Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
IL PARTITO CHE VORREI.
E se non si danno risposte si capisce perché una forza progressiva va progressivamente allo sbando: perché è priva di una base culturale forte. In un partito che non ha padroni solo le grandi idee hanno capacità di amalgamare. Se ci sono solo politiche di breve periodo, alla fine prevalgono i giochi personali e i calcoli di potere. Questo, a mio parere, e stato il vero grande errore fatto dai leader del PD, per questo non si è formato un gruppo dirigente capace di più attenzione al territorio e a tutte le istanze di rinnovamento ideale e culturale, che si muovevano nel Paese e anche all’interno del PD. A tenerla in queste condizioni sono la coazione a ripetere e l'intenzionalità di un'elite estrattiva, che deriva benefici (non necessariamente monetari) dalla conservazione dello stato attuale delle cose. Certo, esistono eccezioni significative, ma sono frenate, talora soffocate, dal resto del corpaccione della macchina pubblica; sono percepite dai cittadini nei luoghi dove riescono a farsi sentire, ma sono sostanzialmente ignorate dai partiti. Insomma non fanno massa critica. Non sono sufficienti ad attivare il cambiamento. Dove gruppi parlamentari e dirigenza centrale del partito sono largamente coincidenti. Dove il vertice (il "leader") si rivolge direttamente a iscritti o cittadini senza cercare un confronto, se non formale o minimo, con i gruppi dirigenti locali. Dove si sono rarefatte o mancano l'attitudine, la conoscenza e la capacità di elaborare gli orientamenti e gli indirizzi generali delle politiche pubbliche; ovvero tale elaborazione viene ricercata in "associazioni'' che singole componenti del gruppo dirigente costituiscono al di fuori del partito, ulteriormente impoverendolo. Dove, in nome di un comodo relativismo etico, risultano assenti meccanismi sistematici di prevenzione di comportamenti abusivi, quando non arrivano a manifestarsi fenomeni di contiguità con la criminalità. Ha concorso in modo rilevante anche il trasferimento di potere dai livelli statuali nazionali al livello globale senza che vi corrispondessero forme associative sovranazionali fra cittadini. In questa crisi, si è prodotta una peculiare esclusione del lavoro, in particolare di quello operaio - e quindi della centralità del "manifatturiero" - dalla centralità della rappresentanza politica, anche nei partiti di sinistra. Questa rappresentanza è divenuta appannaggio prevalente dei nuovi ceti medi urbani, pur faticando i partiti a raccoglierne la spinta creativa e piuttosto accomodandone gli interessi particolari. Ciò consolida il "controllo" dei gruppi parlamentari, attraverso filiere di comando che da singoli "capi-cordata" nei gruppi scendono lungo il partito stesso e sono alimentate dai flussi di risorse disponibili. Questa relazione perversa è stata facilitata da un ordinamento che rafforza l'indipendenza dei gruppi parlamentari - ossia degli eletti - dagli organi direttivi dei partiti. Al contrario, se non sono accompagnate da una radicale separazione fra partito e Stato e dalla ricostruzione di un rapporto continuo, teso, denso di contenuti pratici e di visione, fra un ristretto gruppo dirigente nazionale e gruppi dirigenti locali e iscritti, le "primarie del popolo" tendono a dare legittimità al cesarismo, appagando a poco prezzo la domanda di democrazia dei cittadini, e accentuano il tratto personalistico dei partiti.”
E’ abbastanza evidente che la complessiva crisi dei partiti e più in generale della democrazia rappresentativa come l’abbiamo conosciuta fino a pochi anni fa, sommata alla drammaticità della situazione economica e sociale che stiamo vivendo, insieme ai gravi errori del gruppo dirigente del PD, non poteva non portare alla implosione di quel partito alla prima grande prova di responsabilità nazionale, in quanto più contenitore di correnti che un vero partito popolare, con visioni ed orizzonti diversificati, senza un vero, comune ideale, incapace di fare sintesi delle varie diversità, pure importanti in grande partito, e di dare risposte all’altezza della crisi del mondo contemporaneo.
Ma per una più approfondita analisi e discussione sulla possibilità di un rilancio e di una “rifondazione” del PD come grande partito capace di indicare una prospettiva alla sinistra che sia organica a una nuova prospettiva per tutti gli italiani che rimando alla lettura di alcuni stralci di un documento apparso in questi giorni sotto il titolo” Un partito nuovo per un buon governo” .
“ Stato arcaico e partiti Stato-centrici
Il mancato buon governo, a livello nazionale e locale, può essere ricondotto a due cause, connesse e sinergiche;
una macchina dello Stato arcaica e autoreferenziale, caratterizzata da "primitivismo organizzativo, rudimentalità delle procedure, insufficienze del personale, scarso ricorso a tecnologie informatiche, arcaicità del disegno complessivo, suo anacronismo rispetto agli altri governi moderni". La macchina dello Stato, la Pubblica Amministrazione, è in generale attardata nel modello autoritario di governo della cosa pubblica; pretende, con arroganza cognitiva, di predefinire in modo completo le regole del gioco; è affetta da smania normativa; trascura sistematicamente l'attuazione, mancando di Ingegnerizzare" i processi realizzativi; pretende dai cittadini il rispetto delle scadenze mentre non le rispetta essa stessa; ignora la valutazione degli esiti; non facilita o rifiuta, a livello nazionale, il confronto aperto con le soluzioni alternative che vengono dalle esperienze territoriali. La macchina dello Stato è dunque complessivamente estranea agli strumenti della democrazia deliberativa, che si vanno affinando nel mondo contemporaneo.
