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Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto  da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose. 

Che c'entra l'elenco del telefono che hai fatto, con .....
Le mutande al mondo non le metti ne tu e neppure Di .....
Da due anni a questa parte si legge che Putin, ovvio, .....
È la cultura garantista di questo paese. Basta vedere .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Matteo Renzi, senatore e presidente di IV
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Da un'intervista a Maria Elena Boschi
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Di Mario Lavia
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di Roberto Sbragia - Consigliere provinciale di Pisa Forza Italia
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Copmune di Vecchiano - comunicato delle opposizioni
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
di Valdo Mori
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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Di Fabiano Corsini
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Una "Pastasciutta antifascista"
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Pontasserchio, 18 luglio
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Pisa, 19 luglio
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di Alessio Niccolai-Musicista-compositore, autore
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Il mare
con le sue fluttuazioni e il suo andirivieni
è una parvenza della vita
Un'arte fatta di arrivi di partenze
di ritorni di assenze
di presenze
Uno .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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di Alessio Niccolai

Perché vivere qui? Perché sì

16/8/2013 - 20:52

Perché vivere qui? Perché sì
 
Continua la serie aperta da Sergio Costanzo sul perché vale la pena vivere in queste zone Alessio Niccolai, musicista e compositore, noto ai lettori della Voce per i suoi interventi sul Forum.
 
Perché vale la pena viverci? «Perché sì», sono convinto risponda di getto chiunque da queste parti si senta rivolgere questa domanda: perché è esattamente così che ribatteremmo noi genti della Piana di Pisa, introverse fino al parossismo, sentinelle gelose e spesso inconsapevoli di una gloria ed un orgoglio ancestrali, genti talvolta scorbutiche e vagamente sociopatiche ancorché capaci di regalare intelligenza emotiva a chicchessia; genti - toscane, toscane sì, anzi proprio fino al midollo! - che tuttavia (e purtroppo!) della loro toscanità si accorgono soltanto incrociando fuori dai confini regionali; genti avvezze, nella residente e quotidiana normalità, a camminare mestamente (e forse rassegnatamente) distaccate e inconsapevoli di cosa le circondi - di un patrimonio storico, culturale, ambientale e paesaggistico invidiato in ogni dove - sempre e comunque pronte ad auto-assolversi per cotanta paradossale e circostanziale indifferenza.


«Vale la pena viverci» perché nell’alveo di questo straordinario fiume, croce e delizia dei suoi rissosi dimoranti, tanta acqua è passata, tanta ne sta passando e tanta ancora ne passerà, a volte limpida, silenziosa ed amichevole, a volte torbida, irruenta e minacciosa.
Perché - forse - così è da sempre, dai tempi in cui scorrendo orientale al Monte Pisano, soleva pascere un Arno assai più focoso di come lo conosciamo e incline a spingersi verso i confini più meridionali di ciò che un giorno sarebbe divenuto Sinus Pisanus, o dai tempi in cui uno dei suoi tre rami - il più quieto - lambendo carezzevolmenteOrsiniano e Calidæ Aquæ si spinse fino a San Zeno per imboccare quella linea immaginaria sulla quale oggi si stende Via Contessa Matilde e gettarsi obliquo in quello stesso Arno - già più rettilineo e settentrionale - nei pressi degli Arsenali Repubblicani.


