Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Il nostro olfatto è “geneticamente vecchio”.
E’ uno dei nostri sensi che non ci serve più da moltissimi anni, da molte generazioni ormai, e lo stiamo lentamente perdendo. Sentiamo ancora gli odori forti ma quelli più fini, più lievi li sentiamo sempre meno ed essendo un senso che non rappresenta più una caratteristica fondamentale per la nostra vita, per la sopravvivenza nostra e della nostra specie, una specie di carattere selettivo un tempo utile per la caccia, per la ricerca del cibo, per l’attenzione ai pericoli, piano piano sta scomparendo.
Naturalmente tutto questo nei tempi tecnici della evoluzione darwiniana. Tempi lunghissimi rispetto alla nostra modesta permanenza sulla Terra. Per fare un esempio sui tempi tecnici dell’Universo e della Evoluzione diciamo che se il nostro pianeta fosse nato alle ore zero di lunedi l’uomo sarebbe comparso sul pianeta Terra solo tre minuti prima della mezzanotte di sabato.
Comunque lo stiamo perdendo praticamente perché non ci serve più e chi ne ha meno non si trova per niente svantaggiato nei confronti di chi invece l’ha più sviluppato. In certe circostanza addirittura, specialmente in periodo estivo o per chi deve frequentare mezzi pubblici affollati, la cosa può rappresentare addirittura un certo vantaggio.
Negli ultimi tempi, ma non in quelli esattamente darwiniani, stiamo perdendo questa volta non uno dei nostri sensi come l’olfatto ma una delle nostre abitudini più antiche, un uso del nostro corpo per scarso utilizzo.
Stiamo perdendo l’uso delle gambe. Non per un recente ictus ischemico o una improvvisa paralisi progressiva, ma per l’uso indiscriminato che stiamo facendo delle auto. Oramai non accettiamo più di dover percorrere cento metri per arrivare a destinazione. Consideriamo una sconfitta non trovare il parcheggio a ridosso del negozio o della bottega, ci consideriamo sfortunati e ci scoccia molto se dobbiamo camminare cinque minuti.
I nostri paesi, dove la vita non era ancora caotica come nelle città, piano piano si stanno riempiendo di auto che ingorgano le strade, occupano i marciapiedi, bloccano i cancelli, riempiono oramai tutti gli spazi lungo i muri oltre a saturare ogni possibile parcheggio ricavato all’interno di un abitato non strutturato per accogliere tutti questi mezzi.
C’è stato in un passato abbastanza recente anche qualche goffo tentativo di ridurre alcune piazze pubbliche e trasformarle in parcheggi, partorito da qualche mente con lo sguardo rivolto purtroppo alle proprie scarpe, ma mi pare che ultimamente molte Amministrazioni, anche quelle più retrive, cominciano a capire che bisogna destinare spazi esterni alle frazioni ad aree di parcheggio perché nel futuro non troppo lontano anche per i piccoli paesi vi sarà la necessità di limitare il traffico in entrata come nelle città.
I nostri pubblici amministratori stanno finalmente rendendosi conto che il futuro delle comunità che amministrano non potrà più essere legato, come succedeva fino a qualche anno o decennio fa, all’automobile (vecchio segno di progresso) ma all’uomo e la macchina dovrà essere relegata sempre più in periferia, lontana dal luogo dove si svolge la vita della collettività.
L’auto quindi è passata in pochi anni da grandioso strumento di sviluppo capace di accorciare le distanze, di restringere i tempi, di favorire lo scambio e lavoro ad elemento invadente e prevaricante, ingombrante ed inquinante, elemento di disturbo da relegare in disparte perché elemento oramai estraneo e alienante.
Ancora più grave se si sposta il tiro sulle zone turistiche e marine, sui luoghi protetti dove l’auto rappresenta veramente un intruso da non tollerare e dove la bellezza della natura viene sconvolta e spesso distrutta dalla massiccia presenza di automobili.
Ogni sforzo dovrebbe essere fatto quindi per favorire l’uso di mezzi di locomozione alternativi fra cui domina incontrastata la bicicletta, ora anche in forma elettrica, un mezzo ecologico, salutare e che permette spostamenti anche di una certa rilevanza con un minimo sforzo.
Specie nelle città d’arte il bike-sharing potrebbe essere il gold standard per il problema traffico nel centro storico. Molte città del mondo l’anno adottato con grandissimi risultati sul traffico veicolare ma soprattutto con una grandissima soddisfazione dei propri cittadini. Da noi troppe mani hanno bloccato il progetto nella nostra città e forse è mancata anche una precisa volontà.
Nei comuni periferici e nelle campagne, dove alcuni spazi ancora resistono alle tensioni speculative, sarebbe indispensabile che i programmi di sviluppo urbanistico dei Comuni destinassero alla mobilità alternativa una maggiore attenzione. Piste ciclabili per spostamenti fra le frazioni e spazi esterni come possibili aree di sosta per autoveicoli da pianificare e realizzare in zone ancora libere prima che il male dei nostri anni, la cementificazione, se le porti via privatizzandole e quindi togliendole dai Beni Comuni a disposizione di tutti.
Se non è oggi lo sarà sicuramente un domani non troppo lontano che anche i piccoli paesi delle periferie urbane si troveranno a dover utilizzare aree esterne di sosta e centri storici liberi dalle auto. I cittadini saranno così costretti a riscoprire l’uso delle gambe, prima che queste si atrofizzino definitivamente e perdano la loro funzione come l’olfatto, il nostro senso più antico e “geneticamente obsoleto”.