Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Il proverbio di oggi:
Se rannuvola sulla brina
prima di buio fa una piovutina.
Il modo di dire:
Fra ninneri e nanneri.
Fra una cosa e l'altra. Indica una perdita di tempo inutile, un'arrabattarsi fra cose di poca sostanza.
Dal libro “Le parole di ieri” di G.Pardini
TROTTOLA
Lett: TROTTOLA. [Balocco di legno conico con punta di ferro, intorno al quale si avvolge strettamente uno spago, e tenendone il capo in mano, si scaglia ritirando a sé lo spago, perché a terra giri velocemente sulla punta].
Era un gioco molto comune fra i ragazzi di un tempo e anche se appare piuttosto semplice alcune tirate avevano bisogno di una discreta perizia.
Si poteva tirare di braccio, movimento con cui si riusciva ad imprimere alla trottola una grande forza che serviva a far durare molto il giro od anche per colpirne un’altra a terra a fermo, oppure in movimento.
Più gentile era il tiro di spaghetto o sgavettino, molto simile al modo descritto dal vocabolario, ed infine anche sottomano, capovolgendo la trottola durante il tiro.
Con il tiro di spaghetto i più esperti riuscivano anche a prendere la trottola al volo con la mano, facendola girare sul palmo, senza nemmeno farle toccare terra.
Su di una superficie molto liscia l’attrito era talmente minimo che la trottola girava molto a lungo, talvolta rimanendo immobile su se stessa per un tempo incredibilmente prolungato: in questo casi si diceva che si era addormentata.
Il legno con cui era fatta era molto importante perché determinava la robustezza dell’oggetto, spesso molto traumatizzato durante il gioco. Quelle più robuste erano di leccio, dure e pesanti, quelle più leggere di pioppo, molto delicate e facilmente squarciabili con un buon tiro di braccio.
Per verificare la loro consistenza si immergevano in una tinozza piena d’acqua: quelle di leccio andavano subito a fondo e poi risalivano posizionandosi a pelo d’acqua, quelle di pioppo, molto più leggere, galleggiavano tranquillamente come barchette, segno della pochezza della loro consistenza.
TULLERE
Lett: nc.
Le tullere sono le castagne secche lessate.
Nei tempi andati le castagne rappresentavano una grande ricchezza per gli abitanti poveri delle nostre colline, costituendo una grande e inesauribile riserva alimentare.
Venivano consumate bollite, le famose ballotte, oppure messe a seccare per trasformarle in castagne secche da cui si ricavava anche un tipo di farina.
Per farle seccare venivano raccolte e ammassate in una costruzione in muratura chiamato metato costituita da una sola stanza, con in basso una porta per entrare ed in alto una piccola finestra. Subito sotto la finestra si trovava un pavimento formato da assi di legno di castagno posizionate in maniera da lasciare filtrare l’aria e che prendeva il nome di canniccio. Su questo pavimento dalla finestrina si distribuivano le castagne ancora verdi facendone uno strato spesso 50-70 centimetri. Nel locale sottostante veniva acceso un fuoco, rigorosamente di legna di castagno, che veniva mantenuto acceso senza fiamma per circa 30-40 giorni fino a che le castagne non fossero completamente disidratate, cioè diventate castagne secche. Da queste si ricavava una farina con cui si preparavano dolci come i necci, tipici della lucchesia, il castagnaccio o semplicemente i ditali, così detti perché realizzati semplicemente riempiendo di farina un ditale (quel piccolo astuccio di ottone utilizzato per cucire) e ponendolo sulla stufa ad anelli finchè non era cotto.
La stufa ad anelli si trovava in tutte le abitazioni ed aveva il duplice scopo di riscaldare l’abitazione, sia pure in misura parziale, e di servire per cucinare. Aveva una struttura quadrangolare, con un piano superiore di ghisa e degli sportelli sul davanti. Uno sportellino si apriva sul vero e proprio fornello, dove si accendeva il fuoco e si metteva la legna che forniva il calore a tutta la stufa.
Subito accanto si trovava un altro scomparto, il forno, utilizzato per cuocere i dolci e gli arrosti.
La stufa si alimentava dallo sportellino sul davanti ma era possibile anche caricare la legna dall’alto poiché il piano superiore, di ghisa, non era un pezzo unico ma bensì formato da tanti anelli concentrici, incastrati uno sull’altro, che si potevano facilmente togliere. Su questo poggiavano le pentole, i tegami, le padelle a diretto contatto con il fuoco sottostante. Il piano terminava di lato con un recipiente, chiuso da coperchio di ferro cromato, in cui si teneva dell’acqua costantemente calda.
Solo chi ha vissuto in quei tempi senza riscaldamento può capire l’utilità di avere a disposizione sempre una piccola quantità di acqua calda. Subito dietro la vaschetta dell’acqua c’era il tubo, di solito di un bel colore marrone, che portava i fumi di scarico all’esterno dell’abitazione. Questo poteva avere, ad una cera altezza, un cerchio di ferro con tante piccole aste che si bloccavano in fuori e si utilizzavano per appendere dei panni ad asciugare, utilizzando il calore della stufa sottostante.