Proprio così, come se i due fiumi vestissero i panni degli eterni amanti - mutevolmente e sfuggevolmente intenti a rincorrersi all’ombra dei dolci colli tra la nostra bassa valle e laLucchesia, il Serchio, mascolino e impetuoso, perennemente in cerca dell’acqueo amplesso, l’Arno dal muliebre e panciuto ventre, sornione, femmineo, falsamente riluttante ad accoglier le virili profferte, nonché millantatore di una verginità in realtà perduta - in una cronaca infinita, signora di tanti e tanti destini abbarbicati alle loro sponde.
Così «vale la pena viverci» perché... perché il Castellaccio di Filettole si guadagnò cotale dispregiativo epiteto appartenendo ai Gambacorti - schiatta che annoveròGiovanni, colui cioè che nella notte tra l’8 ed il 9 ottobre del 1406 aprì le porte di Pisa ai fiorentini - o perché sul suolo immemore di Avane all’ombra di una trasandataVallecchia fu combattuta una (o forse più) delle tante battaglie fra la nostra città eLucca?
O perché a Vecchiano tra il XII° ed il XIII° secolo risiedettero - intorno alla Pieve di Sant’Alessandro - genti che si pregiarono di dare ai loro morti una sepoltura in pietra? O forse perché Migliarino a suo tempo fu un’isola? O forse ancora, perché nelMedioevo Malaventre - o Fossa Magna - fu un nucleo abitato latifondo di sovrani longobardi e sede di ben due parrocchie?
O perché Avane fu unico guado del Serchio per acri e acri, come ben e a proprie fatali spese poté evincere il povero Conte di Alchiberg al soldo di Galeazzo Visconti?
O perché sul Monte Spazzavento le orchidee nascono spontanee fra le mortelle e gli ulivi, mentre i leccini di «Macchia» sono buoni quasi quanto i boleti della Garfagnana e le arselle di Marina di Vecchiano - ancorché a me personalmente non piaccia il pesce - «sono ottime abbondanti» e - intelligenza d’arsellaio permettendo, più che abilità nella pesca - per tutti?!?
E sarà anche per quella cittadella medievale in cui - ogni volta che a Pisa incrocio nel rione di San Francesco - mi figuro di imbattermi, non fosse per quella stramaledetta «pescheria» che fu pretesto ad un’implacabile e perentoria tabula rasa, ne’ ahimè prima ne’ purtroppo ultima?
Come del resto - trascendendo lo squallido inno ad una spuria modernità - detestato da qualunque visitatore prima che da ogni pisano - rappresentato da Piazza Vittorio Emanuele, per quel troncone meridionale di mura del 1150 squarciato per far posto alla «Barriera» e cancellato via insieme alla memoria di Porta San Gilio?
Sarà per quell’«aspro odor di tini» che, allo scoccare di metà autunno, si levava puntualmente dalle cantine del «Palazzone» - l’apprezzata tenuta dominio dei «re italici» che, nella migliore delle ipotesi dette ospitalità, qualche anno prima della mia nascita a felici avvenimenti come il buon vecchio «Gitto d’Oro» e, nella peggiore, al pool di “sapienti” che lo trasformò nella nefanda speculazione edilizia di cui ancora oggi possiamo osservare l’esito impietoso - effondendo il suo inconfondibile aroma per tutta la Cafal Regio avanese e oltre, confondendosi con l’aroma resinoso dei fumi dei comignoli, andando «l’anime a rallegrar», senz’altro la mia?
Sarà per quelle povere navi romane che, non meno delle «Pietre Acheruntiche» di cui gli antichi disseminarono Pisa, saranno condannate al loro sempiterno esilio ipogeo o, al massimo, a ritrovare la fatua luce dell’oblio e della trascuratezza?
E potrei continuare ancora allontanandomi e riavvicinandomi al mio punto di osservazione senza soluzione di continuità, da quella culla ancestrale di saperi che è ilMonte Pisano, attraverso la Media Valle del Serchio fino alle più alte vette dell’Appennino Tosco-Emiliano, volgendo ovunque lo sguardo senza rimanere deluso e a bocca asciutta... potrei continuare con la mirabile sagoma dell’Antro del Corchia - già godibile a partire da quel tratto di Provinciale che unisce Nodica a Malaventre - rifugio di segreti e segrete, sepolti nei secoli di un paesaggio mozzafiato e culla di manieri come il Castello dell’Aquila, potrei continuare con quello spettacolare fortilizio sospeso in aria che campeggia sul capo di San Romano in Garfagnana, potrei continuare con le Mura di Lucca, potrei continuare con i brulli anfratti della Lima o spingermi oltre la Consuma per immergermi nella pace della Verna, nel cuore dellaToscana - in quella lingua di terra che congiunge Pisa, Firenze, Siena e Grosseto - per godere della vista di una teoria infinita di paesini rustici, sobborghi medievali (Volterra docet), chiese diroccate - come la splendida Abbazia di San Galgano - e riaffacciarmi sulla dolce costa, dominio incontrastato di pini marittimi, soffioni boraciferi e... straordinari sapori!
E potrei andare avanti ancora per sa Dio quanto, perché ci sono dieci, cento e mille motivi per continuare a «viverci», benché ogni giorno - spesso senza rendersene conto - qualcuno ne dissipi irreversibilmente una piccola e apparentemente insignificante goccia, tradendo il suo territorio, le sue vocazioni, abiurando alle aspettative della sua caparbia collettività, cancellando la sua memoria storica ma soprattutto, rigettando sé stesso, complice parimenti l’inclinazione istituzionale all’incuria quanto la trascuratezza, la sciatteria e l’ignoranza proverbiale in cui molti - purtroppo e molto spesso quelli dotati della facoltà di decidere anche per gli altri - si sono voluti precipitare.
E allora davvero «vale la pena viverci»?
Me lo chiedo non di rado quando la mia mente travalica le Alpi Marittime per trovare dimora in Camargue, nell’Hérault o nel Narbonese, all’ombra dei Pirenei, laddove cultura catalana e provenzale si uniscono tradendo - tra le altre - una loro comune origine: quella pisana.
Me lo chiedo perché nel Golfo del Leone incrociarono fruttuosamente e a lungo i prodigiosi armi della Repubblica Pisana, installando fondaci in tutta l’Occitania, dirottando su Montpellier, su Marsiglia e su tutta la costa franco-catalana fino alle Baleari.
Me lo chiedo quando vorrei restituire ai miei debilitati sensi un po’ di tempo che fu, vagando col pensiero per le lagune e le saline che da Aigues-Mortes a Narbona - attraversate dal Rhône à Sète, dando riparo a migliaia di fenicotteri rosa e aironi cinerini, circondate da ettari ed ettari di salicornia - si alternano ai generosi vitigni di ottimo Moscato bianco, a spiagge incontaminate - come dovrebbe aspirare ad essere la nostra Marina di Vecchiano - e cinte di malinconiche tamerici, a magici villaggi di pescatori intrisi di tradizioni, usi e costumi fra il lascito culturale pisano, il silenzioso riverbero cataro-albigese e la policroma e multiforme contaminazione gitana.
Me lo chiedo quando - ancora non di rado - la mia mente si sposta nel recesso più occidentale dell’Isola di Smeraldo, presso quel Connemara a cavallo fra sterminate torbiere, piccoli manieri e suggestive fattorie, quel Connemara nel quale ancora è fatto precetto di parlare il Gaelico, all’ombra di solitari e suggestivi fari sperduti in un’oceano azzurro come il cielo, o quando corre sulle «Terre Alte di Alba», l’antico e misterioso regno di un popolo trascorso felicemente ben aldilà del Vallo di Adriano; e me lo chiedo anche quando alle canicole estive delle nostre latitudini, la mia mente preferisce le gradevoli e fresche vallate ladine dell’Alto Adige, fra le rosee e dolomitiche vette coperte di ghiacciai perenni, fra gli sconfinati pascoli pronti a rimpinzare floride mucche dal latte superlativo, fra laboriosi ed umili cacciatori - loro malgrado - di marmotte e, ad un tempo, agricoltori, allevatori ma, soprattutto, gelosi custodi di una tradizione discesa addirittura dai Reto-Romanci.
E qualche volta - lo confesso - scapperei via, lasciandomi irreversibilmente tutto alle spalle, qualche volta prenderei un biglietto di sola andata per me e la mia famiglia verso una di queste terre dove ancora non si è diffusa la dannata abitudine di porre ad un musicista-compositore - quale modestamente mi sento di essere - la rituale domanda: «ma per vivere che lavoro fai?», sbarcando il lunario in qualcuno dei novecento scoppiettanti pub di Dublino - magari in quella magica atmosfera di Temple Bar dove «fare musica» paga e gratifica - o, addirittura, per qualche remoto fiordo della Finlandiadove tale condizione si accompagna anche ad elevati redditi e considerazione.
