Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Eccoci alla sorpresa promessa e penso proprio che sia gradita!
In una nota dell’articolo precedente veniva riportata come insegnata a Livorno dai napoletani, per mezzo del Governatore Ginori, la tecnica della pesca del corallo, ma non era così.
Dalla seconda metà del ’500 il corallo grezzo pescato a Livorno, corallo di Calafuria, veniva portato a Pisa dove era lavorato da maestri d’arte, tra cui l’ebreo marrano Joseph Bueno, o Giuseppe Buono, mercante fornitore dei Granduchi e forse uno dei primi corallari toscani, a cui fu assegnata una privativa granducale.
A Pisa e Livorno si lavorava corallo in tondi, olivette, botticelle. Tale produzione era finalizzata ad uso religioso, per realizzare rosari, o per meglio dire paternostri. Per tutto il 1600 si esportarono “paternostri di ottimo colore, e di varie grossezze” verso Siria e Libano, importanti porti di smercio per i prodotti livornesi.
Si trattava di lavori artistici di alta qualità, grazie alla grande perizia delle maestranze labroniche, al 95% femminili; solo una mano femminile poteva dare infatti i migliori risultati: prerogativa delle corallaie era di essere di occhio fine e svelte di mano.
Nell’800 le ragazze lavoravano in stanzoni con grandi finestre (per poter sfruttare al meglio la luce, quella elettrica verrà alla fine dell’Ottocento o ai primi del Novecento) per otto ore l’inverno e dieci l’estate traendo guadagni non indifferenti.
Certo la paga era proporzionale alla specializzazione: così la sceglitrice poteva guadagnare da L.0,50 a L. 1,70 al giorno, la tagliatrice da L.2 a L. 3, la bucatrice, la levigatrice e arrotatrice da L.1,8 a L. 2,4 al Kg., la attondatrice L. 5 al Kg. (cifra ottenuta dalle battagliere livornesi: ad esempio a Torre del Greco venivano pagate solo L. 3 al Kg.), la sbozzatrice L. 1,5 al Kg., la lustratrice L. 2-3, la assortitrice e la infilatrice L. 1-2, la brillantatrice da L.3 a L. 5, la limatrice L. 4 al giorno o L. 1 ogni 25 gr., le pulitrici 2-3 L. al giorno.
Erano paghe piuttosto gratificanti, per certe categorie superiori alle 100 lire mensili: si pensi che alla fine dell’Ottocento erano solo gli impiegati di alto livello a raggiungere tali cifre! Se poi si fa un confronto con le "trecciaiole" (centesimi 20 al giorno per le principianti!) si hanno differenze macroscopiche. Le ragazze orfane, figlie di carcerati ecc., quasi sempre appartenenti a famiglie poverissime, apprendono il mestiere da maestre corallaie negli asili di carità ed Opere pie, finanziati dai maggiori corallari; il Santoponte a metà Ottocento aveva ben 120 allieve in Istituti!
Nel precedente “Corallo 2” si parlava di una lavorazione di “quaranta tonnellate annue” solamente a Livorno!
Assurdo?
Forse per quello pescato di fronte alla città sì, ma vi era una vera miniera al sud!
Tutte le rocce sommerse lungo le coste della Sicilia erano fiorite e fiorenti di corallo e così quelle del napoletano, ma il prelievo era continuo e degradante tanto da far diminuire il pescato e la manifattura.
Il 10 maggio del 1875, fra Mazzara del Vallo e Capo S. Marco, a 200 metri di profondità, tre pescatori scoprirono un giacimento di corallo lungo e largo 200 metri che fu chiamato “corallo di Sciacca”. La scoperta fece accorrere pescatori da tutta l’isola e sembrava che il corallo non avesse fine.
Dopo 3 anni fu scoperto lì vicino un secondo banco detto “terraneo” e dopo ancora due, nel 1860, un terzo immenso banco, lungo tre miglia e largo due, al quale fu dato il nome di “foraneo”.
1790 barche raccolsero corallo per 4970 tonnellate e fu la fine del corallo prima di tutto, delle manifatture che erano strapiene e del commercio che aveva dissanguato gli accaparratori che non avevano più danaro per pagare i lavoranti.
Il corallo ultimo era di un colore nerastro, poco richiesto perché in quegli anni apparve il concorrente giapponese, bianco, che entrò subito in competizione stravolgendo il mercato che faticò a risollevarsi sebbene di poco.
Così scriveva, tradotto in lingua, un pescatore torrese a metà dell’800:
Ancora un anno
sulle coste della Corsica
la pesca con socio un nipote
ma il pescato sulla piazza di Livorno
rimane invenduto ed è pignorato
per onorare il debito crescente
di armamento e interessi.
Questo al sud, ma a “casa nostra” a Pisa c’è questo che aveva scritto nel 1758 il cavaliere S.B. in una Relazione di Pisa e il suo territorio:
“Vi è in Pisa la Manifattura dei Coralli, ma in decadenza per la guerra fra francesi e inglesi. Ho visitato questa manifattura in casa l’Ebreo Carvalio, et ho osservato quanto appresso.
Si taglia il corallo greggio in piccoli pezzi come dadi. Così tagliati ciascun pezzetto si trafora. Di poi si applicano questi pezzetti a diversi Canaletti, quali ho veduto scavati nella grossezza di una rotonda pietra in guisa di una Macine da Mulino. Col girare di questa pietra i pezzetti si rendano rotondi.
Questi pezzetti rotondeggianti si chiudano in un sacco con pomice, e questo sacco rotolato più volte, e adacquato fa pigliare a quei pezzetti il lustro da cui dipende la loro perfezione e il loro pregio.
Carvalio mi ha detto che questa manifattura si esitava co grande credito nell’Indie Orientali. Mi ha mostrato gran mazzi di pezzetti, o siano pallottole infilzati come corone di Corallo di più grandezze, e di diversi gradi di tinta, dove consiste sopra tutto la maggiore, o minore bellezza. Mi ha soggiunto che questi mazzi di Coralli formano nell’Indie Orientali un grande oggetto di mobilia, poiché gli indiani tengano a pregio di tenere appesi nelle muraglie delle loro stanze mazzi di Coralli.”
Tecnica molto diversa da quella che si praticava a Trapani (vedi ancora Corallo 2) e infatti i livornesi avevano inventata una più facile maniera di lustratura che poi venne adottata ovunque.
Ma non è finita qui la storia, anzi… comincia qui, a Filettole, dove nel 1908 un bravo fotografo riunisce un gruppo di ragazze in quella che ora è Via Marconi (prima e ultima foto) e le immortala in posa sui loro banchetti e con gli attrezzi del mestiere: le lavoratrici in corallo!
Nessuna notizia trovata frai filettolini, anzi stupore misto a diffidenza, ma sto ancora cercando caparbiamente.
A Voi cercare fra i Vostri nonni e bisnonni un ricordo di quel meraviglioso e affascinante lavoro.
Non dimenticatelo.