Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Da "Piazza del diamante" alle rose del mio giardino
Marzo 2012. Sono a Barcellona, di nuovo. Ho un libro nello zaino. Sono in un hotel sulle Ramblas. In compagnia di una quarantina di ragazzi e ragazze. Il libro è La piazza del diamante di Mercè Rodoreda, la maggior scrittrice catalana contemporanea. I ragazzi sono giovani studenti della mia scuola, la maggioranza dei quali non è mai stata nella città di Gaudí, geniale architetto modernista. Leggo nelle prime pagine di Piazza del Diamante:
"Quimet cominciò a parlarmi del signor Gaudí, che suo padre l’aveva conosciuto il giorno che l’aveva schiacciato il tram, che suo padre era stato uno di quelli che l’avevano portato all’ospedale, povero signor Gaudí, una così brava persona, ma guarda che morte disgraziata… e che al mondo non c’è niente come il Parc Gùell e come la Sagrada Familia e la Pedrera”.
E non c’è miglior accompagnatore scolastico del nostro Nicola Amaranti, un giovane professore di spagnolo che conosce Barcellona meglio di Lucca, città in cui vive. Visitiamo, con il gruppo dei ragazzi e con le professoresse Michelotti e Pardini, i monumenti e i luoghi obbligatori di Barcellona come il Parc Gùell e come la Sagrada Familia e la Pedrera. Passeggiamo sulle Ramblas, entriamo nel mercato della Boqueria, con anticipo abbiamo prenotato una visita guidata al Palau de la Música Catalana e ne è valsa la pena. E poi ancora passeggiate fino in Plaça Catalunya, o nel Barrio Gotico, e ancora lunghe passeggiate sulla Diagonal, sul Paseo de Gracia, alla Barceloneta e sul Montjuïc con finale a sorpresa alla Font Magica.
Nella nostra visita a Barcellona non riusciamo però a passare in Piazza del Diamante, la piazza dove è ambientato il romanzo di Mercè Rodoreda, perché è fuori mano, perché ha un’architettura modesta e un’aria malinconica. Perché lì tanto non c’è niente. Ma proprio lì è ambientato La piazza del Diamante, il romanzo spagnolo più bello del Novecento, secondo Garcìa Màrquez.
Dal mio zaino ho preso più di una volta il libro per cominciare a leggerlo a Barcellona, ma il ritmo veloce dei nostri movimenti mi ha permesso di leggere solo qualche pagina. Sulla copertina c’è una foto color senape e un po’ mossa. Una madre che tiene per mano sua figlia. La mano stringe il polso della bimba tirandola con sé, la bimba ha la testa reclinata verso il basso. Nel romanzo siamo nella Barcellona della guerra civile, che si abbatte sulla povera vita della protagonista fatta di miseria e solitudine. Come quando perde il marito:
“Disse che se ne andava e chiamò i bambini, e quando eravamo davanti alla porta, mentre stavo per aprirla, con la mano la richiuse, sulla mia mano che l’apriva, e disse che prima di partire voleva dirmi una cosa: che Quimet non sapeva quanto fosse fortunato ad avere una moglie come me, e me lo diceva un momento dopo il quale forse non ci saremmo mai rivisti più, perché me ne ricordassi sempre”.
Giugno 2012. È domenica. Ho letto La Piazza del diamante tutto d’un fiato seduto nel mio giardino. E qui ho incontrato Colombetta (in realtà si chiama Natàlia), l’ingenua protagonista che affronta la vita e la guerra con eroismo inconsapevole. Sono andato a Barcellona per cercare Mercè Rodoreda e ho trovato le mani. Le mani della copertina del libro e le mani delle fotografie che ho scattato. Quella dei ragazzi che gesticolano con i piedi nell’acqua. Quelle dei ragazzi che si tengono per mano quando camminano. Quella del barman concentratissimo mentre prepara un cocktail. Quella dello scultore con la motosega che scolpisce il ghiaccio. Quella della professoressa che insegna la sardana a un gruppo di ragazzi. Quella delle statue in cerchio con i ragazzi dentro. Le mani di un gruppo di ragazzi che si prendevano la luce di Barcellona nei primi giorni di primavera.
Mentre guardo queste foto provo un grande piacere nel vedere quante cose possiamo fare con le mani, oltre a digitare sulle tastiere o fare click. Queste nostre mani che abbiamo disprezzato troppo a lungo, come abbiamo disprezzato il lavoro manuale e la fatica. Lavorare la terra, prima di tutto. Ci vuole il corpo: occhi, mani e piedi. Poi intelligenza, equilibrio, armonia. La terra del mio piccolo orto con le piante “utili” come i limoni, l’insalata e il basilico. E le piante “inutili” del mio giardino: sistemare all'ombra le camelie, potare le rose e curare i vasi colmi di gerani, che mi allietano quando li guardo affacciato alla finestra. Essere libero nel lavoro, quello mio, più esigente, più leggero, come quello che mi invento finalmente di domenica.
P. S.
Grazie tante, Antonietta, per avermi segnalato il video "Le mani" di Eduardo De Crescenzo, che non conoscevo. Ti debbo una rosa del mio giardino.