E qualche volta ancora mi sposterei all’ombra del «Gardienne du Vent» fra Frontignane Vic-la-Gardiole nella Linguadoca marittima sullo sterminato Étang de Thau, cercando magari rifugio in una «Cabane de Gardian» - quanto di più probabilmente simile possa esistere ai dimenticati «capanni di falasco» nostrani - dedicandomi nel tempo libero ad una fruttuosa raccolta di conchiglie, a fotografare fenicotteri (che sono così numerosi da fare loro «Human Watching») e a studiare l’infinita teoria di canali, di reti da pesca e di barche catalane (o forse anche pisane?), o ancora, in un bel maso della Val Badia ad attendere che il lungo inverno ceda il passo alle aromatiche fioriture primaverili, rincuorato dal tepore di un bel camino come una volta se ne dovettero conoscere tanti anche qua.
Ma poi - immancabilmente - ci ripenso perché, alla fine, ciò che andrei cercando in quei luoghi è esattamente ciò che sarebbe sacrosanto ritrovare qui, perché molto di quanto vi troverei - dovrei riconoscere - provenire dalle nostre amate latitudini, ancorché disperso nei cupi meandri di una memoria labile e annebbiata.
Non è amor patrio il mio, per carità: chiunque mi conosca sa bene quanto profondamente internazionalista sia la mia formazione; se casomai di qualche vago sentimento patriottico posso avvertire imbevuto il mio spirito, è senz’altro per la Toscana o, a maggior ragione, per questa straordinaria città che, se Dio guardi (ma la storia non si fa con i «se») fosse mai rimasta la grande e potente Repubblica che fu stata almeno a tutto il XIII° Secolo, oggi avrebbe sapientemente guidato l’evoluzione in una direzione diversa da quella - ahimè - intrapresa dalla storia.
Non ho d’altra parte alcun motivo fondato per ritenere che eventi di grande peso storico-politico come il Risorgimento Italiano dovessero culminare in una sostanziale resa della nostra regione alla malefica dinastia sabauda la quale, per i destini di Pisa fu addirittura più catastrofica e nociva degli stessi Medici e, senz’altro, niente di minimamente paragonabile ai bonari Lorena che - attenti e persino ispirati (utilitaristicamente, certo!) finanche alla Rivoluzione Francese e al Napoleonismo - per contro, le avrei continuato a preferire.
C’è dunque un amore atavico, ancestrale, un qualcosa di irrinunciabile e insaziabilmente proteso a tenermi saldo e ancorato a questa terra, alla sua comunità, ai suoi usi e costumi, ancorché - purtroppo - sotterrati sempre più spesso nell’oblio della memoria; c’è qualcosa che mi fa trascendere l’ingerente e sempre più diffusa presenza del cemento a tenermi fermamente aggrappato alla Piana di Pisa, c’è qualcosa che mi fa scrutare oltre l’appiattimento contemporaneo, la devastazione sensoriale, la riduzione sistematica di ogni cosa - dai sapori ai paesaggi - portandomi a sondare l’insondabile, a coccolare una tradizione e una cultura che - alla stregua della più influente e formidabile sostanza psicotropa - mi impone di studiarne, sempre di più e sempre più a fondo, i precetti, le abitudini, le radici, le vicissitudini storiche.
Mi è più congeniale allora provare a diffondere un verbo - che forse i nostri antichi diramarono presso alcune delle terre di cui sopra e le comunità che le popolarono e ancora le popolano - un tempo già padrone incontrastato di questi luoghi, a loro modo ancora ameni e capaci di saziare la cupida ingordigia dei nostri cinque sensi, quando con una prospettiva mai osservata fino ad ora, quando con un manicaretto di buona cucina della nonna, quando con un aroma che riporta la memoria ad altre epoche.
E del resto non serve poi molto altro per sapere se «vale la pena viverci»: il volto compiaciuto di mia mamma al ritorno da una delle sue non desuete «orette in monte» col suo trofeo di squisiti asparagi alla mano o intenta a preparare la sua «‘nzuppa come Dio comanda», il rapimento di mia moglie - pisana adottiva - nel preparare la sua «torta co’ bischeri», il suo «uscetto dell’orto» o la sua specifica declinazione di «crostino toscano»; e poi c’è il «pesco d’Amulio» in Via Erbosa in Avane che, per la bontà dei frutti, sembra inoculato nel terreno dalla mano di una divinità olimpica, c’è una teoria di argini degna della più struggente e formativa escursione, c’è quella «Torre Mozza» che sorniona guarda invariabilmente il Serchio, in attesa che qualcuno si ricordi della sua esistenza, c’è quel «Castello» sospeso come una sentinella amorevole sopraVecchiano che forse un giorno vomiterà i suoi quaranta sarcofagi del 1100 affinché ai visitatori sia dato in pasto qualcosa di più e di più interessante della Marina di Vecchiano che, non lo dimentichiamo, è un po’ «il ridente giardino di casa nostra» e non una fabbrica di attrattive.
Certo, non c’è più «Giovanni Ir Macellaro», ne’ il campo delle «Faustine» dirimpetto alla scuola di Avane; e, a onor del vero non c’è più neanche l’edicola, l’ufficio postale, il tabaccaio; ma l’olio sul crinale orientale del Monte Spazzavento è ancora il più pregiato, il migliore di tutto il Monte Pisano... e, se solo lo producessero gli amiciTiziano Nizzoli o Nicola Bovoli, - che di cultivar, di olive e d’olio si intendono come mai nessuno - magari restituirebbe anche qualche posto di lavoro...
E, se solo quel ben di Dio che langue - solitario, dimenticato e alla polvere - nei recessi del vecchio - e pur ancor vigoroso - «Frantoio», magari un bel museo potrebbe vedere la luce, ripagando Avane di quello che il compianto Giovannino Lazzerini offrì a Vecchiano per veder esiliato a Venturina, non lontano da dove anche - l’amico e collega musicista  -Sauro Scarsini (in arte «Dado») si accasò a suo tempo - pur memore e grato delle sue origini - seguendo un po’ il destino del «Sassicaia», nato nella parte più occidentale del nostro comune, ma migrato e valorizzato sulla Costa degli Etruschi.
Ma c’è sempre una consolazione a tutto: se il «pesco d’Amulio» è uno (forse sei o sette, per la verità!), ci son sempre Dante (detto «Carattere») e la sua fida Argia che ne producono a bizzeffe e di tante varietà in Via dello Stallone, c’è Raffaello in fondo a Via del Poggio che fa anche le «pere cosce» e il caldo «rosso del contadino» - e ci sono ilGrossi a Vecchiano e il Pardini a Nodica che non hanno abiurato alla vocazione agricola di queste terre; e, se ciò non dovesse bastare, c’è ancora Angelo «il Pastore» che non ha più il suo inseparabile gregge di pecore, ma di capre sì e, volendo «ritrovare» la sua opalescente e deliziosa ricotta ovina, si può ancora confidare inViviano a Filettole o nella Chiarina a Vecchiano.
Cosa desiderare di più per stabilire se «vale la pena viverci»? Non molto forse: stamattina, l’undicesima del mese di agosto dell’Anno del Signore 2013, un gruppo di attempati ma ridenti turisti olandesi in bicicletta, incrociando per la Via di Falcata inAvane, mi ha fermato richiedendo in Inglese la mia attenzione; ho risposto loro, con malcelata antipatia per la lingua d’oltre-Manica: «I don’t speak English but I speak French...» e un gentile e corpulento membro della comitiva, spiattellandomi uno stentato Francese mi ha chiesto delucidazioni su dove si trovasse la Via di Cafaggio.
Mostrandomi la stampa di una inconfondibile «Google Map», mi ha fatto capire che la compagnia di veterani andava cercando la Piazza del Mercato: osservando che la destinazione finale non era in particolare nessun numero civico, ho pensato che l’oggetto della loro ricerca fosse proprio la piazza in sé, cosicché, senza difficoltà alcuna - data anche l’esigua distanza - ho dato loro le necessarie delucidazioni.
Poi, trasalendo, ho avuto la sensazione che quanto stava cercando fosse in realtà il «Palazzone» di cui sopra, così, d’istinto mi sono lasciato andare ad un imbarazzato: «Mais attention: il n’y a rien à voir là-bas; le petit marché n’existe plus depuis longtemps et l’édifice historique en face de la place a été complètement bouleversé par la spéculation immobilière!».
Ma il gradevole olandese, sorridendo mi ha risposto: «Ça fait rien, merci...» per poi ripartire seguito alacremente dalla sua comitiva: me ne sono andato anch’io meditando sull’emblematico episodio.


