Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Un affetto quasi materno
di Antonio Ceccherini
La serie del “perché vale la pena vivere qui”, aperta da Sergio Costanzo, continua con le motivazioni di Antonio Ceccherini, informatico ed ex consigliere comunale a San Giuliano.
Vale la pena viverci? Non so per chi ci è arrivato provenendo da altrove, ma per me, e penso per tanti di noi che in questi luoghi ci siamo nati, la risposta è senz'altro sì!
Qua ci sono tutti gli attimi della nostra infanzia che, uno per uno, sono rimasti impressi nella memoria e tornano nitidi e lucidi, con quei misteriosi meccanismi associativi, ogni volta che con un amico, un coetaneo, ci regaliamo il piacere di ricordare "quei tempi": si ripercorre la catena dei ricordi, che riacquistano colore e chiarezza autoalimentandosi in una ritrovata condivisione osmotica.
Ma, si può obiettare, questo succede sempre e comunque, a tutti, a prescindere dai luoghi dove si è vissuto... Forse sì, ma a me piace avere la presunzione di pensare che i "miei luoghi" mi abbiano lasciato qualcosa di più di quanto potrebbero avere fatto i quartieri o le periferie di una grande città...
Noi eravamo orzignanesi, sangiulianesi, gellesi, ascianesi, vecchianesi... si giocava a pallone nel "campino del prete", o nel piazzale delle scuole col ghiaino e ci si "sbucciava" le ginocchia... Dopo "mangiato" si correva per arrivare in tempo al bar (al circolo comunista o socialista...) per avere un posto nella partita a briscolone, e ci si incazzava di brutto quando il compagno di gioco sbagliava (o così si credeva, a seconda dall'autorevolezza del giocatore...). E poi al circolo c'erano sempre quei personaggi che erano le "colonne" dell'intero paese, o perché grandissimi ganzi o grandissimi coglioni, e che per anni e generazioni hanno saputo conservarsi quel prestigioso ruolo, insostituibili... Si giocava a "buette" a ridosso di un muro e ci si sfondava a tirarci la pallina da tennis quando si veniva "beccati". Si andava in due sui motorini o le vespe nei paesi vicini, a trovare le “bimbette”...
Certo non c'erano grandi opportunità in un piccolo paese, ma questo non ha fatto altro che contribuire a sviluppare la capacità di inventarci modi di divertirci e stare insieme, crearci una sorta di "microcosmo" che ci ha aiutato e protetto, perché sapevamo tutto di noi, e ci ha consentito di stare uniti più a lungo... Fino a quando, inevitabilmente, le strade iniziano a divaricarsi e proseguono veloci in diverse direzioni strappandoci gli uni dagli altri senza neanche avere il tempo di rendercene conto. Ma quando dopo dieci, venti o trenta anni ritrovi l'amico del paese, con lui riprendi esattamente da dove avevi lasciato, come non esistesse quell'enorme gap temporale, e mentre ti racconti del presente e vai con i ricordi, torni ad essere quello di allora: ritrovi gli stessi modi di allora, torni a parlare lo stesso linguaggio, il tuo linguaggio, colorito e un po' goliardico (anche se adesso parli un italiano forbito), pieno di moccoli (o "madonnabona" per chi non se la sente), e di "'r budello di su' ma'" profuso democraticamente verso chiunque, sia esso l'anonimo improvvido che ti taglia la strada, sia un ex Presidente del Consiglio...
Questa è la forza e l'originalità di questi "nostri posti", a cui restiamo legati con un invisibile cordone ombelicale, conservando un affetto che ha qualcosa di simile a quello materno, appunto...
Certo, vale la pena viverci, perché sono parte di noi, anche se sono cambiate le strade, le case, le persone sono diverse o non ci sono più. Ma è "lì" che siamo nati e cresciuti, è lì che abbiamo passato la parte sicuramente più spensierata della nostra vita.
Viverci e viverli, quei posti, è ossigeno, è forse l'unico modo che abbiamo per difenderci o almeno resistere a quella oppressiva globalizzazione culturale che altro non fa che impoverirci e privarci delle nostre storie.