Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Vincenzo Jannacci, detto Enzo, forse sorriderà se in questo momento lo salutiamo con il nome Vincenzino, come la sua memorabile Vincenzina davanti alla fabbrica scritta per la colonna sonora del film Romanzo popolare di Monicelli. Sì, sorriderà, perché era fatto così e aveva cantato Ho visto un re: “e sempre allegri bisogna stare / che il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale / diventan tristi se noi piangiam”. E poi perché, lo sappiamo tutti, "Vincenzo Jannacci, detto Enzo, è uno dei protagonisti più creativi del mondo musicale e dello spettacolo, un vero e proprio caposcuola della canzone d’autore, del teatro e del cabaret”.
Le canzoni di Jannacci hanno fatto da colonna sonora alla nostra vita. Anni '50: il boom scoppia come una bomba e Jannacci ne canta la faccia che non guarda nessuno. Anni ’60: El purtava i scarp del tennis, che racconta la vita di un barbone e Vengo anch’io. No tu no, realizzata insieme a Dario Fo, in cui canta il cinismo di chi vuole emarginare, "Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale..."; era il 1968 e non poteva essere che il '68. Anni ’70: Vincenzina, ritratto intenso di una povera ragazza che entra in fabbrica, e Vivere, la strepitosa cover di una canzone scritta in epoca fascista ("C'è il banjo! c'è il banjo! c'è il banjo!"). Anni ’80: Ci vuole orecchio, E allora… concerto. Anni ’90: esce l’album Guarda la fotografia, che contiene La strana famiglia, cantata con Gaber e La fotografia, portata al Festival di Sanremo nel 1991 col suo stile e senza farsi condizionare troppo dal clima festivaliero. E poi, fino al 2003, Quelli del calcio… sigla delle edizioni condotte da Fabio Fazio. Nel 2006 esce la raccolta Enzo Jannacci The Best, ultimo doppio album con “i trentacinque brani più significativi della trentennale carriera del cantautore milanese”.
Ma dopo aver riascoltato molte sue canzoni, aver letto gli articoli che i giornali gli dedicano, aver rivisto l’omaggio tributato dagli amici a Che tempo che fa due anni fa, mi sembra che chiamare Vincenzino cantautore sia abbastanza riduttivo. E dopo aver letto il libro di suo figlio Paolo Jannacci, Aspettando al semaforo. L’unica biografia di Enzo Jannacci che racconti qualcosa di vero (Mondadori, 2011) mi pare di non saper condensare nel poco spazio di un articolo giornalistico tutta la genialità, l’umanità, il lavoro e la vita di Vincenzino.
Il primo capitolo del libro si intitola Enzo e all’inizio si legge.
“Ci sono molte persone che lo chiamano genio.
Trattasi in realtà di padre.
Enzo è un uomo dalla semplicità disarmante ma con un’intelligenza terribilmente complicata.
La sua grandezza, perché per essere grande è grande, sta nel riassumere il senso della vita in un sorso di gazzosa…
Ma per poterlo capire fino in fondo devi nell’ordine:
1) Conoscere la topografia di Milano/Rogoredo/Forlanini.
2) Aver letto Lo straniero di Camus o chiederne il riassunto a Teocoli.
3) Aver compiuto un corso di sociologia e uno di epistemologia con Beppe Viola.
4) Conoscere almeno in parte i vangeli o aver letto Il trapianto del trauma di Jules Feiffer.
5) Aver frequentato corsi di medicina e chirurgia.
6) Suonare uno strumento almeno come Louis Amstrong.
7) Aver ben visto la vergogna di chi, nel nostro paese, ha voluto la guerra e spedito la sua gente nei campi di concentramento a morire.
8) Aver contrastato, almeno per una volta, l’egoismo e aver cercato di essere altruista con chi sta peggio di te. Questo sempre per una volta...
9) Sapere o almeno capire, cosa vuol dire avere fame.
10) Aver pregato, almeno per una volta.
11) Conoscere il dialetto milanese e le parole segrete della mala.
Tutto questo per capirlo bene”.
Allora, capirete bene, non lo abbiamo capito bene il Vincenzino. Lui che ha avuto una vita così... piena, bella e finita... quando si era accorto di averla appena cominciata la sua vita, forse. Succede sempre così, quasi... Per esempio, combatteva con consapevolezza il suo male e, poco prima di un delicato intervento chirurgico, ha suonato e cantato El purtava i scarp del tennis con gli amici Dario Fo, il chitarrista Franco Cerri e il pianista Enrico Intra alla mostra "Lazzi Sberleffi Dipinti dedicata a Fo, in mezzo a un pubblico festoso.
Era fatto così, gli piaceva cantare, non aveva una voce limpida e intonata, si mangiava le parole, poi a un tratto smise e si capiva tutto quello che diceva, quasi... Allora Dario Fo, preoccupato per i suoi spettacoli “perché inspiegabilmente si capisce tutto quello che dice”, spiegò “per tranquillizzare tutti, si tratta sempre di lui, solamente un po’ più lento”.
Era fatto così, cantava con intelligenza e col cuore leggero, cantava con tutto il corpo, laringe, diaframma, bronchi, viscere, e la viva voce si disperde in un soffio e tu entri dentro quel soffio, e quella storia cantata è cantata anche per te che vuoi vivere una storia nuova.
“Ringraziatemi da vivo, non da morto, mi da fastidio non poter ricambiare”, questo aveva detto poco tempo fa. Era fatto così, un pensiero buono per gli altri sempre, quasi... Ciao Vincenzino detto Enzo.