Partiti Stato-centrici che anziché trarre legittimazione e risorse finanziarie dai propri iscritti nel territorio le traggono dal rapporto con lo Stato, "attraverso un generoso finanziamento pubblico, la colonizzazione dell'amministrazione, il patronage e il clientelismo".
Dove l'enunciazione stanca di principi generali si accompagna a un diffuso giudizio cinico sulla natura umana - schiacciata sulla (pur rilevante, ma ben sappiamo non solitaria) dimensione egoistica - e sulla presunta "natura italica" che ci inchioderebbe al cattivo governo.
La forma di partito Stato-centrica ora richiamata non è una peculiarità dell'Italia, rappresentando l'esito diffuso della crisi del partito di massa. Nato per fornire ai propri membri identità sociale e politica, conferendo forma simbolica e organizzata ai bisogni e ai desideri relativamente omogenei di masse di cittadini, il partito di massa è in crisi - come ben noto - per un coacervo di motivi, fra loro legati: la stessa trasformazione dei partiti di massa in partiti di governo; la radicale modificazione dei mezzi e delle forme di comunicazione; la maggiore articolazione e frammentazione sociale e la connessa diversificazione dei bisogni; l'accresciuta enfasi sui no"; la maggiore volatilità e imprevedibilità della "domanda politica".
Questo è più o meno vero in giro per l'intero mondo. Ma in Italia la crisi del partito di massa ha assunto forme estreme, e la deriva verso il partito Stato-centrico è particolarmente grave. Il peculiare tracollo dei partiti storici a inizio anni '90 ha trovato nella fragilità e arretratezza della macchina pubblica italiana le basi per una fratellanza siamese che non ha paragoni altrove. Si è prodotto qui quello scivolamento verso le forme degenerative appena descritte: una predominanza dei "leader", portatori di una narrazione in cui iscritti ed elettori si riconoscono, fino a forme estreme di partito-proprietà; una professionalizzazione della struttura di supporto del leader, organizzata in "staff, al di fuori di una legittimazione democratica da parte del partito stesso; la perdita di peso degli iscritti e dei loro organi, e la dominanza degli eletti sulla dirigenza del partito.
Regole e misura del finanziamento pubblico e cultura politologica egemone hanno sancito la deriva. La copiosità del finanziamento pubblico dei partiti, mirando a liberare i partiti stessi dal condizionamento dei "fondi neri" provenienti dalla degenerata conduzione dei grandi enti pubblici nazionali o locali, li ha in realtà legati stabilmente allo Stato, sancendo e accrescendo la loro non-dipendenza dal contributo degli iscritti, il cui controllo sul partito si è così viepiù ridotto. Ad aggravare le cose sta il fatto che questi finanziamenti essendo commisurati agli esiti elettorali, sono anche formalmente connessi agli eletti.
La legge elettorale vigente ulteriormente suggella questo stato di cose, creando a sua volta una filiera gerarchica perversa che vede i "capi-cordata" concordare con il leader
del partito i singoli eletti da presentare in un pacchetto chiuso agli elettori. La selezione dei candidati via primarie rida un ruolo a iscritti e simpatizzanti e può produrre buone sorprese - come del resto può fare anche la qualità del leader nel selezionare il "pacchetto di mischia" - ma non risolve in alcun modo il problema in termini dinamici: una volta eletti, qualunque sia il modo in cui essi sono arrivati in quella posizione, il loro rapporto con il partito avrà fondamenta improprie.
Il secondo fattore di amplificazione della deriva va cercato nell'ortodossia della riforma del sistema politico italiano, divisa nelle soluzioni ma coesa dai primi anni '90 in una convinzione: poiché i partiti funzionavano particolarmente male bisognava liberarsene.
Quando si è predicato il bipolarismo, mutuando impropriamente dall'economia che la concorrenza migliora l'efficienza, si è attribuito all'alternanza la dote taumaturgica di curare i partiti, mettendo da parte i temi della loro organizzazione e democrazia interna e arrivando a tollerare la deriva leader-clan anche in forme estreme e degenerate. Quando, dal lato opposto, si è preso di mira, specie con riguardo all'ex-PCI. l'organizzazione in "gruppo dirigente", diluendo gli organi di governo interno, creando pletoriche assemblee, moltiplicando gli incarichi, si è favorito il modello di partito debole e inevitabilmente Stato-centrico, perché bisognoso di appoggiarsi allo Stato, di trarne legittimazione e ahimè denari. Quanto al ricorso a "primarie" per la elezione del leader del partito o del candidato premier, esso assicura condizioni minime di "democrazia elettiva" rispetto a ogni forma di auto-proclamazione, ma non tocca in sé la deriva descritta.