In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
N’avevin promesse tante per inquà,
n’avevin detto ‘r crima gliera bello,
che le gente qui n’amavin la bontà,
che poteva venicci ‘r su’ fratello.
Prima era rossa a ppari di vergogna
rinchiusa sottomonte ner buiore,
della su’ terra sempre lei si sogna,
ma via alla fine scappa ar protettore.
Accettà’ deve di tutto pe’ campà’,
ma c’è una ‘osa che di più la turba:
è ‘r nome ch’a’ bimbi han dato d’ammazzà’!
Lei, che di ‘velle ‘he vivin ‘ndella fossa,
a ssentì’ tutti è certo la più furba,
ni tocca dar bollore…vienì’rossa!
Mi son divertito a scrivere un sonetto e una storiella su di un animale che ora Vi presento, animale studiato a fondo dal nostro concittadino Massimiliano Angori che ha discusso su di esso una apprezzatissima tesi superlodata nel lontano1999. (foto15 e 16)
Questa è la vera storia dell’invasione dei gamberi, detti stupidamente killer da un giornale locale tanto tempo fa, che da Massarosa hanno colonizzato le acque del lago di Massaciuccoli e del padule, di fossi e bozzi, di fossette e rigagnoli della Val di Serchio e del Pisano.
Per capire come sono andate le cose bisogna partire con lo sfatare il detto: “Vai, ci hai trovato l’America!”, parole che si rivolgono a chi trova fortuna in qualcosa come fecero quasi tutti i nostri emigrati negli Stati Uniti.
Nel nostro caso, infatti, il detto non si prestava alla giovane gambera che fu attirata in Italia con la promessa di un clima migliore, di una bella accoglienza da parte dei locali e della possibilità di ampliare la cerchia dei parenti da far venire nel nostro Bel Paese.
Perché no?, ma perché la gamberessa non era dei paesi dell’Est come le giovani lucciole che hanno colonizzato i terreni verso mare, lei era una gambera americana, nativa del grande paese e di pelle rossa come i primi abitatori…quindi!
Era stata chiamata da un vispo intraprendente bugiardo allevatore lucchese che la imprigionò in buie e strette vasche nella zona sottomonte del lago. Piano piano alla giovane cominciarono a mancare le sue materne acque limpide, i suoi amici salmoni, finché, come nelle novelle, una notte di tempesta, acqua a catinelle, lampi, tuoni, il finimondo, la gabbia che la imprigionava cede e lei se ne va, libera, nel grande lago, portandosi dietro, oltre alla libertà, il risultato della prova d’amore data al suo maschio prima di partire dalla natia Luisiana.
La giovane gambera diede alla luce qualche centinaio di figli, accuditi tutti come un’acquatica chiocciata, e si prestò ai più ingrati lavori per tirare avanti quella triste vita in acque opache e sconosciute. La prima occupazione fu quella di fare la spazzina del fondo dei canali.
Suo compito era quello di eliminare tutte le carogne di pesci, rane, vermi e quant’altro fosse a marcire nel fango. Poi i figli crebbero e le esigenze aumentarono e dovette così ingegnarsi a trovare una seconda occupazione, ma nel lago vi era penuria di lavoro e allora, per il bene dei figli, si diede ai furti e alla rapina.
Cacciava di frodo piccole larve di insetti, ammassi di uova di altri abitatori del padule e i suoi ragazzi, particolarmente vivaci con l’esuberanza dei giovani, vennero presto additati come ladri, scippatori e infine: assassini, killer!
GAMBERO KILLER!
“Attenzione, fate attenzione, nel lago ci sono i gamberi killer!”
Da tutta la Toscana arrivarono a vedere i gamberi killer.
Giornali, televisione, tutti parlavano dei gamberi killer.
Per la madre quello fu un colpo tremendo. Fino ad allora era stata attenta a non far rilevare la sua presenza agli uomini, ma ora il mondo le era crollato addosso e decise di suicidarsi facendosi pescare.
