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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a spaziodonnarubr@gmail.com
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
di Valdo Mori
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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A cura di Erminio Fonzo
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Domenica 7 Luglio mercatino di Antiqua a San Giuliano T
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
LIBRI
Le emozioni letterarie di Lily

25/11/2012 - 18:17



Rileggendo ciò che ho scritto in precedenza, mi sono accorta, senza meraviglia devo dire, che tutti  i libri di cui ho parlato rappresentano un tema sociale: un filo conduttore nella mia mente. Non solo libri dunque. O meglio i libri che si intrecciano al vivere, al sopravvivere,  al vivere al di sopra di……..
In "Accabadora” si parla della fine vita, in “Soffocare” del sesso compulsivo, in Pavese della prostituzione.

Gli scrittori ci danno il pane che serve alla nostra intelligenza per “vivere”. Ci inducono a “pensare”, a elaborare, a meravigliarci di trovare “parole” che rappresentano, su una pagina, quello che un giorno è stato un nostro pensiero, una nostra riflessione. Su qualcosa di “grande”, di infinitamente importante per gli uomini o intimamente legato al nostro vissuto.

A qualcuno che si “deve” amare, che può non amarci o amarci ”male”.

Che non possiamo, non vogliamo,  ma che dobbiamo comprendere. Nostra madre, la madre che noi siamo, che non siamo sole.

Che vorremmo essere.

Che abbiamo paura di essere.
Le madri dei libri sono quelle reali, quelle di ogni giorno, di ogni dolore amore speranza. Margarida o Ofelia di Ovunque io sia, il raggio di sole e il brivido acido della disperazione, Tzia Bonaria, la madre d’anima di Accabadora, l’ultima madre prima di morire.
Le due madri del “Dolore perfetto” di Riccarelli. La Rosa e l’Annina.
Premettendo che questo è un libro emozionante, che ci riporta con commozione, per molte di noi, ad un passato antico contadino, paesano, alle vicende politiche vissute sulla pelle dei nostri padri e nonni.

Il Rosso e il Nero. La Lega e il Fascio. La speranza e il sopruso.

O l’incontrario.

In realtà la Toscana contiene, ha contenuto al suo interno, il germe meraviglioso dell’anarchia, quella del “maestro” del “Dolore Perfetto”. L’anarchia di un altro bellissimo libro “Una città proletaria” di Athos Bigongiari, che non è assenza di regole, marasma sociale, violenza e bombe. E’ nel “maestro” come in Ersilia di “Una città proletaria” quella libertà interiore che è al contrario l’assoluto e totale asservimento alle regole, introiettate a tal punto dentro di te che non hai bisogno di codici ed impostazioni per rispettarle. L’amore non può essere ingabbiato in un patto per esistere e mantenere  le sue promesse. Io ti amo e ti rispetto senza che qualcuno o qualcosa lo sancisca. Ed è per questo che l’anarchia è utopia. Perché gli uomini non sono capaci, tutti, di rispettare i codici morali interiori. Basta che uno non li possieda o li tradisca e la libertà anarchica diventa confusione e prevaricazione. Ma ritornando alle nostre due madri del “Dolore Perfetto”, Rosa è la fragilità dell’ideale che si scontra contro la rozzezza di comportamenti asserviti alla bestialità umana. Il suo essere madre dolce, solare (suo figlio si chiamerà infatti Sole) legata alle nuvole della fantasia e della bellezza, le porteranno solo l’incomprensione e il livore del marito e degli “altri”.
Le sue sono “mattane” da punire o da sopportare con rancore. Il marito le demolirà il balcone su cui lei sognava e guardava l’orizzonte. Per quest’uomo, per gli uomini che ancora oggi sono, in maniera diversa e uguale, come lui, queste sono donne da “punire”.
Si appropriano dei “loro” figli inculcando sentimenti e comportamenti lontani e in contrapposizione a quello che loro vogliono. Se andava bene le rinchiudevano in manicomio (fino a non molto tempo fa oltre a non avere il diritto di voto le donne italiane “dipendevano” dai propri uomini anche dal punto di vista giuridico. Così è successo alla poetessa Alda Merini) prendevano e prendono un po’ di botte. Se va male, le uccidono. Paradossalmente più oggi di prima. Infatti la nostra indipendenza scatena, negli uomini, i peggiori ovviamente, l’istinto omicida, predatorio. Poi c’è la figlia di Rosa, Annina. Che grazie alla madre è forte, nel dolore, nella disperazione. Non ha tempo per odiare, perché è intenta a vivere. Sa scegliere anche l’uomo giusto, perché è libera. E la stessa libertà sarà data ai figli, quella di poter pensare e decidere al di là delle “tutele” sociali e convenzionali.
Ed è semplicemente qui che  sta la forza delle donne: dare la vita, in ogni suo aspetto. Ma non tutte ci riescono,  l’Isolina, cognata della Rosa , sarà succube del marito e uccisa dal figlio –nipote. In punto di morte si scuserà, lei che ha subito tutta questa violenza, per quello che è successo. E’ l’eterno senso di colpa che si porta dietro chi  per qualche secolo ha subito la prepotenza della sottomissione e delle  discriminazioni. Ma l’Annina ce lo dice e ce lo dimostra chiaramente: Tu puoi piegarmi ma non spezzarmi.  Ed i miei figli saranno diversi. Perchè io sono libera e loro lo saranno grazie a me.
Adesso permettetemi un pensiero speciale per Teresa, uccisa da un “grande uomo” (tramite sicari) per averlo denunciato dopo gli abusi fatti sulla sua bambina. E un altro per uno scricciolo di donna dalla testa candida che ha passato la sua vita nel manicomio di Volterra. Aveva avuto un bambino e forse le era venuta la depressione post partum. Le “mattane” si curavano in un solo modo, allora. Povero marito che ha avuto la “sfortuna” di avere questa disgrazia. Povero bambino, dico io,  a cui è stata sottratta la madre. Povera vita sprecata, ma quella di questa donna. Non disperare, uno di questi giorni ti porterò al mare. Lontano dalle sbarre, per una volta.

E provateci a dirmi di no.

Io oggi posso permettermelo di fare la “matta”.

Nessun uomo può più decidere per me e mandarmi in manicomio se sono “appena” inadeguata.

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