Dapprima ho azzardato l’ipotesi che ad aver inviato la «senior dutchman bike company» fosse stato il buon vecchio amico «Falco» - uno dei figli del nostro sommoGiorgio Giannetti, protesista dentale d’eccezione nonché pittore, musicista e scrittore di grande talento - convolato a nozze in Olanda ormai tanti anni fa.
Dopodiché, rigettata tale improbabile evenienza, mi sono detto che se dal Nord Europaun gruppo di non giovanissimi visitatori si mette in viaggio alla volta della Toscana per appagare la propria sete di curiosità, soltanto visitando la Piazza del Mercato di Avane- una frazione ridotta ormai ad una landa deserta - allora - signori miei - davvero «vale la pena viverci».

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1/9/2013 - 14:10

AUTORE:
Lettore dei PUNTI DI VISTA nostrani

...di Giovanni che non attendeva certo di essere ri/valorizzata da un'altra risposta che allunga il brodo; si era capito e bastava ed era rivolta anche ad un Alessio collettivo nostrale.
Continuando caro Alessio rischi di arrivare a guazza scossa.

bona

1/9/2013 - 11:31

AUTORE:
Mascherina

(SHOWINISTICHE) parola che parla più di tutta la lettera.......Ahi!!!!!! Ahi!!!!!
Ahi!!!!!!!!

1/9/2013 - 11:26

AUTORE:
Alessio Niccolai

Caro Giovanni, ti ringrazio per questa tuo edotto, sentito e sapiente omaggio al mio umile tentativo di rendere tributo ad una e a tante terre, perché rivela - come effettivamente anche tu affermi - una comune sensibilità e ampi tratti di un percorso intellettivo probabilmente condiviso.
Che una certa comune visione poi possa essere corroborata da differenti inclinazioni politiche - ovvero dal perseguimento di obiettivi socio-economici diversi - non può essere considerato fatto sufficiente a innescare contrapposizioni troppo viscerali fra le persone: è mia consuetudine e convinzione distinguere molto nettamente l'idea dal suo autore, l'opinione da chi l'ha formulata.
D'altra parte - e tengo molto a sottolinearlo - il mio pensiero, ancorché spigoloso e frequentemente manifesto nelle forme più aggressive, dissacranti e caustiche, è figlio di quello stesso Umanesimo (quello di Erasmo da Rotterdam, per intenderci) all'insegnamento del quale posso immaginare che anche tu ti sia formato.
I miei convincimenti politici (primo fra tutti il materialismo storico e dialettico come chiave di lettura, non seconda la conclusione rivoluzionaria cui esso mi ha fatto pervenire) si sono formati secondo un percorso di catarsi intellettiva in ragione della quale «Ubi Major Minor Cessat» con focus sui fini e non sui mezzi per raggiungerli.
In altre parole - permettimi questo accesso teoretico - ritengo che la percezione dell'inadeguatezza dei mezzi rispetto al perseguimento di un fine, non possa essere oggetto di mediazione qualora non ci si senta nella condizione di rinunciare a questi ultimi a beneficio dei primi: e se del mio orizzonte intellettivo si è impadronito un mondo in cui il bene comune e l'interesse collettivo troneggiano su ogni altra cosa, comprenderai - che non vuol dire necessariamente "condividere" - come e quanto mi possa essere difficile partecipare delle vicende «democratiche» cui ogni giorno la mente umana è costretta suo malgrado ad attingere.
Ciò nondimeno questo non mi impedisce di avvertire nitidamente una certa naturale empatia che si instaura nell'incontro con un determinato tipo di persona, ne' di trascendere la sua adesione politica per prefigurarmela intenta a costruire un nuovo pactum societatis fra gli uomini, a riscrivere la storia o a concorrere - decollocata politicamente - a dare un senso alla più vera sovranità popolare.
Ma questo si sposa e si concilia con l'immaginario di un creativo in maniera piuttosto convulsa, spesso arruffata e contraddittoria, rendendolo non infrequentemente vulnerabile a sé stesso: l'amore viscerale per la letteratura, per la storia, per la filosofia, per l'antropologia, per la psicanalisi, per la poesia, per l'archeologia (e, naturalmente per quanto mi riguarda, per la musica) fa da sfondo ad ogni cosa, creando un orizzonte comune e facilmente condiviso e condivisibile con una moltitudine di altre persone.
Il territorio e le collettività che lo presiedono (o che lo dovrebbero presiedere) non sono nient'altro che il carburante, il combustibile di un comburente rappresentato dalle Humanæ Litteræ, ma immagino di non raccontarti niente di nuovo... se decidessi di inviarmi per mail titolo dell'opera per cui il Castellaccio di Filettole ha voluto essere «granaio della memoria» (mi permetta Slow Food di utilizzare questa sua splendida metafora, ancorché abbia deciso di porre fine alla mia adesione nei suoi confronti), te ne sarei senz'altro grato, Giovanni, e mi daresti senz'altro un'altra significativa occasione di lettura.
Da un po' di tempo, distraendo il mio indirizzo creativo dal linguaggio musicale a quello letterario, ho iniziato anch'io a scrivere un libro - di genere fantasy - il cui combustibile letterario sono quegli stessi luoghi che ho citato con grande dedizione nel mio articolo e, mi auguro che quella stessa mia e tua voglia di rivalsa culturale delle genti di questa indomita - seppur martoriata e pugnace - Piana di Pisa diventi altresì contagiosa e incontenibile.
Mi auguro cioè che chiunque si senta in dovere di prendere - metaforicamente o meno - carta e penna per dare voce al proprio territorio, perché quando un territorio non ha più la capacità di narrare sé stesso, la sua storia, la storia delle sue genti, è arrivato il momento tragico in cui ogni legame fra gli uomini e la loro terra si è reciso.
Si investono ingenti risorse in opere - quanto meno - discutibili come il Porto di Marina di Pisa, o in altre assolutamente inutili come il People Mover, quando provvedendo economicamente la traduzione in una ventina di lingue l'illuminata saggistica di Emilio Tolaini o romanzi quali "Io, Busketo" di Sergio Costanzo, si potrebbero conseguire ben più nobili e - alla fine - redditizi risultati economici, ben altre ricadute in termini di visibilità territoriale.
Presumo che tu comprenda chiaramente di cosa stia parlando e del fatto che l'oggetto - di mio interesse a breve e medio termine - non sia propriamente tema politico rivoluzionario e in quale direzione punti...

