Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Luca,
ma quando ci rivediamo? Meno male che ti ho visto in una fotografia. Eri accaldato. Indossavi una maglietta gialla e avevi gli occhiali sopra i capelli. Era mercoledì 19 giugno 2013, a Pisa. Eri appena uscito con Ciccio Auletta, Marco Ricci e Monica Sherri da una visita al carcere Don Bosco prima dell’inizio dei lavori del Consiglio comunale di Pisa. Una scelta simbolica, certo. Ma anche una grande indicazione per tutti noi: i detenuti sono cittadini di cui le istituzioni e le comunità debbono prendersi cura.
Così fra le tante notizie di fine giugno ecco che ne spuntano due, anzi tre. A Pisa, come nel resto d’Italia, c’è un’emergenza carcere dovuta al sovraffollamento. A Don Bosco ci sono trecentosessanta detenuti quando la struttura ne potrebbe ospitare soltanto duecentottanta. La fatiscente sezione femminile sta scoppiando: quarantasette donne su trentatre previste e un solo agente di guardia. Forse è a quel punto che ti sei messo gli occhiali sopra i capelli e i tuoi occhi hanno visto sette detenute stipate in una cella piccolissima, a malapena per due. Il sovraffollamento sconvolge anche i progetti pilota all’interno del carcere e forse anche il corso di trucco per le ragazze detenute che però sono prive di specchi. L’altra notizia sono le condizioni in cui lavorano le guardie carcerarie. Dovrebbero essere duecentocinquantacinque e sono solo centosettantotto. Ti conosco Luca, sento già le tue parole: stanno peggio dei detenuti. A causa dei tagli gli agenti di custodia sono pochi, in condizioni difficili per svolgere al meglio le loro attività e stressati. C’è forse una terza notizia che ho letto sulla prima pagina del Corriere di ieri: il governo si appresta a varare un decreto sulle carceri che prevede l’affidamento dei detenuti che devono scontare gli ultimi quattro anni di pena ai lavori socialmente utili, anche per i tossicomani reclusi per reati non legati alla droga, non è il carcere il luogo dove ci si disintossica. Certo non basta, ci sono da cancellare leggi inumane sui migranti e sulla droga per altre forme di perseguimento.
Luca, ci sono persone che tendono a raccontare dall’esterno e altre che tendono a diventare i personaggi stessi di quello che vedono. Nel primo modo le persone creano un filtro tra loro e l’aspra realtà. Nel secondo la realtà e gli altri diventano parte di sé. Tu fai parte di questa seconda schiera, credo. Un formicolio di persone e di storie spesso si impossessa di te. Ti sale dal braccio e ti gira per la testa. Spesso succede di notte, ti sveglia di soprassalto e passi un’ora intera a riprendere sonno. Ma la mattina arriva presto, il formicolio è appena passato, ti svegli e corri al lavoro. Al bar fa già caldo, ti chiedono un caffè e un bicchier d’acqua. E tu ripensi al fatto che domenica scorsa al carcere Don Bosco di Pisa mancava l’acqua per un problema strutturale. Sono arrivate le autobotti, ma l’emergenza rimane e l’estate è alle porte.
Un clochard mancato come te deve aver provato dentro di sé un casino di emozioni, sentimenti, memorie e solidarizzato con le persone incontrate in galera. Tutti quei sentimenti dentro quella maglia gialla, in quella calda giornata di giugno quando sei uscito dal carcere con gli occhiali sopra i capelli. Un organizzatore come te lo vedo moltiplicato tra gli specchi del bar che starà già pensando agli sforzi possibili per far star meglio i detenuti e le detenute del carcere pisano e di conseguenza gli e le agenti.
Ti saluto, amico e compagno di tante battaglie combattute insieme a tante associazioni, come quella contro gli F35 che proponemmo in Comune a San Giuliano circa quattro anni fa e che va ora in discussione alla Camera. Immagino che leggerai questa mia lettera con un sorriso calmo e non con quello nervoso e meravigliato che di solito fai quando mi racconti storie incasinate come questa che hai vissuto girando tra i reparti di Don Bosco.