Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Ieri un corteo pacifico e colorato ha attraversato le vie di Pisa, il corteo del Municipio dei Beni Comuni. Quando ha raggiunto in via Montelungo l’ex Colorificio Toscano, di proprietà della multinazionale Junionfin, chiuso dal 2009 e in stato di degrado, le centinaia di attivisti, studenti e cittadini, davanti a uno schieramento ingente di polizia, hanno alzato in alto un libro. Da una terrazza dell’ex Colorificio Toscano è spuntato uno striscione: “Pisa esve dal grigiore. Colorificio liberato” e una delegazione di manifestanti alla luce del sole ha annunciato: "L'ex Colorificio oggi diventa la sede del Municipio dei Beni Comuni".
Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva è il titolo del libro che tenevano tra le mani i manifestanti. Ieri me lo sono letto tutto, dalla prima all’ultima pagina. È un libro denuncia sull’abbandono da parte della proprietà dell’ex Colorificio Toscano. È scritto da diversi autori tra cui Francesco Gesualdi, Ugo Mattei, Bruno Settis, Stefano Gallo, Mauro Stampacchia, Cinzia Colosimo, Giusi Di Pietro e Guido Viale. Il Municipio dei Beni Comuni vuole provare a recuperare l’immobile degradato e, come è successo in altre parti d’Italia, ricreare uno spazio sociale per tutta la città “collocando consapevolmente la propria azione nel solco costituzionale dell’articolo 42”, scrive nel suo intervento Ugo Mattei, professore universitario di Diritto costituzionale.
Apre la seconda parte del libro un’accurata analisi di Francesco Gesualdi, coordinatore del Centro nuovo modello di sviluppo, intitolata Cosa succede in città: J Colors, un modello globale. Questo l’inizio: “Pisa, come molte altre città d'Italia, o meglio d'Europa meridionale, sta pagando il prezzo dell'integrazione economica mondiale, meglio nota come globalizzazione”. Gesualdi ricostruisce i motivi economici che hanno portato la multinazionale J Colors a chiudere il Colorificio Toscano.
Continua Gesualdi:
“J Colors non è un'azienda pisana. Prima di lei esisteva il Colorificio Toscano, industria di vernici fondata nel 1924 da tale Alfred Houlston Morgan, un chimico inglese, che si innamora della Toscana e decide di trasferirsi a Pisa dove apre uno stabilimento di vernici. Nel 1995 l'industria fallisce e viene rilevata da J Colors, società di un più vasto gruppo chimico fondato dal tedesco Hans Junghanns. Ma nell'orizzonte della nuova proprietà non c'è la continuità produttiva del Colorificio Toscano. Tant'è lo stabilimento viene gradualmente depotenziato, fino a diventare poco più di un magazzino che nel 2008 sarà definitivamente chiuso licenziando gli ultimi 14 dipendenti rimasti”.
Gesualdi sostiene che la multinazionale J Colors non fosse interessata a sostenere il lavoro sul territorio, bensì ad appropriarsi del marchio del Colorificio Toscano particolarmente attrattivo sui mercati internazionali e a trasformare gli oltre dieci mila metri quadrati un tempo luogo di lavoro in una colata di cemento con palazzine ad uso abitativo.
Leggendo alcune schede del libro si arriva in Cina, nella provincia del Guandong, sito produttivo dove per le condizioni di lavoro si torna all’Ottocento, seguendo la pratica di “delocalizzazione ossia del trasferimento produttivo affidato a stabilimenti esteri dove la licenza di sfruttamento del lavoro e di inquinamento è così alta da ridurre considerevolmente i costi di produzione”. Poi si approda nel paradiso fiscale di Madeira e in “quei territori, cioè, che garantiscono un alto grado di segretezza e forti sconti fiscali, perché anche le tasse sono costi che le imprese vogliono ridurre" (Gesualdi).
Penso che l’analisi e le conclusioni di Gesualdi siano giuste: “Non usciremo dalla crisi, finché non colmeremo le ingiustizie e non ci orienteremo verso un altro modello di società che privilegi il locale sul globale, i diritti sul profitto, la salute sul fatturato, l'ambiente sul Pil, la comunità sull'interesse privato, la qualità della vita sul consumismo, la cooperazione sul mercato. In una parola che privilegi la persona sul denaro”. Le grandi multinazionali insieme alle banche e alla corruzione sono le principali responsabili della crisi dalla quale sarà dura uscire se con la giustizia sociale non riusciamo a ridurre “le diseguaglianze tra un numero infimo (semplificando, l’1 per cento) dei sempre più ricchi e un numero immenso (il 99 per cento) dei sempre più poveri” (Guido Viale, economista).
