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La strage di via d'Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta.
L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
L'esplosione, avvenuta in via Mariano D'Amelio dove viveva la madre di Borsellino e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo.
Secondo gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.
Oltre a Paolo Borsellino morirono gli agenti di scorta Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. La bomba venne radiocomandata a distanza ma non è mai stata definita l'organizzazione della strage, nonostante il giudice fosse a conoscenza di un carico di esplosivi arrivato a Palermo appositamente per essere utilizzato contro di lui. Si sospetta che il detonatore che ha provocato l'esplosione sia stato azionato dal Castello Utveggio.
Dopo l'attentato, l'"agenda rossa" di Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sé e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata. Sul luogo dell'attentato giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze. Il giudice consegnò la borsa con l'agenda ad un agente ma di quella borsa si è persa ogni traccia il che fa pensare ad una regia in cui potrebberop essere coinvolti organismi dello Stato.
ARTICOLO
Sulle stragi mafiose del '92 "abbiamo finalmente varcato l'anticamera della verità, ora siamo entrati nella stanza della verità. Pensavamo, però, di trovare una stanza illuminata, invece era buia. Qualcuno aveva sbarrato le finestre e qualcuno aveva fulminato le lampadine. Siamo da soli e con le candele". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia intervenendo ieri sera a Palermo alla commemorazione di Paolo Borsellino nel ventennale della strage di via D'Amelio.
"Leggendo in questi giorni i giornali - ha aggiunto - con commenti illustri di giuristi, giornalisti e politici, ho notato che nessuno purtroppo vuole illuminare quella stanza buia della verita'".
Sempre durante il suo intervento, piu' volte interrotto dagli applausi, Ingroia ha ribadito: "c'e' il perpetuarsi dell'allergia alla verita'. Da parte della politica non e' mai stato fatto un passo avanti per l'accertamento della verita'". E ancora: "Vogliamo che nessuno dica alla magistratura di fare passi indietro sull'accertamento della verita'". "Per accertare la verita' sulla strage di Borsellino prima ancora che domandarci chi uccise Paolo dobbiamo interrogarci sul perche' Paolo e' stato ucciso”, ha detto ancora Antonio Ingroia, intervenendo alla conferenza “Trattative e depistaggi” organizzata da Antimafia. “Era questa la stessa domanda che Borsellino si poneva a pochi giorni dalla morte dell'amico e collega Giovanni Falcone - ha detto - In tutti noi che al tempo eravamo li' in via d'Amelio c'era la consapevolezza che c'era qualcosa di anomalo in quella strage, di quasi unico che non si spiega solo con il fatto che Paolo era un nemico giurato di Cosa Nostra”.
Poi il procuratore aggiunto di Palermo ha continuato “Vent'anni sono tanti e troppi perche' si accerti la verita' su un fatto del genere”.
"Quest’anno non sono qui per Paolo, ma perche' ci sono dei giudici vivi da proteggere. Sono qui per questi magistrati. Li vogliamo vivi, non li vogliamo piangere. Vogliamo dei magistrati che indaghino e trovino la verita', e non permetteremo che nessuno si ponga come ostacolo alla ricerca di questa verita' e giustizia, fosse anche il presidente della Repubblica", dice invece Salvatore Borsellino a conclusione della conferenza “Trattative e depistaggi” di Antimafia Duemila a Palermo.
E un coro di voci si e' alzata per gridare 'Paolo vive'.