Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante.
Dopo un lungo viaggio di 2000 anni dalla Cina dove il suo ideogramma, un alberello in un vaso, significava l’albero per antonomasia, il nostro passa per l’Armenia, che gli darà il moderno nome scientifico prunus armeniaca, da dove arriva verso il 70-60 a.c. a Roma divenendo praecocum, o dal mondo arabo dove lo chiamano al-barquq.
Questi nomi si trasformeranno nel francese apricot e nell’italiano albicocco non senza una romantica variazione rinascimentale in armellino come riprese e cantò il Pascoli (e chi se non lui?) in La cinciallegra:
avevi i piedi nudi su la soglia,
tremavi come un armellino in fiore
che trema tutto al vento che lo spoglia.
Simbolo della bellezza femminile per la rotondità vellutata del frutto e la sua forma di due parti incise da un morbido roseo solco che una sembra sia la guancia di una donna e l’altra non sto a dire cosa, a me fa pensare e dire, al solito, un gioco di parole:
O albicocco,
di primavera sei presto in succhio,
d’estate ne fai un secchio,
che poi trasformi in succo.
L’inverno invece lo passi al secco.