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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
IL LIBRO
Paesaggio costituzione cemento
di S. Settis

13/3/2012 - 11:21

A cura di Elsa Luttazzi

 

Nel 2010 è uscito Paesaggio costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Torino, Einaudi), un libro importante che l’associazione culturale “La Voce del Serchio” aveva sperato  di discutere con l’autore, Salvatore Settis.

Ormai sfumata la possibilità di questo evento, non possiamo lasciar cadere l’opportunità di fare alcune riflessioni  su questo saggio che ci coinvolge come lettori e come cittadini. Impossibile con una recensione tenere conto di tutte le problematiche affrontate, senza impoverire l’ordito del discorso fittamente intessuto di dati, fatti, documenti, cifre,  alla base del  rigoroso ragionamento  di Settis. Si esita anche di fronte alla scelta di indicare alcune chiavi di lettura: tanto è chiaro l’impianto e coinvolgente la scrittura che sembra quasi di imporre delle barriere, invece di semplificare. Ci limiteremo pertanto ad alcune considerazioni che, si spera, invitino a leggere il libro.


In primo luogo Settis ci aiuta ad orientarsi tra i numeri di statistiche poco utili per il loro essere così disorganiche e il labirinto  del farsi di leggi non sempre coerenti tra loro, scritte per di più con l’improbabile linguaggio della burocrazia. È un tentativo, il suo,  non tanto di fare una impossibile e univoca chiarezza,  quanto  di evidenziare con l’enormità dei numeri e l’astrusità dei programmi l’abisso in cui stiamo sprofondando.


Il paesaggio è il grande malato d’Italia. Basta affacciarsi alla finestra: vedremo villette a schiera dove ieri c’erano dune, spiagge e pinete, vedremo mansarde malamente appollaiate su  tetti un giorno armoniosi, su terrazzi già ariosi e fioriti. Vedremo boschi, prati e campagne arretrare ogni giorno davanti all’invasione di mesti condominî, vedremo gru levarsi minacciose per ogni dove. Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili colate di cemento.
 
In nome del profitto si sottrae  sempre più terra all’agricoltura anche per ampliare la rete stradale,  e se ne scavano le  viscere per  trivellazioni alla ricerca di risorse di petrolio. In questo modo,


l’abbattimento di boschi e pinete per far posto a villaggi turistici, strade e infrastrutture fragilizza il territorio e lo espone a danni crescenti alterando gli equilibri ecologici e tettonici. Esondazioni, valanghe e altre traumatiche alterazioni del suolo comportano perdite anche significative di vite umane e danni enormi al patrimonio edilizio pubblico e privato.
 
E questo in tutta Italia, con delle gerarchie regionali, ma senza nessuna sostanziale differenza tra nord e sud: la speculazione è democratica e non risparmia le giunte comunali, indipendentemente dalla loro collocazione geografica e dal loro colore politico.
I danni  di questa sorta di calamità naturale sono incalcolabili eppure manca una pubblica riflessione, una politica di indirizzo,  un impegno per il futuro e un’aspirazione, se non al beni di tutti, almeno alla coerenza.


Ci sono buone leggi e norme di garanzie e tutela, si dice anzi che esse costituiscano il sistema di norme più antico, più elaborato e più avanzato ma vengono ignorate o contrastate con altre norme spesso di segno opposto che consentono spazi di manovra alle trame dell’economia del sommerso. Troppe leggi alla fine è come nessuna legge e ignorarle è facile quando ogni giorno assistiamo alle flagranti violazioni persino del dettato costituzionale .


Tra i tanti fattori che contribuiscono alla cementificazione ce ne sono alcuni “positivi”: la propensione al risparmio degli italiani e la tradizione alla  proprietà della casa , che oggi agiscono in sinergia con la volatilità degli investimenti in Borsa e la “stabilità” dei depositi bancari. I redditi combinati ai patrimoni accumulati da decenni  costituiscono il welfare familiare che è riuscito sin ora ad ammortizzare  gli effetti sociali della crisi. Settis evidenzia l’inganno che si cela dietro questo investimento nel mattone e come in realtà  da esso


Nasce la rendita immobiliare di pochi, soprattutto dei costruttori; e nascono, per moltissimi cittadini, meccanismi di indebitamento di lungo periodo che immobilizzano capitali cospicui, bloccano ogni investimento produttivo, irrigidiscono gli assetti sociali, limitano la libertà individuale e il ventaglio delle scelte.
 
Leggendo ancora si scopre però che questa “arcaica mentalità” che danneggia gli interessi economici dell’Italia tutta e dei piccoli risparmiatori,

 

è condivisa non solo da innocue o ingenue famiglie, ma anche dalla criminalità organizzata, che anche in questo mescola tratti assai arcaici a una spietata aggressività sugli scenari dell’economia e del mercato.
 
Dobbiamo anche interrogarci sulle ragioni del “Piano casa” che è al centro di una programmazione di interventi economico politici,

 

adottata da governo e Regioni come linea vincente per salvare l’economia del Paese,
 
 alla cui base ritroviamo ancora


L’arcaica superstizione secondo cui l’unico investimento sicuro è quello del “mattone”, comprensibile solo come retaggio di una società preindustriale.


