preparati da Massimo o le torte fatte da Graziella. E le mani delle persone che, a fine serata, hanno accolto ben volentieri l’invito a portarsi via il pane avanzato, come si faceva una volta, per non sprecarlo. Allora alcuni gesti insensati come soffiare su un pezzo di pane caduto a terra per mangiarlo o baciarlo prima di buttarlo, come ci hanno insegnato da piccoli, mi pare abbiano acquistato un senso. Recuperare il pane raffermo per la zuppa, per la bruschetta, per la panzanella, per il pancotto… Sapere che il pane fatto da Alba per il Gruppo di acquisto solidale di Vecchiano è legato al progetto della filiera locale di produzione del grano, della farina e del pane quotidiano che va avanti dal 2009. Un progetto dove vola la mente del Centro nuovo modello di sviluppo, dove ci sono gli occhi e le mani di Alba, dove ci sono le emozioni di chi assapora quel pane, coopera e riscopre il gusto e la voglia di fare. Dove ci sono emozioni c’è vita. Dove c’è vita c’è futuro.
http://www.gasvecchiano.altervista.org/
P.S.
Grazie di nuovo Alba e Giorgio, mi scuso per le imprecisioni del racconto, un abbraccio a tutti e tutte voi