1/9/2013 - 5:11

AUTORE:
giovanni

Ho letto d'un fiato il tuo intervento pregevole e ponderoso, al contempo agile e fresco, venato di affetto, afflato e suggestioni a volte nostalgiche, ironiche, a volte virate da passione smodata che deborda a tratti in vero amore per luoghi e vicende, storia, e vicissitudini della comunità che vive lungo l'ultimo tratto del Serchio.

Un intervento sapientemente strutturato e articolato di grande spessore culturale, ideale e storico, ma anche di costume grondante umanità e fierezza consapevole derivante da forte sensibilità identitaria, tuttavia non retorico e artefatto, ( come mi capita sovente constatare nei miei scritti, mio malgrado) profondamente sincero e genuino, intriso di devozione per concreti luoghi dell'anima, individuati con competenza erudita ed elencati uno ad uno senza compiacimenti nozionistici, o ingessature showinistiche, fine a se stessi, quasi evocati dalle profondità dell'anima, ma concreti ed esistenti, tangibili e presenti.

Passi in rassegna ruderi e fortezze, castelli e siti del passato glorioso, oltre a scorci paesaggistici, cortili, piazzette e mercatini, colline e scorci sorgivi, identificati localizzati e inseriti in contesti storici e sociali, in trame di affetti sentimenti e varia umanità.

Indulgi nella celebrazione dell' amplesso reiterato degli elementi naturali fra loro e con il clima e della geografia senz'altro felice e fertile di stimoli e di riferimenti ed eccellenze, che contribuiscono a rendere gradevole la vita, e dolce l'esistenza, gigioneggi con la toponomastica e ostenti una dimestichezza consolidata e una empatia naturale dirompente e prepotente per le caratteristiche e peculiarità identitarie di una popolazione schiva, sobria ma fieramente umile e modestamente inconsapevole di fasti civici, storici e morali, bellezze naturali e varietà ambientali, forse perché adusa alla loro contigua immanenza, considera queste testimonianze e virtù, e straordinarietà paesaggistiche, ordinaria amministrazione.

Ho Scoperto questa tua devozione forte ancestrale e questi sentimenti sfuggenti in armoniosi sensi, nel tuo indugiare nelle memorie recenti del passato, nell'elegiaco rimembrare di angoli , personaggi, ed abitanti a vario titolo del tuo immaginario collettivo, in un affresco sociale, di costumi e sentimenti, affinità e sensibilità comuni, che delineano il carattere spesso apparentemente spigoloso e scontroso, ma profondamente umano delle nostre genti, spesso ironiche sarcastiche ma intimamente rispettose della dignità umana, che si traduce in ultima analisi nel rispetto di se stessi.

Ho provato vera emozione, quando hai citato il Castellaccio di Filettole, le battaglie comunali tra Pisa e Lucca, i cruenti scontri SUI TERRITORI MARTORIATI E DI CONFINE, di Filettole e Avane, il tradimento del Gambacorti nel 400, la calata delle truppe milanesi, le bellezze di salvareggi, già tenuta reale longobarda, fortezze e rocche e circostanze storiche che ho inserito in maniera storicamente coerente, in un romanzo ambientato in questi stessi luoghi e borghi a me cari e da te sapientemente tratteggiati, scoprendo un inaspettata affinità e comuni interessi fra noi, che spesso divergiamo su altre argomentazioni, e tematiche nel forum.

Gli esiti del mio impegno, sono mediocri, comunque non all'altezza della mia passione profusa, ma l'intento è lodevole, generoso, e sincero mi consentono di affermare e ribadire il mio stesso amore, che intuisco molto simile al tuo per una terra amata in maniera spontanea e viscerale, ma anche meditata e meritata e che mi consente una saldezza identitaria grazie alla quale posso sentirmi a pieno titolo cittadino del mondo.

Sono felice che questi argomenti ci accomunino, e mi abbiano consentito di esplorare aspetti della nostra comune sensibilità.

23/8/2013 - 8:53

AUTORE:
Alessio Niccolai

I Vecchianesi sono un popolo buffo, babbo, lo avrai capito. Ma lo sono in generale tutti gli abitanti della Piana di Pisa e, a maggior ragione, i «Pisani di città».
Sono tutti in attesa degli «investimenti», cioè di nuovi supermercati o grandi aziende; in materia di turismo riescono solo a ponderare la creazione di nuovi stabilimenti balneari - in controtendenza con un'Europa sempre più incline alla spiaggia libera - alimentando il land grabbing di Beni Comuni.
Poi per il resto, tesori o no, si limitano a pensare che il cemento sia l'unica soluzione per creare posti di lavoro...