La terza parte del libro ricostruisce molto bene la traiettoria Dal globale al locale: le conseguenze sui territori. Mauro Stampacchia, prof. di Storia del movimento operaio e sindacale all’Università di Pisa, prende le mosse dalle magistrali narrazioni di Pisa città proletaria fatte da Athos Bigongiali per poi analizzare “la deindustrializzazione come un fenomeno di lunga durata, che decolla in Italia però solo dopo gli anni Ottanta del secolo scorso. A Pisa invece questo fenomeno sembra essere anticipato, e cominciare già con gli inizi degli anni Settanta” con le vicende della Marzotto e della Saint-Gobain.
Stampacchia ricorda come “la deindustrializzazione, questo processo così pervasivo dell'intero sistema produttivo” viaggi “di pari passo con la delocalizzazione vale a dire lo spostamento delle industrie dalle tradizionali sedi ad altre, il più delle volte fuori dei confini nazionali, in zone dove la manodopera costa meno”.
Poi Stampacchia pone alcune domande:
“Cosa si sostituisce agli insediamenti industriali? Nuova industria, nuovi servizi di terziario avanzato?”. E risponde: “Non direi. Quello che immediatamente si vede è la liberazione di aree che vengono freneticamente convertite in aree ad alta edificazione edilizia”. Con il rischio che “Pisa, da sempre a rischio di essere provincia d'Italia, e provinciale, diventi una provincia della globalizzazione, ancora più sperduta, anonima, imbruttita, caotica, appiattita come solo la globalizzazione appiattisce, senza una vera anima propria”. Questa l’amara conclusione di Mauro Stampacchia.
Nelle testimonianze operaie raccolte dalla giornalista Cinzia Colosimo e dall’ingegnere informatico e delegata Fiom Giusi Di Pietro si percepisce il lungo addio degli operai alla produzione dell’ex Colorificio Toscano, nel tentativo di fermarne la chiusura. Ma la fine arriva nel 2008, quando Il Tirreno titola: "Chiude l'ex Colorificio, tredici a casa".
C’è un aspetto, forse marginale nel libro, che mi ha colpito: il ruolo dell’allora segretario della Filcem Cgil Franco Marchetti nella tratttativa svolta in quei giorni difficili. In un articolo de La Nazione del 10 dicembre 2008 si legge una sua combattiva e generosa dichiarazione: “Se sperano di licenziare le persone approfittando delle difficoltà, per poi sperare in una soluzione che faccia loro ottenere guadagni dalla vendita dei capannoni vuoti per costruirci altre cose, noi faremo il possibile perché ciò non accada”. In altre parti del libro si cita il contributo prezioso del volume Storie di Piaggio, amore e libertà, scritto da Marchetti e uscito quest’anno.
Leggendo la storia del Colorificio Toscano ricostruita da Bruno Settis e Stefano Gallo mi sono imbattuto in questa frase: “All'inizio degli anni '70 il Colorificio occupava ancora 200 dipendenti circa, e l'area dove sorgeva rappresentava il terzo polo industriale del territorio comunale, nella zona che gravitava intorno al Viale delle Cascine si contavano 800 addetti alle attività industriali, di cui la metà concentrati negli attigui stabilimenti del Colorificio Toscano e della Vetreria Scientifica Kimble”.
Allora ho ricordato un mio breve periodo di lavoro operaio, proprio negli anni ’70, quando entrai in una fabbrica di quella zona. Un giovane studente come ero io che incontra gli operai del Colorificio Toscano e della Kimble e capisce cosa vuol dire la vita di fabbrica e la condivisione. Per me gli anni ’70 non furono anni di piombo, ma di formazione. Il tempo passa in fretta sotto i nostri nasi raffreddati, ma a me sembra appena ieri quando scoprii la voglia di libertà e di partecipazione. Giusto, appena ieri.
Ho un avviso come poscritto. Domenica 14 ottobre alle 17:30 al Cantiere San Bernardo (via Pietro Gori, angolo via San Bernardo) presentazione del libro bianco “Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva”.
Scarica qui sotto la versione pdf di "Rebelpainting. Beni comuni e spazi sociali: una creazione collettiva"
https://dl.dropbox.com/u/46991322/finale.pdf