UNA CITTA' PROLETARIA?
Il dato più preoccupante è che abbiamo perso ormai ogni interesse alla conoscenza della composizione sociale delle città ed alla sua dinamica. Assumiamo che la cittadinanza sia una sorta di indistinto collettivo, accomunato dalla circostanza di vivere in un territorio ed utilizzarne le opportunità, di servizi e di lavoro. Vagamente abbiamo notizia di interventi “per il sociale”, che interessano i meno abbienti e gli immigrati.
In positivo, l'essere “comunità” è percepito al più con qualche anelito, in verita non unanime, di campanilismo; di amore per la squadra di calcio; di preoccupazione per la presenza di immigrati invadenti.
Non abbiamo, né ci interessa cercare, dati relativi a quanti siano gli operai che vivono in Città; di quali siano le loro forme di partecipazione sociale, svago, cultura, politica.
I circoli e moltissimi bar che del circolo hanno mutuato struttura e logistica, sono il punto di riferimento di una umanità, la cui partecipazione alla vita sociale e politica passa nei migliori dei casi dalla lettura frettolosa della cronaca di Pisa, letta sul Tirreno trovato al bar.
Per il resto, abbiamo un imponente pubblico impiego, dentro il quale operano persone con competenze professionali di base e di eccellenza; al quale si deve sostanzialmente la tenuta sociale ed economica della Città; ma al quale è stata tolta la parola, con una aggressione sistematica e scientificamente volta a questo risultato.
Anche i reparti più “attivi” del commercio sono in verità una realtà di cui conosciamo ben poco. La loro voce ci arriva distorta da organizzazioni che dovrebbero rappresentarli, ma che invece si preoccuapno unicamente della loro sopravvivenza in rapporto alle mosse degli altri attori del teatrino della politica.
Sparita ormai quasi completamente dal centro storico la presenza di commercianti autonomi, sparito il reparto alimentazione e gastronomia, spariti i negozi di abbigliamento fuori dal giro delle grandi firme, i negozi di Città sono popolati da un proletariato accecato dalla ideologia dell'apparenza e ormai incapaci di esercitare una qualunque funzione di connessione sociale.
Il tentativo di creare un collante nuovo, partendo da una “vision” della città ,la città dei primati, poteva essere apprezzabile, se non si fosse scelta la strada di usare catalizzatori chimici, come quello di un “orgoglio pisano” costruito sulla paura dello straniero immigrato e su una incomprensibile (a sinistra) xenofobia nei confronti dei rom.
A pisa c'erano stati negli anni 70 due grandi fatti che hanno costituito un punto di riferimento per tutta l'azione di governo della sinistra.
La creazione del Parco, a dimostrazone della assunzione della questione ambientale come questione centrale nel determinare la qualità dello sviluppo. Il disegno culturale di una città tollerante, che trovò nel libro di Athos Bigogniali Una Città Proletaria un riferimento di letteratura, ma che permeò tutta l'azione amministrativa, prima di Granchi, poi di Floriani e di Fontanelli.
Pisa paradiso degli esuli, il Paradiso di cui poi parlò Haring, ricalcando parole che alla fine dell'800 e agli inizi del 900 avevano posto la base per la costruzione della identità di una città cosmpolita e metropolitana, colta e proletaria, moderna e tollerante.