22/8/2013 - 7:30

AUTORE:
niccolai luciano

Concordo il tuo intervento.
Tu sai bene che io, abitando a più di 300 km., ogni volta che torno in zona, ritrovo tutte quelle caratteristiche ambientali e paesaggistiche così come le descrivi e allora sento tutto l'orgoglio di essere stato, pur essendo nato a Pisa, per tanti anni vecchianese (o avanese) al 100%.
Ogni volta però, sento anche profondo il rammarico per il fatto che una zona così ricca di potenzialità (mare, ambiente nel suo insieme, agricoltura e anche cultura) sia così trascurata da chi avrebbe il dovere (oltre al piacere) di valorizzarla appieno e fra coloro cui attribuisco tali manchevolezze, vi metto anche la stragrande parte di Vecchianesi, che troppo spesso non vedono la ricchezza a loro disposizione che potrebbe significare lavoro, salute, buoni prodotti alimentari, turismo e via elencando.
Mi auguro che il tuo intervento che vedo ha avuto un numero di contatti elevatissimo, riesca a smuovere tutti coloro che brevemente ho citato ed in primis gli Amministratori del Comune, per rendere quella di Vecchiano una zona di eccellenza in un paese come l'Italia, ormai ridotto ad un cumulo di macerie.
Auguri quindi a te e a tutti i compaesani (scusate se mi permetto) e un saluto cordiale collettivo

21/8/2013 - 15:20

AUTORE:
Alessio Niccolai

Il discorso si fa complesso ma decisamente interessante, Solent.
Le «nuove tecnologie» costruttive cui alludi sono senz'altro nelle mie grazie in quanto - d'altra parte - sintesi dialettica fra le conoscenze più remote (la «tesi» dialettica) e la loro odierna, velleitaria e disadatta e - in definitiva - inopportuna negazione (l'«antitesi» dialettica).
Ci sono però un paio, forse tre, significativi particolari da non trascurare: innanzitutto quel tipo di soluzione non è certo di conforto a quella teoria infinita di micro-imprese edili cui in teoria si potrebbe pensare di «voler bene», in quanto mediamente piuttosto refrattarie all'innovazione e difficilmente assoggettabili ad un core business totalmente diverso da quello che ha costituito finora il loro mezzo di sussistenza economica.
Inoltre l'evoluzione di quelle tecniche costruttive - oggi saldamente nelle mani di poche illuminate compagnie, quali ad esempio la Wolf House - potrebbe portare in tempi relativamente brevi alla creazione di kit fai-da-te di montaggio, esponendo la società intera ad un pericolo accessorio col quale si sono scontrati brutalmente altri segmenti di mercato: se ci pensi bene, la risposta ad un'emergenza sociale come la svalutazione inarrestabile dei salari - fondamento primario di quel gap planetario che Marx chiamerebbe «proletarizzazione dei ceti medi» - la risposta non è mai stata la riduzione dei profitti, ma l'abbattimento dei «costi di produzione», ovvero un ulteriore motivo di riduzione generalizzata del potere d'acquisto (Ikea docet).
Questo fondamentalmente per insistere nell'alimentare l'illusoria teoria dello sviluppo infinito e della capacità del capitalismo di stemperare le contraddizioni che ha ingenerato attraverso processi ulteriormente contraddittori.
Il punto è che se la buona idea che tu rivendichi non viene fatta propria da tante PMI, rischia di finire in mano ad una nuova GDO che potrebbe trasformare un bene primario ed un diritto in qualcosa di terribilmente mercificato.
Risultato? Una casa, invece di fare lo stipendio a decine e decine di parassiti social come avviene oggi (notai, geometri, immobiliaristi, banche, etc.)i, rischia di creare un decimo dei posti di lavoro e ad un livello retributivo tipico del commesso.
Ristrutturare o meglio ancora restaurare, abolite le grasse royalties per tutta la nostra nobiltà di toga, richiede competenze elevate - sia a livello intellettivo che manuale - e, adeguare al contempo a nuovi standard, potrebbe condurre anche alla salvaguardia ambientale oltre che paesaggistica.
Quindi, quando hai raso al suolo tutti i troiai costruiti dall'inizio XXº Secolo fino al 21 Agosto 2013, per dare luogo ad un progetto realmente sostenibile e socialmente meno impattante, perché non restituirsi borghi e borgate fino almeno al 1700?
Un po' caotico, ma sul telefono non posso fare di meglio...

21/8/2013 - 15:04

AUTORE:
Ovidio

L'amico Alessio ci dona una lettura impegnativa, ma densa di notizie e pensieri e anche di una piacevole sorpresina finale. Grazie!

20/8/2013 - 23:59

AUTORE:
Solent

Risultato è che non ci si capisce comincia a pensare e so che non ti resta difficile che le note siano anche in numero diverso dalle 7 canoniche più gli atrettanto canonici diesis/bemolle.
Pensa a un bosco nasce,cresce diventa rigoglioso e poi invecchia, cade e concorre a formare quell'umus credo si dica così foriero di nuova vita...
Pare che sia una regola universale e dovrebbe valere anche per gli uomini salvo che questi quando invecchiano e/o sono cadenti tranne poche eccezioni alimentano soltanto i beci.
Ci distinguiamo sempre, ma ritornando a piomba tu sai o dovresti sapere altrimenti non ti mancano le possibilità per verificare che un bosco nell'arco della sua vita svolge la cosidetta funzione clorofilliana quindi elabora in fasi alterne ossigeno e anidride carbonica ( se sbaglio correggimi non sono più fresco di studi) Questo ciclo è potente nel momento della crescita e quindi della giovinezza e va calando con il passare degli anni.. un po' come noi umani che da giovani siamo pieni di vigore mangiamo per 4 e da vecchi ci basta una tazza di caffe' e latte.
Immagina ora per salvare il pianeta che cominciassimo a costruire tutte le case in legno attingendo la materia prima da boschi che vengano rinnovati a cicli ottimali avremmo ossigeno in abbondanza e diminuiremmo l'effetto serra, i monti rimarrebbero tali e il dissesto idrogeologico verrebbe mitigato.
A fine vita della casa ritrasformi il tutto in umus e il ciclo continua.
Quindi non è un problema di tecnologia futuristica ma è un problema di poter ascoltare o fare musica su altre basi di riferimento.
Pensa per esempio al sistema binario, l'ottale esadecimale e tanti altri basta cambiare la base prova a farci i conti "terrore" noi siamo abituati al decimale perchè abbiamo dieci dita e mai ci verrebbe in mente di passare ad un'altro sistema.
E' così caro Alessio il nostro nemico è nella nostra testa nella testa di tutti per natura ma anche a causa del condizionamento a cui tutti siamo stati sottoposti.
Insisto mancano le idee le rivoluzioni fanno parte di un altro tipo di approccio che non credo alla lunga riescano a cambiare i condizionamenti ai quali ormai siamo abituati, anche quì la storia insegna.
Concludo la prima battuta, aggiungendo ritornando alle origini sono contento di vivere quì perchè altrove proprio non mi ci vedo.
Ciao

