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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Intervento dell'Assessore Provinciale Giacomo Sanavio

10/8/2012 - 14:22

Siamo arrivati al paradosso per cui attraverso decreti legge e voti di fiducia si riforma anche l’ordinamento dello Stato, in nome di un’urgenza motivata con la crisi economica e finanziaria, con cui si giustifica anche l’impossibilità di far svolgere, intorno ad una materia così importante, dibattito politico e pubblico. Ciò che preoccupa è che si arrivi a “riformare” l’ordinamento dello Stato soltanto sulla base dell’obiettivo dichiarato della riduzione della spesa pubblica, rispetto al quale passano totalmente in secondo piano analisi e considerazioni di ordine storico, socio-economico, identitario, sulle funzioni svolte e sui servizi resi dagli Enti locali, sulle conseguenti necessità finanziarie, valutazioni sulla base delle quali semmai individuare nuovi modelli organizzativi. Anziché “contrapporre una via”, sia dal punto di vista dell’analisi, sia dal punto di vista della risposta, si inseguono campagne mediatiche che mettono ormai da troppo tempo impropriamente sullo stesso piano la giusta necessità per esempio di rivedere le indennità di carica dei livelli legislativi, con i necessari “costi” delle rappresentanze elettive e democratiche, aprendo la strada a derive elitarie, che non costituiscono certamente né un argine, né una risposta al sentimento antipartitico, più che antipolitico, così diffuso nel nostro Paese. (Ci siamo già passati con l’abolizione delle circoscrizioni in nome dei “costi della politica”, per poi fare in qualche modo marcia indietro e sperimentare nuove modalità utili a garantire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali amministrativi locali).
 
Così mentre si affacciano fenomeni nuovi e nuove istanze di partecipazione, dal valore altamente politico ma che non trovano rappresentatività nei partiti, quali i movimenti “Occupy”, la Politica risponde in maniera opposta, contraendo gli spazi di democrazia dei livelli più vicini ai cittadini e della loro rappresentanza diretta proprio in nome dei “costi” e del mercato, quello stesso mercato per cui questi movimenti chiedono regole chiare per porre fine al suo predominio. E invece no! Nel 2010 con il decreto legge sulle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica è stato imposto l’esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali dei Comuni. Nel 2011 con il Decreto Salva Italia e nel 2012 con il Decreto recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza (?!) dei servizi ai cittadini è stato abolito il suffragio universale per le elezione degli organi della Provincia, con la riduzione numerica delle stesse, senza occuparci di chi ed in che modo surrogherà alle funzioni oggi svolte dalle Province. Una riforma dell’ordinamento dello Stato e dell’articolazione delle municipalità territoriali dovrebbe invece basarsi sui principi di autonomia ed adeguatezza. E’ davvero pensabile che un ente non elettivo abbia lo stessa capacità decisionale di un ente eletto a suffragio universale? E parlando di costi, in cosa consiste il “risparmio”? Nella rappresentanza democratica a suffragio universale dei cittadini di quel territorio? Perché questo è a mio avviso il tema politico generale di fondo al quale da troppi anni si assestano colpi pesanti: il tema della rappresentanza democratica e del suo esercizio.
 
Il modello di Paese definito con la riforma del Titolo V della Costituzione fortemente voluta da centrosinistra è quello federalista con due livelli legislativi (Stato e Regioni) basato sul sistema delle autonomie locali (Comuni, per i servizi di prossimità dei cittadini, e Province, per le funzioni di programmazione e servizi di area più vasta non conferibili ai Comuni). La fretta con cui si è giunti a quella riforma (fretta che dovrebbe insegnarci qualcosa …) ha portato ad una divisione poco chiara tra le competenze assegnate ai due livelli legislativi (Stato e Regioni) e all’aver perso l’occasione per definire con chiarezza le competenze del sistema delle autonomie locali. Così a distanza di poco più di dieci anni da quella riforma, anziché correggerne gli errori proseguendo nel percorso avviato che avrebbe dovuto portare anche al superamento del bicameralismo parlamentare e all’istituzione del Senato delle Regioni, si assiste a scelte di segno opposto con forme di neocentralismo regionale ed di “alleggerimento” della rappresentanza e rappresentatività dei territori, in nome sempre e solo delle esigenze dei mercati.
 
Non sempre i processi di “semplificazione” sono di per sé un bene. Un esempio su tutti è dato dalla delicata materia del governo del territorio, rispetto alla quale ridurre eccessivamente il numero degli attori pubblici coinvolti nel processo decisionale, può far correre il rischio di una maggiore frammentazione e di una eccessiva competizione tra territori comunali. Ecco perché il governo del territorio necessita dell’essenzialità di una dimensione adeguata di area vasta. Ma poiché gli atti di pianificazione del governo del territorio definiscono il punto di equilibrio e i confini tra interesse e bene pubblico ed interesse privato, la materia necessita per forza di cose di un livello autonomo di governo. Perché la pianificazione di area non è la “sommatoria dei desiderata” delle singole amministrazioni, ma la messa in pratica di serie politiche di perequazione, che non dovranno basarsi sulla redistribuzione delle scelte urbanistiche, ma sull’acquisizione di una parte delle entrate da sviluppo territoriale ripartite anche fra i Comuni che non hanno visto crescere le urbanizzazioni sul proprio territorio (ad esempio, attraverso la gestione associata di funzioni o forme consortili di gestione delle aree per insediamenti), prevedendo nelle scelte la partecipazione e il contributo delle Comunità locali e delle reti sociali. Sul piano normativo, anziché sopprimere i livelli di rappresentanza democratica, occorrerebbe definire con chiarezza i livelli di pianificazione, le competenze esclusive e la cogenza degli strumenti di programmazione, prestando particolare attenzione ai rischi legati ad una eccessiva  smania di “semplificazione” delle procedure. Occorre un PTC che pianifichi territorio e risorse ambientali e che dia una “visione territoriale” unitaria e strategica e che non sia un “libro di suggestioni” senza alcuna cogenza, come, purtroppo, lo ha disegnato la Legge Regionale 1. Tutto questo, francamente, non sarebbe possibile con un Presidente nominato anziché eletto!
 
La specificità dei territori rurali, generalmente caratterizzati da grande estensione territoriale e pochi abitanti, così come l’equilibrio tra città e campagna possono essere garantiti solo in presenza di livelli di rappresentanza e di governo adeguati a gestire il territorio e a garantirne la coesione e lo sviluppo equilibrato. Il criterio di dimensione territoriale è essenziale per mantenere l’equilibrio nella globalizzazione. Non esiste solo il “modello” delle grandi città, inapplicabile, tra l’altro, in una Regione come la Toscana, la cui stessa economia turistica dipende in larga parte dalla sua marcata ruralità, che per questa Regione è anche tratto identitario. I percorsi anche di fusione sono possibili sulla base di progressività per stadi, per omogeneità socio-economica e territoriale. L’Unione dei Comuni come passaggio non eludibile e non rimovibile per i Comuni sotto i 5000 abitanti come previsto dalla LR 68/2011 “fa il paio” sul piano del metodo con quanto previsto per le Province dal Decreto Salva Italia e della Spending review. Tutto l’opposto del percorso dal basso previsto dall’art.133 della Costituzione Italiana.
 
Giacomo Sanavìo

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