Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Dopo una “lunga” (spero che la percepiate così) assenza eccomi di nuovo qui. Il mio amico Umberto mi ha fatto notare “sottovoce”, forse per paura di ferirmi, che le mie “emozioni” alcune volte hanno poche condivisioni. Pensano solo alla politica, ha detto. Alla polemica politica ho invece pensato io, riferendomi ad alcune esternazioni del Forum.
Comunque io scrivo per condividere certo, ma non necessariamente con tutti né soprattutto mi interessa la “quantità” di condivisione.
Questo mese e anche quelli precedenti sono stati intensi, non ho potuto leggere molto di ciò che mi interessa, solo da pochi giorni ho comprato uno dei più bei libri di Romana Petri, difficile nella sua apparente semplicità, complicato nel “linguaggio” letterario. Per “capirlo” nella sua profondità lo devi leggere due volte. O forse di più. Ed ogni volta l’emozione è diversa, scopri sempre un libro sconosciuto. Di ogni personaggio c’è uno sguardo, un ammiccamento, una ruga, una danza che non avevi capito che dà loro una sfumatura diversa. Vi sento già dire: ma come si chiama questo libro? “La donna delle Azzorre”. Sulla copertina c’è la recensione di un tipo che ha concentrato il suo giudizio parlando di “illuminazione” della scrittrice, creatrice di pagine di “straordinaria eccitazione visiva”.
Credo anzi spero che queste parole gli siano venute pensando a Rimbaud alle sue “illuminations”. A quel “se faire voyant” che è la condizione privilegiata di pochi scrittori e poeti. Tornando alla quotidianità, una delle tracce delle prove di maturità di quest’anno è stata l’analisi di un brano di Magris. E’ scattata l’annosa polemica “Chi lo conosce? Non è mica un autore del programma!” Non voglio entrare nel merito di ciò che nei “programmi” si deve fare o non fare, conoscere o meno.
Vorrei porre l’attenzione su Magris, il più “europeista” dei nostri scrittori moderni. Su ciò che probabilmente l’autore della traccia voleva che riflettessero i nostri studenti. Il “viaggio” che ognuno di noi fa nella propria vita, passando “frontiere” che si spostano o si creano, facendoci riflettere sulle diversità, stimolando la nostra curiosità, incitandoci a mescolarci, assaggiare, assaporare la storia, la sua impronta sui popoli, sulle culture. Sulle “appartenenze”. Mio marito che è, secondo me, il vero “viaggiatore” di Magris, a differenza di me che ho forte il senso dei confini di appartenenza alla “mia” comunità, ha detto una cosa importante “Tutta questa gente che considera il viaggio uno status sociale e “passa” con l’aereo da un posto all’altro, per “ottimizzare” il tempo del “vedere”, inglobare nel “fatto” la visita a musei e monumenti o esibire i luoghi visti, dovrebbe considerare che perlomeno per l’Europa bisognerebbe “strisciare” per vederla”. Cioè capirla. Un esempio: in Croazia siamo andati al mare, ma il suo “viaggio” ha trovato un signore di Trieste, profugo dopo la fine della guerra che ci ha raccontato la sua storia, la sua fuga, il suo dolore di bambino e ci ha portato a visitare la sua vecchia casa nell’entroterra croato, a Kastellir, dove aveva creato un piccolo museo contadino. Ci ha fatto passare e ripassare le “frontiere” della storia con il suo racconto. Ci ha arricchito di una conoscenza più profonda dei tempi dell’uomo. Allo stesso modo di quando mi dice che per andare in Inghilterra bisognerebbe prendere il traghetto a Calais e ad un certo punto della traversata andare a prua e guardare avvicinarsi le scogliere di Dover, pensando che allo stesso modo le ha viste il soldato romano che si accingeva a conquistarle secoli fa. Di cosa possa aver provato nel vederle un paesaggio così diverso da quello da cui proveniva ed i pensiero della gente che avrebbe dovuto vincere e di conseguenza conoscere. Il “viaggio” è quindi una predisposizione dell’anima alla conoscenza, quella lenta dai tempi giusti e umani. Quella che partecipa al rivivere e al vissuto, con amore, pazienza ironia curiosità. Accettazione. Senza paura di “mescolarsi”. Di “spostare” le proprie frontiere. Leggete Magris e pensate al numero esorbitante di viaggiatori “maniati” o che rifiutano il “viaggio”.
Qualcuno è talmente idiota da crederlo una missione (Borghezio docet).