20/8/2013 - 22:31

AUTORE:
Alessio Niccolai

Quello che dici ha una sua logica, ma non ne sono del tutto convinto, amico Solent: di cosa sia meglio o peggio a livello tecnologico (come del resto scientifico) si fa sempre un gran parlare, ma alla fine della fiera - scava scava - dietro ogni più avvincente teoria si annida sempre il marketing e, dunque, la legge del profitto.
Te guarda la storia delle cinture di sicurezza in macchina: la casistica (che conosco molto relativamente) dice che in poco più del 50% dei casi è molto utile ma, per contro, nella quasi restante metà dei casi è terribilmente deleteria.
In letteratura esiste un metodo di disamina che si fonda sulla comprensione del testo a partire dal contesto; in ingegneria il «contesto» è un'accessorio inutile, come ben dimostra quel trombone nel Vajont testimone della strutturale debolezza dell'ingegno umano di fronte non alla natura (il contesto) ma ai richiami patrimoniali.
Che ti devo dire? Le piramidi egize e maya sono ancora lì e vi saranno ancora - secondo me - non meno di un migliaio d'anni dopo che dell'Empire State Building non resterà che qualche insulsa briciola di sabbia.
Trattare la casa come una macchina, dunque? Ci devo riflettere a lungo, ti confesso, ma ho molte perplessità: intanto inizierei a trattarla come un bene di prima necessità, dunque un diritto e, per converso, di un'istanza sociale irrinunciabile da sottrarre dunque alla sfera del «profittevole».
L'accordo te l'ho dato: vai con l'assolo!

20/8/2013 - 13:54

AUTORE:
Maunvorpiove (nel senso di temperà ammodino)...

...Solent; di+ nn al digo!

20/8/2013 - 11:13

AUTORE:
Solent

Se pensi che le imprese edili si dividono fondamentalmente in due gruppi di cui uno di potere.
Che il primo è formato di imprese a conduzione "familiare" che si tramandano il mestiere da nonno a nipote e che l'unica innovazione tecnologica!!! degli ultimi cento anni è stata muri in bozze e tetti in eternit.
Il secondo gruppo è formato da ditte (spa, coperative etc)e queste sono dedicate a grandi appalti tu m'intendi.
Che dopo 60 anni ci si è accorti che la teoria antisismica delle costruzioni era sbagliata e la nuova (speriamo giusta) ma molto simile a quella europea è stata prorogata di anno in anno per diversi anni e l'iter all'italiana si è fermato solo dopo il terremoto in Abruzzo.
E tu vorresti ristrutturare? tolto i monumenti il resto è da radere al suolo e ricostruire se e dove serve e dopo 70-80 anni si demolisce si rottama come i politici.
E udite udite il terreno ritorna agricolo ha solo riposato e non ha subito danni in quanto la costruzione è stata realizzata con tecnologie e materiali a impatto zero e totalmente riciclabili.
Come vedi Alessio caro il sogno potrebbe esserci ma come si fa a far capire che la casa deve essere considerata come l'automobile che dopo un certo numero di anni va cambiata??
Non si può continuare a rattoppare ristrutturare all'infinito anche perchè molti ancora non sanno che il bene mattone comincia a presentare crepa.
Prova te a ristrutturare una casa se tocchi qualche cosa di significativo (tipo aprire una finestra)scattano gli adeguamenti strutturali tanto che ti conviene mettere una presa d'aria non parliamo poi dei vari cappotti cappottini impermeabili tutto ha un costo e norme da rispettare se uno fa un bilancio economico conviene radere al suolo e ricostruire con un risultato notevolmente superiore per il confort e le minori spese di gestione.
Cosa è che continua a condizionare ?? è la trasformazione perpetua e contro natura di un terreno nato agricolo e trasformato in edificabile.
Sono un po' sfiatato ho fatto l'introduzione ora tocca a te fare ritornello e inciso la coda non la puoi scrivere neppure tu perchè i sogni non finiscono mai.
Come dice dante mezzo rotolo di carta igienica non è lunga ..
Scusa orrori vari ma non l'ho neppure riletta basta tu intenda

20/8/2013 - 1:32

AUTORE:
Alessio Niccolai

Su chi o quanti abbiano compreso il mio articolo, caro Solent non posso effettivamente scommettere niente, ma un seme va gettato comunque... dovere morale? No, forse prima o poi qualcosa sboccerà.
La speculazione è argomento assai complesso in effetti ed io sono stato schematico a dir poco, ma su un dato bisogna essere d'accordo: le imprese di costruzione sono tropperrime, bussano tutti i giorni agli uffici tecnici di tutti i comuni e, quand'anche ne fosse soddisfatto clientelarmente anche solo il 5% il peso del cemento si farebbe comunque insopportabile.
Ci sono oltre tre milioni di immobili sfitti in Italia e nell'ordine di tre-quattrocentomila capannoni vuoti: qualunque impresa di costruzione è superflua di fronte a questi dati, a meno che non si occupi di restauro (e non è detto che ne sia in grado: si tratta di un'operazione che esula dalle tipiche (in)competenze da costruttore).
O ci si decide a liberare risorse dalla schiavitù del mattone per investire nell'industria della cultura (che alimenta turismo e, di rimando, agricoltura, artigianato e servizi) o non se ne esce.
In Francia se vuoi costruire un capannone, devi prima determinare quale attività vi condurrai al suo interno, altrimenti nixxe... in Italia intanto si costruisce, poi si vedrà...
Il comparto edilizio, a braccetto con quello finanziario e bancario, tiene in scacco un'intera economia, vocazioni territoriali e interessi collettivi, pregiudicando ambiente, tradizioni e paesaggi.
Lo si vuol capire? Il povero Iosce d'Avane avrebbe detto: «Prova a dì che è cotto anco se è crudo» e sfidò chiunque a dimostrare che quanto affermo non corrisponda alla più verosimile realtà.
Per il resto, i musicisti hanno tanto fiato in gola di solito e sarà difficile che qualcuno riesca a farli stare zitti. Te che ne dici, amico Solent?

19/8/2013 - 22:00

AUTORE:
Solent

...Sopravvivono e per quale motivo? sarebbe una cosa molto più complessa meritevole di un'analisi approfondita evidenziare come non sia legata esclusivamente alla speculazione agli oneri e agli intrallazzi.
Ha fatto il suo tempo e come al solito finita un'epoca manca la spinta per una nuova idea o meglio di una nuova visione dell'umanità.
Cose caro Alessio complicate e stranamente ricche di storia (che come al solito un serve a una sega)ma che ti devo dì?
Hai fatto un bel lavoro ma chi pensi di aver toccato? chi pensi si sia soffermato a riflettere su un passaggio o su una sola parola?
Dato che fesso non sei sai benissimo la risposta e allora?

