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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Micol Fiammini, Il Foglio, 17 apr. 2025
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Che tempo che fa - di Michele Serra
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di Fernando Bezi
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Mazzarri e Boggi (Lista Boggi Sindaco)
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di Bezzi Fernando - 2025-04-17bezzifer
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Raccontino di Giancarlo Montin
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Rosanna Betti
per Fiab Pisa
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Cena per la Liberazione 24 aprile
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Assemblea soci Coop.
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Cascina, 27 aprile
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CNA AREA VALDERA
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
FINALMENTE DOMENICA!
di Ovidio Della Croce
Due mamme o tre e gli altri

16/6/2013 - 11:32

Lunedì mattina sono andato in Piazza della Stazione a Pisa per accompagnare una persona che doveva prendere un treno. Ho trovato parcheggio alla piccola rotonda, proprio a fianco della macchinetta dei biglietti davanti al Cinema Nuovo. Ero stanco, sono rimasto in macchina mentre la persona che era con me è andata alla stazione. È arrivato un gruppo di sei persone, penso di cultura rom, che si sono messe a parlare nella loro lingua davanti alla macchinetta che era alla mia sinistra. Tre uomini e tre donne di età diverse e un bambino di quattro o cinque anni. Un ragazzo, forse il suo giovane padre, e una ragazza, forse la sua giovane madre, lo prendono in collo per farlo giocare a schiacciare i bottoni di vari colori della macchinetta dei biglietti. Più che altro, colpito dalla giovane età, guardo quella che penso sia la madre, una ragazzina.
 
Momento divertente. I rom parlano ad alta voce, una donna più anziana indossa una gonna azzurra, una camicia gialla e una pezzola arancione in capo, il bambino in collo pigia i bottoni, tutti scherzano e ridono, incuranti dei passanti. Momento di calma, c’è poca gente e passano poche auto. Il bambino scende di braccio e si mette a giocare sul marciapiede. Ma in un momento la scena si complica. Ecco che arriva alla mia destra, a passo svelto, una mamma bianca ben vestita con il suo figlioletto anche lui forse di cinque anni. La seguo con lo sguardo. La mamma bianca, sicura di sé, dice a voce alta rivolta a suo figlio: “Guarda, sono zingari, stagli alla larga”. E tira dritto. Ritorna la calma, i rom continuano a ridere, scherzare, parlare in romanés o un suo dialetto non so.
 
Cambio scena, seduto in macchina stavo bene. Dopo qualche minuto passa davanti alla mia macchina una mamma nera vestita normalmente. La guardo prima di fronte, vedo la sua bella faccia mentre cammina lentamente ma sicura davanti all’Hotel La pace. Tiene un sacco della spesa nella mano sinistra e ha due figlioletti: uno molto piccolo, avrà tre o quattro anni, è tenuto con la mano destra dalla madre; l’altro è un po’ più grande, diciamo sei anni, sta un paio di passi dietro di lei. A un tratto il bimbo nero si ferma e guarda il bimbo rom. Anche il bimbo rom guarda il bimbo nero, corrono uno incontro all’altro come attratti da una calamita, sorridono e si prendono per mano per giocare insieme, mentre la mamma nera traversa la strada e va nel grande piazzale davanti alla Stazione. Si ferma, si gira mentre passano due macchine, vede suo figlio grande che gioca con lo zingarello, lo chiama per nome e in inglese gli dice di stare attento a traversare la strada. Finale tranquillo e un po’ amaro. Il bimbo nero saluta dispiaciuto e raggiunge sua madre facendo attenzione a traversare la strada. Il bimbo rom gli fa un sorrisetto e poi continua a giocare sul marciapiede.
 
Racconto questa storiella alla maniera dello scrittore Geoges Perec che descrive un luogo di Parigi, piazza Saint-Sulpice. Senza però la pretesa di essere esauriente come Perec, solo per mostrare il diverso atteggiamento di due mamme o tre colto con due istantanee o tre su un pezzettino di mondo. Ma non vorrei si dicesse in giro che trascorro mattinate seduto nella mia macchina a puntare le giovani mamme che passano in Piazza della Stazione a Pisa.

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17/6/2013 - 11:25

AUTORE:
G.P_

Attenzione, uomo qualunque, il razzismo non fa rumore.
Spesso l'abbiamo nella testa senza sentire niente, nemmeno il più piccolo capogiro.

16/6/2013 - 19:42

AUTORE:
Ultimo

.......... ma i bambini bianchi hanno la sfortuna di avere dei genitori bianchi educati al razzismo ........ e lo trasmettono non attraverso il DNA ma insegnandolo ai bambini durante la loro crescita. ....... Ultimo

16/6/2013 - 18:42

AUTORE:
UOMO QUALUNQUE

Veramente un racconto strappalacrime, mi si stava quasi tappando lo stomaco dalla commozione.

Ne riparliamo quando ti sparirà il portafoglio, o quando troverai mezza casa buttata all'aria.