Era stata chiamata in Italia perché ritenuta buona, ma nessuno lo era stato con lei e lei volle dimostrare la sua bontà sacrificandosi a chi l’aveva tradita. Che la prendessero pure e la gettassero viva dentro a un pentolone come la più svergognata e spregevole delle medievali streghe cacciate dalla Santa Inquisizione!
La gambera morendo accentuò il color rosso della sua pelle quasi a dire che il suo spirito ritornava libero nei Grandi Laghi dove regnava Wanga Tanga, il dio dei pellerossa e di ogni essere di questa terra.
Fra curiosità e natura
Il problema dell’introduzione di specie esotiche nelle nostre acque è troppo vasto per essere qui ampliamente discusso. Quasi sempre le specie indigene soccombono di fronte alla competizione con le altre “straniere” immesse per scopo di divertimento, studio, ripopolamento, risorse alimentari, motivi nostalgici o semplici “errori “.
Per parlare di pesci, un esempio lo abbiamo con l’americano Persico Trota (Boccalone) che ha spodestato il nostro Luccio e che era stato inserito per contrastare un altro straniero, il Persico Sole (Gobba) che distruggeva le covate di numerosi altri pescetti, o il Pesce Gatto, immesso per la pesca sportiva come pure il Carasso (Zoccolo), sempre pregno e affamato, e numerosi altri, Siluri e Piranha compresi.
Un abitatore dei nostri ruscelli e fiumi era il grande Gambero di fiume che ebbe in sorte la peggiore delle fini: la peste. Questo bellissimo crostaceo d’acqua dolce della famiglia degli Astacidi, detto appunto Astaco di fiume, più di un secolo fa fu attaccato da un fungo (Aphanomyces astaci) e da un batterio (Bacillus pestis astaci) che ne decretarono la quasi totale estinzione.
Per il ripopolamento si pensò di immettere nelle nostre acque un gambero immune alla peste del gambero, ma sfortunatamente portatore sano di tale “malattia” con il risultato della sua prevaricazione sulle specie autoctone.
Fu scelto un gambero americano.
Nel lago di Massaciuccoli il “Gambero rosso della Louisiana” è stato introdotto nei primi anni ’90 per un allevamento che non risultò redditizio. La liberazione del Procambarus clarkii si dimostrò subito un grave errore per l’eccessivo moltiplicarsi del crostaceo con un picco di presenze negli anni 1994-1995, tanto da far nascere cooperative di pescatori finalizzate alla pesca del gambero in questione che, guarda caso, ora si è dimostrato redditizio.
Questo è un esempio di “introduzione della specie”.
La sua grande diffusione nelle acque dei torrenti, anche lontani decine di chilometri dal Massaciuccoli, non deve stupire più di tanto. Il gambero può e sa camminare anche sul terreno e si sposta volentieri anche sulla terraferma, di notte e dopo le piogge, per raggiungere altri luoghi di caccia e riproduzione, ma quelli che sono stati pescati a Firenze, Prato e Pistoia erano i gamberi presi da un fiorentino, o pratese, o pistoiese, attirato dalla facile e curiosa pesca e poi liberati nelle acque di “casa” quando la moglie, alla sera, disse:
“ O buaiolo, se ttu vvòi mangialli e te li pulisci, bellino!”
Questo è un esempio di “diffusione della specie”.
Nel lontano 1903 fu scritto a Milano un “Trattato sulla pesca dei gamberi” dove si davano consigli su come pescare i gamberi, sui prezzi di mercato e tutti i regolamenti dell’allora Ministero dell’agricoltura industria e commercio e si diceva che:
“La lamentata grande diminuzione e quasi scomparsa dei gamberi nelle nostre acque deve attribuirsi ad un complesso di cause, di cui le principali sono le seguenti: 1) una violenta epidemia che fece stragi di questi crostacei; 2) il graduale e sempre maggior inquinamento delle acque dovuto al grande aumento, da mezzo secolo in qua, degli stabilimenti industriali; 3) la insufficiente protezione che accorda ai gamberi il regolamento del 15 maggio 1884; 4) la mancanza della determinazione della misura minima che devono avere i gamberi, perché ne sia permessa la pesca e il commercio; 5) la pesca abusiva, che, per la insufficiente sorveglianza, si è esercitata e si esercita tuttora nonostante i regolamenti”.