Scopriamo poi dalla recentissima pubblicità resa agli investimenti e alle denunce dei redditi dei nostri ministri la loro scarsa propensione per gli investimenti nelle attività produttive dell’economia reale e un forte interesse, anche loro, per gli immobili e la finanza.
A questo punto viene proprio da chiedersi chi sia in grado di darci, non solo i buoni consigli, ma anche il buon esempio, l’unico sistema efficace per vincere questa “apatia” che ci immobilizza.
Non è il caso di insistere più di tanto in questa sede su ciò che osta alla realizzazione di concreti  progetti, le “schermaglie e i conflitti di competenze”, e il


continuo rimbalzarsi le responsabilità, in una danza incessante di mutue accuse che genera un pulviscolo di parole, e paralizza azioni e innovazioni.
 
 
Settis  afferma come sia necessario


ripartire dalle sole due cose che contano: il paesaggio e i cittadini che lo vivono. Noi.


 E di questo invito possiamo sentirci pienamente partecipi se accettiamo consapevolmente la definizione di paesaggio ricostruita tenendo presente lo svolgimento dell’ “orizzonte dei diritti”  e al suo modificarsi  nei “tempi lunghi della storia”, ricostruito con rigoroso metodo storico da Settis,  e che approda all’immagine di un paesaggio che va difeso

 

In quanto storicamente  formato e portatore di valori civili, garante della vita associata, filo conduttore di secolari esperienze non solo dei nobili e dei dotti, ma di tutti, generazione dopo generazione.
 
Questo patrimonio è costituito non solo dai monumenti importanti, ma da tutto quel tessuto capillare fatto di piccoli borghi, pievi, abbazie, castelli, ville di campagna, campi, faticosamente costruiti con la lenta e secolare opera del lavoro umano e  che è anche senso della nostra identità consolidatasi all’insegna della bellezza.

Esso pertanto va difeso come valore che consenta all’ Italia di restare il  giardino d’Europa che tutti amano e ammirano. Bellezza e cultura come valore morale, dunque, promuovendo il circolo virtuoso di conoscenza, ricerca, occupazione, tutela e cioè l’arte nella sua vitalità, così come promette l’articolo 9 della Costituzione alla quale, ancora una volta, dobbiamo civicamente rifarci:

 

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
 
A questo proposito si possono però sollevare due ordini di problemi. Il primo è in realtà una considerazione da storica del mondo dell’agricoltura. Forse Settis dà una visione troppo idilliaca  quando parla di un “codice dello spazio” che ha accomunato l’Italia e l’Europa sino ai primi del Novecento e che sarebbe stato

 

Condiviso dal contadino e dal principe, dall’impresario e dal notaio, dal cardinale e dal prete di campagna:perciò, fino a tutto l’Ottocento, (quasi) nessuno che costruisse qualcosa sbagliava (quasi) mai, e una stessa idea di dignità e appropriatezza si incarnava nella casa e nel palazzo, nella cattedrale e nella cappella sperduta nel bosco.
 
 Questo  paesaggio si è costruito con la fatica dura, costante  del contadino che viveva in armonia, questa sì, con la natura che sapeva sfruttare, ma con rispetto; un paesaggio che è oggi un inestimabile patrimonio culturale, non soltanto un ricchissimo  inventario della creatività e della bellezza come valore estetico universale, ma la perfetta sintesi di  bellezza e cultura come valore morale, frutto della continua elaborazione di un popolo.


Come è pensabile oggi di rendere di nuovo questo paesaggio  materia vitale  che continua a costruirsi ed evolversi, alimentata dal lavoro umano, senza la sofferenza che lo ha prodotto nei secoli? E, con Settis ci chiediamo  come fare in modo che si torni a radicare nel territorio “le esperienze dell’oggi e le speranze del domani”, e come ritrovare quel simbiotico rapporto con la natura in modo da “modellare lo spazio fisico e sociale” senza provocare quell’


Alluvione di orridi condominỉ, perverse villette a schiera, scellerati capannoni, pessimi palazzi (e ville e chiese e municipi) che è il grande, triste leitmotiv della produzione architettonica del Novecento (che) comporta la perdita, forse irreversibile, di quel codice e dei valori associati (a cominciare da dignità, armonia e memoria).
 
Il fatto che questa propensione all’investimento in case di abitazione si trasformi in “villule” di gaddiana memoria dipende dalla perdita del senso del bello e di ogni riferimento a una tradizione che, come dice Settis, “tanto più è povera , tanto più è bella”, frutto di una omologazione sul brutto frutto dei tempi che tanti intellettuali (Montanelli, Moravia, Pasolini) hanno messo in evidenza da tempo. Ma è anche la conseguenza di un continuo appello alla modernizzazione e al progresso che  per lo più sottintende un interesse economico privato e predatorio. E allora come si fa a convincere la popolazione a difendere un paesaggio al di là del suo valore economico?
 

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