Mi torna in mente la poesia del Pascoli che la mia mamma recitava con voce dolce, enigmatica, evocativa, partecipe, ma anche solenne. Mi pare di risentirla.
Per i miei bambini ho sempre celebrato la festa più bella dell'anno dedicata all'infanzia, quella che più di tutte appartiene alla nostra cultura.
Creavo L'ATTESA , lunga, trepidante.
Alla ricerca dell'elettore perduto
La logica suggerisce che i partiti dovrebbero contendersi il consenso degli elettori, ognuno cercando di sottrarre voti all’avversario. Mano alla calcolatrice: per un partito che avesse circa il 30% di voti con un’astensione attestata al 30%, 100mila voti guadagnati fra gli astenuti determinano un incremento della percentuale sui voti validi dello 0,2%, e un aumento della forza relativa rispetto all’avversario dell’ 1,1%. Se sottratti direttamente all’avversari o, la percentuale cresce dello 0,3% e la forza relativa del 2,5%.
Stranamente però i partiti sembrano alla lunga incapaci e riluttanti ad esprimere una strategia aggressiva concreta. L’equilibrio genera sinergie di convenienze particolari e calo di motivazione al cambiamento: sia l’attribuzione dei seggi negli organi elettivi che l’ammontare dei rimborsi elettorali (sempre riproporzionato al numero degli aventi diritto) non risentono dell’astensione, che dovrebbe essere il primo target di una propaganda attiva.
Una politica aggressiva costa molto e rende poco; una politica consociativa costa meno e rende lo stesso (forse di più), e i partiti perdono la voglia di contendersi i voti trincerandosi nei propri bacini di consenso più solidi. Finché un giorno arriva un nuovo concorrente. Dopo anni passati a oziare a Capua, diventa drammaticamente urgente recuperare voti. La prima azione da mettere in campo è quella che gli esperti del marketing chiamano “WinBack”: andarsi a riprendere i sostenitori appena persi.
La crisi di un assetto oligopolista segue modelli ricorrenti, in politica come sui mercati. La clientela tradizionale accumula insofferenza, il rapporto si logora, l’offerta si sclerotizza nel cartello più o meno esplicito, il marketing si addormenta. Arriva “il nuovo”, e un gran numero di clienti “celebra” il cambiamento abbandonando il brand a cui, pur scontento, era fedele da anni. Le motivazioni sono un misto incoerente di emozioni: rivalsa, entusiasmo, noia, illusione. Presto si capisce che il “nuovo” non è un gran ché, anche perché di solito il “nuovo” si dimostra impreparato. E’ adesso che i vecchi leader del mercato hanno una breve finestra di opportunità per recuperare il rapporto con la clientela persa, ma si deve agire in fretta, e vincere il WinBack quando l’ex-cliente ancora si riconosce come un “deluso” , prima che sviluppi fedeltà ad un altro; o che prenda gusto a essere uno che valuta e sceglie. E non è detto che nel lungo termine sia il concorrente che ha rotto l’oligopolio a cogliere i benefici del cambiamento; spesso alla fine a prevalere sono altri, che arrivano con più calma quando i mercati sono stati ravvivati.
Fuor di metafora: un equilibrio politico è rotto, e la sfida più immediata per PD e PDL è quella di recuperare gli elettori appena persi. Bisogna farlo presto, finché li si possono ancora considerare “delusi”. Un paio di elezioni vissute da “ex”, e questi avranno familiarizzato con le nuove aggregazioni, magari metabolizzato l’astensione… o peggio, sviluppato quell’atteggiamento critico di chi ha capito che si può anche scegliere volta per volta (l’incubo di ogni propagandista, la massima sfida per ogni uomo di marketing!).
Il WinBack non è un’impresa banale. Bisogna studiare e capire chi sono i delusi, perché sono delusi, cosa sono andati a cercare altrove; poi vanno ritrovati, ascoltati, e riaccolti a braccia aperte (magari sacrificando qualche vitello grasso). Un buon piano di WinBack si basa su teoria, regole, tecniche. Chissà fra PD e PDL chi è che applica meglio i metodi del marketing? (mmm... fammici pensare)
Come i depositi del triassico sono pieni dei resti di rettili poco adattabili, i cimiteri del mercato e della politica sono affollati da marche commerciali e simboli partitici che non hanno saputo reagire a un cambio repentino del paradigma competitivo.
E quando viene meno un fattore di sussistenza, le estinzioni sono sempre più rapide di quanto ci si aspetti.
Andrea Vannucci.
Statistico, esperto di indagini demoscopiche e analisi di mercato, marketing e strategia; una carriera ventennale come ricercatore, consulente e manager d'azienda. Ha pubblicato diversi studi sul profilo dell'elettorato e sulla dinamica del consenso (fra cui "L'elettore sconosciuto", con G.Calvi, e "L'elettore difficile", con N.Pagnoncelli).