La pesca che i professionisti fanno ora, solo con licenze rilasciate dall’Ente Parco, si esercita con reti fisse, i bertibelli. Quella invece che viene fatta, in modo massiccio d’estate e di domenica dai gitanti e da famiglie di turisti, è la classica antica del pezzo di carne legato ad un filo.
L’occorrente è dei più semplici e il risultato dei più proficui. Basta una piccola canna, un filo, un pezzo di polmone o di cuore di bestia, che non costa nulla, e un secchio per le prede. Si getta l’esca nel fosso appoggiando la canna a riva e si tira su quando ci pare, due o tre minuti di attesa bastano. Piano piano si alza la canna, il gambero non tira e scuote come i pesci e quindi non si percepisce la sua presenza, e si porta verso di noi aiutandosi, caso mai, con un retino dove far cadere la preda. A volte si trovano attaccati anche due, tre, perfino quattro gamberi al pezzetto di carne che attira questi animali pulitori come il miele le mosche.
Il gambero rosso effettua otto o nove mute durante il primo anno di vita, cinque nel secondo e due nel terzo, cessando di alimentarsi in questo delicato cambiamento e quindi, quando si tira su la canna a vuoto troppo spesso, non significa che la specie sia esaurita, ma solamente che sta “cambiando vestito”. Ai lati del grande cefalotorace (comprendente il capo e il torace) e dell’addome (la sola parte commestibile), vi sono le cinque paia di zampe che hanno dato il nome di “decapodi” a questo ordine di crostacei. Il primo paio di “piedi” è munito di grosse e robuste pinze, le chele, atte ad afferrare e trattenere le prede o il cibo.
A tali chele è dovuto il nome stupido di Killer perché il primo essere umano che gli si avvicinò, vicino alla “Piaggetta”, fra Massaciuccoli e Bozzano, e cercò di afferrare quello strano “granchiaccio”, prese un pinzotto forte e doloroso e corse a casa urlando che un animalaccio lo voleva mangiare.
Li volevi sentì’ e giornalisti e lla tivisione? “Catturato un gambero nel Massaciuccoli che si ciba di carne!
Pericolo per le popolazioni rivierasche! Una donna aggredita dai gamberi nell’orto di casa mentre stava cogliendo i fagiolini. (questa l’ho sentita io a Bozzano).”
E danni e ridanni col killeraggio di questo crostaceo.
Qualche settimana dopo il ritrovamento, dato anche ai telegiornali locali e nazionali, esplose un altro rinvenimento di un altro “Killer” e questa volta in San Rossore.
Una guardia a cavallo della Tenuta, nel solito giro di controllo, porta ad abbeverare l’animale in una delle tante pozze d’acqua che caratterizzano le zone umide, “le lame”, del bosco. Il cavallo abbassa la testa, l’ha sempre fatto, beve e scatta indietro con un nitrito pauroso. Sanguina da un piccolo taglio sulle narici.
Una tartarughina d’acqua si allontana lentamente scuotendo la testina e cercando di asciugare il suo piccolo “becco” tagliente dallo schifoso muco lasciatole da quella spaventosa bestiaccia con una boccaccia e un nasaccio moccioso che voleva ingollarla.
Sul giornale del giorno dopo apparve: “Scoperta Tartaruga killer in San Rossore. Aggredito un cavallo!”
E pensare che nella terra d’origine, la Louisiana, ne fanno un consumo enorme, un festival, gadget e fiere e un commercio ricchissimo che noi non abbiamo saputo sfruttare se non nello stupido attributo: killer.
Consoliamoci allora a guardare cosa e come mangiano festosamente gli americani ed ascoltare una vecchissima ballata dal significativo nome "La canzone del gambero" (crawdad song).
(la foto 14 è il testo originale scritto da anonimo nel 1945, testo rimaneggiato da molti altri cantanti lasciando inalterate le prime strofe)