Quando poi se uno che vive o sopravvive d'arte non deve dire la sua o non essere considerato?

Non so più che dire quindi mi eto però....
come dice la pubblicità basta anche mezzo rotolo chi vole intende intende.

19/8/2013 - 14:15

AUTORE:
Alessio Niccolai

Carissimi P.G. E Tiziano, io dico che quanto a luoghi e paesaggi non saremo forse i primi ma, senz'altro neanche gli ultimi.
Il vero problema come, in qualche modo ho voluto denunciare nel mio articolo, è il diverso modo che hanno le comunità da me citate con il loro territorio: è evidente che in quei luoghi Bene Comune e Beni Comuni abbiano il sopravvento su quello/quelli privati e il risultato è una sapiente commistione di tutela ambientale-paesaggistica e opportunità economica ecocompatibile e sostenibile.
Oltre Marsiglia in direzione della Spagna non esistono stabilimenti balneari ma un'infinita teoria di spiagge libere: il turismo vi è prospero, gli operatori economici si dedicano alle più disparate attività d'eccellenza (artigianato e agricoltura legati ai flussi turistici) e non a far cassa sui Beni Comuni e la speculazione edilizia è quasi un perfetto sconosciuto.
Sulla Plage des Aresquiers nei paraggi di Frontignan (Linguadoca) non esistono i cestini della spazzatura ne' un servizio di NU incessante, ma non trovi una cicca tra la sabbia neanche se scavi per ore.
La differenza? Sono le comunità che presidiano e custodiscono i loro territori gelosamente e con grande senso della collettività, partendo dal presupposto che il primato dei Beni Comuni garantisca loro un'eccellente fonte di sopravvivenza.
Qui invece chi sopravvive? Le imprese di costruzione?!?

18/8/2013 - 17:46

AUTORE:
Alessio Niccolai

La lunghezza dei testi sul web non pesa quanto sulla carta e certamente, caro Pierino, non avrò da sentirmi in colpa per ciò che scrivo o ciò che penso; la storia di Pisa non è una questione di erudizione o meno, ma l'insieme di tante storie - come probabilmente piacciono a te - e, se vogliamo, un'opportunità economica per il futuro che affonda le sue radici nel passato.
Non devi essere d'accordo per forza con ciò che ho affermato, ma neanche pretendere che senta le cose in modo diverso da come le ho descritte.

18/8/2013 - 11:03

AUTORE:
Pierino

O che tu ti allontani fisicamente per immergerti in composizioni ed esibizioni musicali poetiche letterarie immaginifiche... o che tu resti a casa, occupi tanto "spazio".
Anche noi comuni mortali sappiamo fruire la ricchezza di questo territorio con la sensibilità dell'anima della mente dell'occhio e dell'orecchio.
I fasti e le gesta della storia pisana li lascio a te e alla tua preparazione culturale, io mi accontento di piccole storie locali anch'esse non prive di interesse che riesco a "leggere" senza troppi supporti...ma che comunque, tessera dopo tessera, mi permettono di ricostruire questo bellissimo puzzle nostrano intriso di grande e consolidata umanità.

18/8/2013 - 7:52

AUTORE:
Tiziano Nizzoli

Anche a me l'articolo di Alessio è piaciuto e mi ha portato a fare questa considerazione: ma siete proprio sicuri che dobbiamo allontanarci così tanto per trovare la nostra Camargue?
Dite la verità, ognuno di noi conosce posti del nostro paese dove il selvaggio, la pace, la natura ed il paesaggio sono altrettanto belli.
Certo, se si va a Marina di Vecchiano d'estate la cosa si fa dura, ma d'inverno è un'altra cosa, non trovate? Vedete, uno dei motivi perchè ormai da anni spingo per aprire il nostro Parco di S.Rossore tutti i giorni ad un pubblico appiedato oppure in bicicletta, per fargli raggiungere quella che noi provocatoriamente chiamiamo la Marina di S.Giuliano, altro non vuole che allargare l'offerta di spazio per trovare la propria Camargue.
Bene, ho detto la mia, ed ho fatto anche tardi, alle sette volevo fare una passeggiata alla casetta delle Selve della mia amica Nicla, piccola Camargue per centinaia di turisti provenienti da tutto il mondo e solo ad un paio di km. da casa mia!

18/8/2013 - 0:37

AUTORE:
Alessio Niccolai

Forse Pierino non hai letto bene il mio articolo... ho visto la Camargue, l'Hérault e Dublino... tutto il resto è storia di Pisa (che puoi reperire facilmente a partire da Emilio Tolaini, ma che non è detto tu riesca a leggere) e immaginazione, letteratura e poesia.
Si possono visitare i luoghi fisicamente o desiderare di farlo: non cambia molto.
Nella «prosopopea» potresti trovare un sacco di spunti ganzi sul tuo territorio... Cerca!

17/8/2013 - 16:34

AUTORE:
P.G_

E' vero, l'articolo è un po' lunghino ma l'ho letto volentieri anche per i molti luoghi che anch' io ho avuto la fortuna di visitare.
Moltissimi direi di quelli ricordati come i pub di Dublino, i Masi del Trentino, i Pirenei, il Connemara ma fra tutti vorrei ricordare la Camargue dove viene naturale fare un paragone con la nostra Marina.
Ma in Camargue sei nella natura più completa, sei immerso, attorniato, affascinato, sconvolto dalla natura, dalle pianure assolate, dal volo dei fenicotteri rosa, dalle grandi spiagge incontaminate dove i pochi visitatori aspettano il tramonto senza Oasi, senza baracche, senza ombrelloni, senza comodità.
In quel momento anche tu "sei" la natura, e sei circondato dalla bellezza, dalla pura e semplice bellezza e non da un enorme parcheggio di auto in sosta.
Forse il vivere costantemente in questi luoghi pieni di meraviglie ci ha fatto perdere la consapevolezza del loro valore. Un valore che va ben oltre il semplice aspetto culturale per rappresentare anche un possibile ed importante fattore di sviluppo turistico-occupazionale, un fattore tuttora e purtroppo non percepito appieno.

17/8/2013 - 10:33

AUTORE:
Pierino

O come ti sei allargato!?...con la tu' solita prosopopea m'hai già 'mbraato... e menomale t'allontani spesso da questi luoghi e lasci un po' di fiato anch'anoaltri!