Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Ogni giorno a pranzo ci sediamo a tavola, mangiamo magari guardando la TV che ci propina sempre le solite cattive notizie, scambiamo due parole con moglie e figli (se ci sono), ci alziamo da tavola e torniamo al lavoro o a qualche altra occupazione che ci occupa tutto il pomeriggio fino all’ora di cena.
Salvo per chi deve sottostare ad una dieta per motivi di salute o di scelta personale difficilmente facciamo caso a cosa e quanto mangiamo e di solito la nostra attenzione è rivolta solo alla qualità del cibo che abbiamo in tavola, alla sua maggiore o minore prelibatezza e corrispondenza al nostro gusto. Non facciamo caso alle calorie che ingeriamo e nemmeno a quello che avanza, a quello che resta nel piatto o nel tegame. Ci preoccupiamo solo di gratificare il nostro appetito e di alzarci sazi dalla sedia.
Questa nostra indifferenza o scarsa attenzione comporta due ordini di problemi legati alla quantità di cibo che sprechiamo e alla quantità di calorie che ingeriamo.
Per il cibo in avanzo una parte viene naturalmente riciclato, specie in questo momento di crisi economica in cui le massaie sono particolarmente attente alla spesa, ma molto cibo viene gettato nella spazzatura. Chi ha la differenziata getta gli avanzi nel cestello dell’organico ma oltre agli scarti nel recipiente vanno a finire molti alimenti ancora perfettamente commestibili.
Sono stati calcolati e sono veramente tanti, troppi per un paese che soffre una crisi. Compriamo a volte di più di quello che ci serve, per lo sconto a cui non sappiamo rinunciare anche se siamo dubbiosi sulla sua utilità, perché abbiamo poco tempo e la spesa la facciamo sempre più di rado per cui va programmata per un periodo più lungo (a scapito della precisione degli acquisti). Perché siamo un popolo in parte ancora benestante nonostante l’asticella della povertà si sia, in questi ultimi anni, pericolosamente alzata.
Le GDO, le Grandi multinazionali del commercio, hanno uno scarto importante perché i prodotti in scadenza non possono essere venduti e quindi vanno smaltiti. A parte le numerosi frodi alimentari in cui questi alimenti vengono riciclati e rimessi in vendita bisogna dire che molto in questi anni è stato fatto e sono sorte organizzazioni di volontariato che si incaricano di ritirare questi alimenti ancora perfettamente commestibili per destinarli ad opere di beneficenza come la Caritas e simili.
Certamente non molto ma in questo settore della grande distribuzione qualcosa è stato fatto. E le iniziative sono in aumento sia per la sempre maggiore richiesta di aiuto da parte di una popolazione emarginata in netta crescita ma soprattutto per la nascita di una nuova sensibilità rispetto a questa tematica di riutilizzo degli scarti ancora edibili (che altrimenti andrebbero smaltiti) da parte di un volontariato sensibile, una delle poche note di speranza in una società allo sfascio.
Una sensibilità che si coniuga perfettamente con il rispetto dell’ambiente in quanto la produzione di cibo, specie per quanto riguarda la carne, comporta un dispendio enorme in termini di acqua e di energia.
Ma non basta. Occorrerebbe che a questo impegno della grande distribuzione si accompagnasse una maggiore sensibilità alla riduzione dei consumi individuali e alla lotta agli sprechi da parte delle famiglie, ancora troppo poco sensibili a queste tematiche.
Lo spreco alimentare e la sovralimentazione del mondo occidentale diventa ancora più grave se diamo un occhiato in giro, oltre i nostri confini perché di fronte a 868 milioni di persone che soffrono la fame esistono nientemeno che un miliardo e seicento milioni di persone obese, per il troppo cibo.
La maggioranza delle persone che soffrono la fame - circa 852 milioni - vive nei paesi in via di sviluppo, e rappresenta il 15% della loro popolazione complessiva, mentre i restanti 16 milioni vivono nei paesi sviluppati.
"In un mondo di opportunità tecnologiche ed economiche senza precedenti, troviamo assolutamente inaccettabile che più di 100 milioni di bambini sotto i cinque anni siano sottopeso, in condizioni di non poter sviluppare a pieno il proprio potenziale umano e socio-economico, e che la malnutrizione infantile uccida ogni anno più di 2,5 milioni di bambini", denunciano nel 2011 José Graziano da Silva, Kanayo F. Nwanze ed Ertharin Cousin, rispettivamente a capo della FAO, dell'IFAD e del PAM.
In Italia, per dare un’occhiata in casa nostra, ci sono circa 5 milioni di obesi di cui moltissimi bambini (la massima percentuale in Campania), un dato che ci ha fatto assegnare nel 2011 la maglia nera europea in base al settimo rapporto sull’Obesità in Italia dell’Istituto Auxologico di Milano.
Quindi non solo c’è il problema culturale di questa enorme differenza fra chi soffre la fame chi si alimenta in maniera eccessiva, oltretutto sprecando una enorme quantità di cibo, ma c’è anche quello sanitario di queste persone obese che andranno incontro, nel loro futuro più o meno prossimo, ad una serie di patologie croniche che condizioneranno pesantemente la loro vita, inevitabilmente più breve e complicata.
Un doppio motivo quindi, culturale e sanitario, per controllore la nostra quotidiana alimentazione cercando di ridurre l’apporto calorico e di limitare lo spreco alimentare, due buone azioni che portano entrambe nella stessa giusta direzione.